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Risiko dell’auto: perché Ue e Usa stanno sbagliando nella rincorsa alla Cina



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Il settore automobilistico globale affronta un periodo di cambiamento radicale. La protezione delle industrie locali da parte dei governi occidentali non basta a contrastare il successo cinese, che si basa su una strategia di sistema e non su singole aziende

Pubblicato il 19 dic 2024

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione



auto elettrica (1)

Il settore automobilistico globale è a un crocevia critico. Mentre i governi occidentali cercano di proteggere le loro industrie per motivi economici e sociali, il successo della Cina, radicato in una strategia di sistema, mette in luce le carenze delle politiche di sussidio.

Nonostante Tesla rappresenti un faro di innovazione, le tensioni geopolitiche e le sfide sul mercato cinese minacciano la sua posizione. In questo contesto, l’innovazione e la riduzione dei costi energetici emergono come strategie indispensabili per mantenere la competitività in un panorama dominato sempre più dai protagonisti asiatici.

Esaminiamo la situazione dei mercati europei, americano e cinese, per fare il punto sulle strategie, difensive quelle occidenteìali, più lungimiranti quelle di Pechino, e sulle prospettive future del settore.

Musk, l’auto e la nuova amministrazione americana

Negli Stati Uniti Musk ha posto le premesse per la diffusione dell’auto elettrica e probabilmente spingerà la nuova amministrazione a politiche che, mentre rallentano il declino della produzione domestica tradizionale riescano a favorire la diffusione dell’auto elettrica.

È da almeno 10 anni, non da oggi, che Musk ha tracciato la strategia sulle emissioni con la scelta dell’auto elettrica. Alla ricerca costante di come creare l’ecosistema necessario alla diffusione del suo prodotto, nel 2010 Tesla acquisiva l’enorme stabilimento dismesso di Toyota che produceva ogni anno 500.000 Corolla e Tacoma, nel 2016 acquisiva Solar City per il fotovoltaico, nello stesso anno inaugurava la Gigafactory vicino a Reno per produrre batterie e motori elettrici. Musk aveva capito che la ricarica era un limite alla diffusione delle auto elettriche e investì in Tesla Supercharger, una rete per ricaricare in 20’  l’80% delle batterie.

Tesla da sola, per quanto innovativa, non riuscirà a sostenere il ruolo dell’industria dell’auto nell’economia americana, non potendo bilanciare la perdita sul lato della produzione endotermica.Conoscendo Musk, proverà a cavalcare l’idea di un confronto competitivo tra Cina e Tesla, con gli Stati Uniti in ruolo di arbitro che detta le leggi. Non sarà facile, perché Tesla è presente in Cina in misura significativa, sia per le vendite sia per la produzione, e non è scontato che gli Stati Uniti possano esercitare il ruolo di arbitro che stabilisce le regole del commercio mondiale nel futuro meno prossimo. Su questo punto le mediazioni tra protagonismo di Musk, al servizio dei suoi obiettivi e sogni imprenditoriali, e populismo di Trump, in difesa dei blue collar dell’industria americana, porteranno scarsi risultati se non palesi conflitti. Il grado di  protezionismo necessario a rallentare il declino dell’industria automobilistica tradizionale potrebbe essere molto costoso per i consumatori americani e potrebbe creare rezioni da parte soprattutto cinese, che potrebbero creare enormi difficoltà a Tesla. Ci saranno anche buchi nell’acqua  e molti colpi a vuoto, in particolare sulla riaffermazione della governance americana del commercio e della finanza globali. Questo non significa affatto che una governance alternativa sia visibile alla luce degli intermittenti e scoordinati incontri in materia officiati dai BRICS.

La strategia mancante

In un recente articolo, Alessandro Abbotto ha analizzato il contesto in cui sono avvenute le dimissioni di Carlos Tavares, dimostrando in modo convincente che le contumelie dell’amministratore delegato di Stellantis, presentate al Parlamento poco più di un mese fa, erano fuorvianti.[1] Le sue dimissioni sono emblematiche della crisi dell’auto europea e americana. Che non è crisi di domanda, ma crisi di offerta. Un mesetto fa Tavares affermava “Noi non chiediamo il rinvio della scadenza del 2035, siamo pronti. Abbiamo bisogno della stabilità dei regolamenti perché dobbiamo pianificare in anticipo. Ci serve un ambiente stabile e durevole” e aveva concluso chiedendo “notevoli iniezioni di incentivi … e anche sussidi”.[2]

Tavares ha guidato Stellantis per 5 anni: in un mondo in rapido cambiamento si può dire che sia un buon arco di tempo. Quando ha affermato che Stellantis “è pronta” ha contraddetto non solo la realtà, ma sé stesso, altrimenti perché andava chiedendo aiuti al governo? Tutti sono pronti a riceverli.

