La PA e gli hub di conoscenza (società in-house, datacenter pubblici) presenti sul territorio hanno un ruolo fondamentale, finora poco espresso, per risolvere un problema cronico dell’Italia: l’immaturità della domanda dei servizi digitali.
Certo, l’attenzione crescente verso il dominio del digitale in Italia rappresenta un aspetto positivo che dimostra come finalmente si stia iniziando a percepire l’importanza strategica che il digitale ha per la crescita economica e sociale del Paese. E tuttavia non basta. Alcuni aspetti del dibattito sui media evidenziano come ancora una volta le esigenze di cambiamento potrebbero non essere adeguatamente colte, come troppo spesso è accaduto in passato. Di qui il ruolo del pubblico che, a vario titolo, può spingere la domanda in maniera più articolato di come tentato finora: non è più sufficiente mettere l’accento sulle attività di divulgazione e promozione del digitale, per altro fatto spesso con modalità superficiali dello storytelling.
Meno storytelling, più soluzioni concrete
Il percorso svolto finora è stato infatti caratterizzato più da una continua e spesso eccessiva attività di storytelling che dallo sviluppo di soluzioni concrete e risolutive in grado di agire a livello di Sistema Paese producendo risultati efficaci e durevoli.
Con la nuova governance si spera in un rinnovato slancio che, in continuità con il lavoro svolto, sappia anche superare alcuni elementi di criticità del passato. Tra gli altri certamente si dovrà porre specifica attenzione al problema del diffuso squilibrio tra domanda e offerta di servizi digitali.
Le numerose progettualità realizzate in passato, sia a livello nazionale che regionale, si sono concentrate infatti quasi completamente sulla crescita dell’offerta di sistemi e servizi digitali, dando origine a un puzzle incompleto e complesso, caratterizzato da numerose lacune e sovrapposizioni. A fronte di tali progettualità non sono state però avviate parallelamente azioni atte a sostenere la crescita di una domanda qualificata, sostenendo così lo sviluppo di una società nella quale la connettività è utilizzata poco e male.
Sanare lo squilibrio tra domanda e offerta di servizi digitali
Attualmente i servizi digitali sono in gran parte del tutto inutilizzati mentre in altri casi la popolazione non risulta in grado di utilizzare pienamente dei servizi digitali traendone valore sociale ed economico. A titolo di esempio è possibile riferirsi ai dati dello SPID che, ad oltre due anni dalla sua introduzione, vede solo il 4.1% degli italiani ancora registrati. Peraltro è interessante osservare come tra le regioni con il maggior numero di cittadini registrati in percentuale spiccano Basilicata, Campania, Calabria e Puglia, mentre tra quelle con la più bassa percentuale di cittadini registrati troviamo Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Lombardia.
Per favorire la crescita della domanda è quindi necessario, adottando strategie complementari, non solo agire direttamente sulla formazione della cittadinanza, cosa per la quale esistono a livello nazionale numerose interessanti pratiche che dovrebbero essere estese in maniera sistemica, ma anche e soprattutto agire sulla PA e sulle società sugli hub di conoscenza (società in-house, datacenter pubblici, ecc.) presenti a vario titolo sul territorio.
Riorganizzare i datacenter, occasione di rilancio digitale
In tal senso la riorganizzazione dell’infrastruttura nazionale prevista dal piano triennale 2017-2019, che è un passaggio chiave nella politica di rilancio del digitale del Paese, è anche un’occasione importante per disegnare con uno sguardo non solo tecnologico ma anche orientato agli aspetti economici, sociali e culturali la crescita auspicata del digitale nel nostro Paese.
Con riferimento ai datacenter ad esempio, sebbene dal punto di vista squisitamente tecnologico l’attuale livello di frammentazione, caratterizzato da oltre 10.000 datacenter pubblici censiti, rende certamente il sistema inadeguato ad affrontare le sfide che l’implementazione dell’Agenda Digitale impone, è importante sottolineare che una ristrutturazione guidata esclusivamente da aspetti tecnologici che preveda il mantenimento a regime di pochissimi datacenter nazionali limiterebbe la possibilità in molti territori di continuare a sviluppare conoscenze ed a maturare esperienze preziose nel settore del digitale.
Rafforzare le competenze digitali della PA
Nondimeno il rafforzamento delle società in-house, che spesso rappresentano veri e propri “bracci operativi” delle regioni in ambito ICT, ridurrebbe il rischio non banale di esporre le PA locali a notevoli difficoltà nella gestione ottimale del procurement di sistemi e servizi ICT. Anche in questo caso la possibilità di avere personale altamente qualificato all’interno della PA va considerata non solo come un costo ma anche e soprattutto come indispensabile garanzia di qualità nelle procedure di acquisizione di beni e servizi in ambito digitale, di cui avremo sempre più bisogno. La perdita di competenze digitali interne alle PA rappresenta infatti attualmente un grave problema in quanto impedisce loro non solo di scrivere bandi di gara in grado di selezionare i prodotti/servizi migliori e condividere lo sviluppo delle soluzioni, ma prima ancora di comprendere e saper esprimere i bisogni, che tipicamente non necessitano esclusivamente di soluzioni tecnologiche ma richiedono una indispensabile azione di semplificazione procedurale a cui spesso deve corrispondere una necessaria riorganizzazione interna.
La speranza è quindi che, iniziando con la prossima indicazione sui Poli Strategici Nazionali (PSN) a cui è chiamata AgID, si tenga conto non solo degli aspetti tecnologici ed a quelli legati ad un possibile immediato risparmio economico, ma si vadano a considerare anche altri importanti fattori che vengono spesso erroneamente trascurati. È oramai indispensabile che al digitale si guardi in modo ampio e lungimirante, considerando aspetti non solo tecnologici, ma anche culturali, sociali ed economici.