È giusto invece quello che diceva a proposito della stabilità delle regole, giustissimo. Ma, di nuovo, che cosa ha fatto l’industria dell’auto europea e quella con base in Italia, per contribuire a creare regole stabili? Nel 2015 l’Agenzia Federale per l’Ambiente (EPA) accusò il maggior produttore mondiale (Volkswagen) di aver dotato le auto diesel di un software che aggirava le norme dell’EPA sulle emissioni, truffando l’Agenzia i clienti e i cittadini. Due anni dopo Fiat Chrysler (FCA non ancora incorporata in Stellantis per mano proprio di Tavares nel 2020) incappò nelle stesse accuse: 110.000 veicoli erano stati venduti negli Stati Uniti con il software FCA che alterava la misurazione dell’ossido di azoto, consentendo emissioni più elevate del livello massimo previsto dall’EPA.[3]

Le case automobilistiche erano sempre pronte ad eludere con l’inganno i controlli sulle emissioni. Tutta qui la loro strategia industriale per affrontare le nuove regole dettate dal cambiamento climatico? Temiamo di sì[4]. Si noti che l’accusa del 2015 riguardava proprio le emissioni delle auto diesel, su cui, come vedremo, ancora nel 2024 il mercato europeo continuava ad esprimere una contrazione della domanda di dimensioni allarmanti, pari all’11%, doppia di quella riguardante le auto a benzina, mentre costante rimaneva la domanda di auto elettriche e cresceva (+19%) quella delle auto ibride. I dati dimostrano che il mix dell’offerta europea è sbagliato, ancorato a tecnologie superate dalle regole e dal mercato. È da questa sfasatura drammatica che spunta il successo dell’auto elettrica cinese, con gli investimenti di BYD in Europa sia per logistica/commercio sia per produzione.[5] Un successo, come vedremo, che viene da lontano, da scelte di politica industriale guidate da un uomo che aveva lavorato per l’industria europea e ne conosceva l’eccellenza della produzione e della ricerca. I dati  non dimostrano affatto l’esistenza di una crisi del mercato europeo, comunque cresciuto sia pur di poco tra il 2023 e il 2024. Il mercato mondiale, secondo le previsioni dovrebbe crescere di oltre il 5% all’anno fino al 2033. La crisi è di strategie aziendali.[6]

Le ragioni dell’allontanamento di Tavares da Stellantis

La politica di Tavares si è espressa nell’accorpamento dei marchi, per poter sfruttare le economie di scala ed eliminare doppioni di costo: una strategia da ristrutturatore, di chi ha già rinunciato alla prima linea e punta a sopravvivere frenando gli investimenti innovativi, riducendo i costi per garantire a breve i dividendi agli azionisti[7].

Ma le ragioni che hanno portato al suo allontanamento, più che le grossolane interlocuzioni con le istituzioni, sono stati i risultati del 3° trimestre 2024, con -27% di ricavi e -20% di consegne. Si noti che la differenza cospicua tra i due indici indica che il mix offerta/prezzi di vendita è sbagliato. Non solo, ma il -42% di ricavi in Nord America nel terzo trimestre indica che l’offerta dei brand più forti: Chrysler, Ram e Jeep segnala uno sfasamento dell’offerta su quel mercato, strategico per Stellantis[8]. La convinzione di Tavares, che probabilmente Elkann e gli azionisti condividevano, era che i governi europei si sarebbero piegati, forse non fino a battersi con successo per abolirela chiusura della produzione a motore endotermico, ma a concedere aiuti domestici e dilazioni.

Promesse di redditività non mantenute

È probabile che Stellantis nei prossimi mesi cerchi di vendere al governo l’allontanamento di Tavares come una concessione dell’azienda al governo in cambio di aiuti. Uno scambio, come abbiamo visto, inesistente. La scelta di abbandonare Tavares ha a che fare con promesse di redditività non mantenute. D’altra parte, anche la confusione strategica in cui versa Stellantis non promette nulla di buono per  interlocutori deboli e confusi come il governo e il Parlamento italiano: in un momento di criticità massima del mercato e di sfiducia generale nelle prospettive dell’azienda, questa non ha saputo fare di meglio che annunciare la scelta del successore entro la metà del 2025! Una grave incertezza che ricadrà pesantemente anche sulla credibilità del presidente di Stellantis. Forse tutto quel tempo servirà a trovare un altro amministratore delegato, magari meno spigoloso ma comunque in grado di garantire dividendi a breve come il predecessore. Rimane privo di senso lanciare agli azionisti e al mercato un simile segnale di incertezza: sei mesi per cambiare amministratore delegato. In questo contesto proseguirà, ma senza il decisionismo di Tavares, la scelta di contrazione e marginalizzazione priva di strategia del settore dell’auto in America, in Europa ed in Italia, alimentata dalla fiducia che ogni incumbent nutre di poter condizionare le politiche ambientali nazionali ed europee, come indicava Umberto Bertelè nell’articolo citato.

La strategia Volkwagen e lo scontro coi sindacati

Più diretto è lo scontro aperto da Oliver Blume, amministratore delegato di Volkwagen (VW), con i sindacati per avviare la ristrutturazione e ridurre le fabbriche in Germania.

Anche lui, come Tavares mente dicendo che il mercato si sta riducendo: “La torta è diventata più piccola e abbiamo più ospiti a tavola”, ha affermato, e abbiamo visto che così non è. È l’offerta della VW che è sbagliata e che non incontra più la domanda come accadeva prima della rivoluzione elettrica.

VW ha nel mercato cinese un punto di forza, per vendite e produzione. Lo aveva conquistato con decenni di investimenti che avevano portato il gruppo a produrre in Cina, conquistando un quota di mercato del 20%. Molti di coloro che sono andati in Cina durante le Olimpiadi di Pechino o l’Expo di Shanghai, ricorderanno la diffusione della Santana VW, l’auto delle nuove schiere del ceto medio cinese. Nei primi 9 mesi del 2024 la caduta della quota di mercato di VW è stata del 12%, e quella dei profitti del 60% (luglio-settembre). “VW ha un margine operativo solo del 2% nei primi nove mesi. Ciò sottolinea l’urgente bisogno di significative riduzioni dei costi e guadagni di efficienza” ha affermato Arno Antlitz, capo della finanza di VW, prima del confronto con i sindacati, che è stato e rimane assai difficile.[9] Ci sono in ballo tre stabilimenti in Germania, oltre ai tagli dei salari, dei bonus dei dirigenti e dei dividendi. In Cina ci sono 90.000 dipendenti e oltre 30 impianti di produzione e di componenti.

La strategia VW in Cina

La strategia VW in Cina ha funzionato nel periodo di ingresso e consolidamento della presenza commerciale e produttiva in quel Paese, quando ancor la dimensione e capacità dell’industria cinese era lungi dall’esser consolidata. Quindi VW, con l’appoggio delle autorità tedesche che, con il Land della Bassa Sassonia possiede il 20% del Gruppo, è riuscita nella fase pre-elettrica, ad acquisire una posizione di dominanza in quel mercato. Ma non bastavano gli accordi istituzionali a consolidare la posizione di VW. A lungo andare, come dice l’esperto del settore della automobile Ferdinand Dudenhoeffer “la quota pubblica ha finito per “impedire all’azienda di adattarsi”, facendola funzionare come una azienda statale.[10] La Cina aveva una strategia sull’auto elettrica, articolata, determinata, efficace. Anche il tentativo di dotarsi di un fornitore europeo di batteria sembra naufragato nel fallimento della Northvolt, promettente startup svedese di batterie in cui VW e BMW hanno investito. I loro programmi sull’auto elettrica subiranno ritardi[11].

Vincitori e vinti

La crisi dell’auto europea e americana è di strategie: Tesla ha puntato tutti i suoi investimenti nell’innovazione, a volte con dispersioni eccessive di risorse, come nel caso della guida automatica e trascurando il mercato low cost che sarà il futuro del successo cinese. Ma ha sicuramente dedicato gli investimenti a creare l’ecosistema dell’auto elettrica. Ovviamente non ci può riuscire da sola, e forse anche per questo Musk si è esibito in modo così giovanile sui palchi e ha finanziato così generosamente la campagna di Trump.

La mancanza di strategie, l’attardarsi nelle proprie posizioni difensive di incumbent, ha portato a tracolli clamorosi sul piano delle quotazioni.

Si noti il disastro di Stellantis, che aveva puntato su Tavares, l’uomo dei dividendi. E quello delle marche tedesche, per i motivi analizzati. Ma si noti anche che General Motors (GM) ha recuperato nelle quotazioni, proprio per effetto del successo della sua linea di produzione di auto elettriche: “una forte trimestrale esibisce una cresciuta del 10% dei ricavi dovuta non solo ai motori a combustione interna, ma al successo dell’offerta di veicoli elettrici a zero emissioni”[12].

Il buon andamento di GM deriva dalle previsioni sui ricavi, che la confermano  come l’unico incumbent che esibisce attese migliori di quelle di Tesla, mentre critica appare la situazione delle altre grandi protagoniste del mercato tradizionale, in particolare quelle tedesche.

Il sentimento  degli investitori si basa sul rapporto prezzo utili attesi, dove le attese sugli utili hanno elevati margini di incertezza e indeterminazione. Ma il rapporto tra i valori attuali è un buon indicatore di come si posizionano le aziende in termini relativi. Qui, di nuovo, Tesla domina l’interesse degli investitori, con un rapporto tra quotazione e utili superiore a 100, e al secondo posto BYD, la società cinese di auto elettriche e componentistica. Ultima Stellantis e in difficoltà le altre incumbent, in particolare tedesche.

C’è bisogno di politiche industriali e non di sussidi

Uno dei temi fondamentali che si pongono per una politica industriale non occasionale e non perdente, è il costo dell’energia. È un problema che condividiamo con il Regno Unito, la Germania e altri paesi europei.

Ridurre il costo di un input generale e pervasivo avrebbe effetti positivi sulla competitività industriale, senza creare favoritismi intollerabili (soprattutto dopo la lunga storia di favoritismi FIAT-Stellantis che non ha portato da nessuna parte) e senza rallentare con sussidi inutili e dispendiosi la necessaria trasformazione industriale del settore. Infatti, la riduzione del costo dell’energia favorirebbe non solo gli incumbent, ma anche le aziende che investono nell’auto elettrica. Nell’indagine sulle criticità del settore auto condotta da ABB, il tema del costo dell’energia è tra quelli che destano maggiore preoccupazione, soprattutto in Europa (figura 4).

Le scelte sull’energia e sulla sua tassazione sono centrali per mantenere la competitività del settore manifatturiero e di quello dell’auto in particolare[13].

Nella figura 5 è misurata la dominanza di mercato delle maggiori aziende produttrici, misurata calcolando la quota di produzione di auto-ZEV equivalenti, ottenuta sommando la produzione di ZEV, ossia auto solo elettriche ad emissioni zero, ad una parte della produzione di auto ibride, ma dotate di ricarica esterna (PHEV).

Per avere un ruolo nell’auto elettrica, non necessariamente bisogna avere una Tesla2. Basta avere qualcuno che fa i freni o le batterie o i motori, esattamente come ha fatto, per i freni la Brembo, fornitrice delle case tedesche.

Il grafico ci dice che tra le prime dieci aziende che dominano il mercato mondiale, non per le vendite, ma per la quota di produzione ZEV-equivalente, vi sono 6 aziende cinesi, una americana, con importanti presenze produttive in Cina e tre tedesche, tutte in crisi nel mantenere la loro importante penetrazione nel mercato cinese. La Cina è al centro della strategia dell’auto del futuro.

L’artefice del successo cinese

Si attribuisce al ministro Wan Gang la scelta di puntare sull’auto elettrica cinese. Ministro con il Presidente Hu Jin Tao, Wan Gang è un ingegnere di Hanzhou, capitale della provincia dello Zhejiang, da cui provengono la gran parte dei cinesi che lavorano in Italia. Viene da una esperienza nell’industria automobilistica tedesca, lavorava in Audi dal 1991 al 2000. Wan Gang sapeva che nel proprio paese si consumava (all’epoca) un barile di petrolio a persona contro i 12 della Germania i 20 degli Stati Uniti e  voleva che anche in Cina si raggiungessero gli standard di vita occidentali. Pensò, tuttavia, che spingendo la Cina verso i consumi pro-capite occidentali, la densità della sua popolazione avrebbe reso impossibile sostenere il conseguente livello di inquinamento.

Nel 2000 propose a Zhu Lilan, allora ministra della scienza, una visita ai quartieri generarli di Audi a Ingolstadt e durante la visita le prospettò che bisognava portare la Cina a saltare la fase del motore a combustione interna, usando una tecnologia differente. In quell’anno gli Stati Uniti producevano 15 milioni di auto, mentre la Cina  ne produceva 700 mila.

Già tutte le grandi compagnie cominciavano a lavorare sull’auto elettrica a livello di ricerca. Il partito lo chiamò in Cina per presiedere l’ Università principale di Shanghai, TongJi e per sviluppare il programma per lo sviluppo della competitività e dell’innovazione tecnologica. Lavorò a Tongji e convinse il Consiglio di Stato (il Governo) ad adottare politiche per lo sviluppo di mezzi di trasporto alternativi a quelli dotati di motore endotermico a combustibile. Nel 2009 lanciò il programma per il veicolo elettrico destinato a cambiare il volto dell’industria cinese dell’auto. Nel 2008, in occasione delle Olimpiadi di Pechino decise la chiusura degli impianti industriali a combustibili fossili e la costruzione di 1000 autobus elettrici per gli atleti, oltre a impiantare milioni di alberi per contrastare le emissioni di CO2 causate dai viaggi aerei degli atleti.

Gli autobus non furono costruiti in quei numeri, ma in quantità puramente rappresentative, mentre i milioni di alberi furono piantati e le industrie pesanti allontanate definitivamente dalle aree metropolitane. Nel 2007 divenne ministro della scienza e tecnologia. Favorì accordi di cooperazione industriale, commerciale e tecnologica. Portò molte industrie automobilistiche occidentali a stabilirsi in Cina con impianti per creare un contesto di “filiera”. Fu contrario a dazi e protezionismo, ma curò con insistenza i programmi di trasferimento tecnologico riguardanti le tematiche ambientali e favorì l’insediamento in Cina di realtà imprenditoriali anche piccole, ma replicabili. Quando Wan Gang rientrò in Cina il prodotto lordo cinese era di poco superiore a quello dell’Italia, oggi è 8 volte superiore. Wan Gang lanciò il programma dell’auto elettrica con sussidi eccezionali, con 10.000 dollari di aiuti a chi comprava l’auto elettrica e al contempo spingendo le amministrazioni locali a rendere onerosissima la licenza di guida per le auto tradizionali. Già ai tempi delle Olimpiadi e dell’Expo per le metropoli cinesi giravano solo motorini elettrici.

I risultati di questo straordinario sforzo sono visibili nella figura 6. Nel 2016 la Cina esportava metà delle auto esportate dagli Stati Uniti e sette volte meno di quelle esportate dalla Germania. Meno di 10 anni dopo (il tempo necessario in Italia per far fallire tre volte Alitalia e avviare il primo processo per danni ambientali all’acciaieria di Taranto esempi eclatanti delle politiche di sussidio) la Cina esporta 5,7 milioni di auto ossia 8 volte quelle esportate dagli Stati Uniti[14].

Questa situazione si è determinata sia in ragione del successo dell’export cinese, in particolare delle macchine elettriche, sia a causa del rallentamento della domanda interna cinese, in presenza di tassi di crescita del PIL più contenuti che in passato. Si è così creato un vuoto tra offerta potenziale e domanda effettiva, che si sta allargando, come si vede dalla figura 7.

Conclusioni

Il settore dell’auto è a un punto di svolta. I governi tendono a proteggere le industrie residenti per motivi occupazionali,  di consenso sociale e per motivi di sicurezza. Ma il successo cinese ha radici lontane e profonde e soprattutto è il risultato di un successo di sistema, non di una singola azienda, come nel caso di Tesla, che peraltro è legata a doppio filo alla Cina. I produttori occidentali hanno ragione a preoccuparsi del dumping cinese, dato che di sussidi è piena la storia dell’auto elettrica. Ma tali politiche, pur motivate non bastano, neppure a fermare il declino della posizione degli incumbent tradizionali. Forse servono  a rallentarlo, come pensano di fare Tavares & Co. Rimarrebbe insoluta la questione della competitività e della capacità innovativa.

L’unica azienda occidentale che la ha esplicata è Tesla, ma essa rischia di rimanere schiacciata dalle politiche di contrasto tecnologico e politico che Trump instaurerà con la Cina. Trump non sarà in grado di creare un ecosistema per l’auto elettrica e Tesla da sola, sicuramente in crescenti difficoltà con la Cina, dovrà arrendersi a diventare uno dei fornitori di auto elettriche, quelle di lusso. Il rischio di una reazione cinese che porti ad ulteriori dazi minaccia ulteriormente la posizione delle aziende europee, ed in particolare tedesche, che hanno nel mercato cinese una presenza essenziale.

L’auto è stata simbolo dell’economia del benessere postbellico, ma è stata anche forza trainante dello sviluppo delle infrastrutture e del modello di vita dei paesi industrializzati. Quella centralità oggi si radica in Cina e in India. Nei paesi occidentali l’auto tende a perdere centralità. La via dell’innovazione non è rinunciabile, perché la difesa degli incumbent con protezioni e sussidi rallenterebbe ulteriormente il settore, che già ha perso il primato a favore delle aziende cinesi.

La politica industriale per l’auto del futuro non passa attraverso interventi di sussidio, ma di riduzione dei costi di produzione e dei costi d’uso dell’auto elettrica: costo dell’energia, sua tassazione e soprattutto infrastrutture per creare una rete di rifornimento europea.


[1]) Alessandro Abbotto, Tavares, Volkswagen e la decarbonizzazione: tre storie diverse, Network Digital 360, 4 dic. 2024.

[2]) Il Fatto Quotidiano, Stellantis, Tavares: “Pronti per transizione, ma servono altri incentivi”. Schlein: “Deludente”. Conte: “Basta aiuti senza un piano”, 11 ottobre 2024.

[3]) EPA, Notice of FCA Violation, January 12, 2017. https://www.epa.gov/sites/default/files/2017-01/documents/fca-caa-nov-2017-01-12.pdf

[4]) Una valutazione dell’impatto della frode in Germania ha portato ad una stima di morti anticipate corrispondenti a 1.000 anni di vita e ad un costo di 1,9 miliardi di Euro ad essi associati. Vedi: Guillaume P Chossièr, Robert Malina, Akshay Ashok, Irene C Dedoussi, Sebastian D Eastham,

Raymond L Speth, Steven R H Barrett, Public health impacts of excess NOx emissions from

Volkswagen diesel passenger vehicles in Germany, Environmental Research Letters, 27 June 2026.

[5]) Umberto Bertelè, Auto elettrica, l’industria Ue a un bivio: come non cedere alla Cina, Agenda Digitale, 19 marzo 2024.

[6]) The Economist,Will the trouble ever end for Volkswagen and its rivals? 28 11 2024.

[7]) Filomena Greco, Marigia Mangano, Stellantis, dalla cura Tavares utili boom ma vendite a picco. La gestione del manager portoghese ha generato 50 miliardi di profitti ma nel 2024 i volumi saranno vicini a 5,4 milioni di vetture, Il Sole 24 Ore,6 dicembre 2024

[8]) Gloria Fiocchi, Tavares’ American failure: Stellantis in deep crisis, Club Alfa Global December 2, 2024.

[9]) Jasper Jolly, Volkswagen hit by 60% fall in profits as sales in China slump

[10]) France 24, From China woes to EV troubles, VW faces rocky road, 2/12/2024.

[11]) Dietrich Knauth, Marie Mannes, Terje Solsvik, Sweden’s Northvolt files for bankruptcy, in blow to Europe’s EV ambitions, Reuters, Novembre 22, 2024.

[12]) GuruFocus News, October 23, 2024, Yahoo Finance.

[13]) ABB & AMS Automotive Manufacturing Outlook Survey,

[14]) Agnes Chang, Keith Bradsher, How China Became the World’s Largest Car Exporter, The New York Time, Nov. 29,2024.

EU Stories - La coesione innova l'Italia

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