Solo fino a qualche anno fa, affiancare parole come beni culturali e innovazione digitale sembrava un azzardo, un salto verso un futuro affascinante e ineluttabile ma ancora troppo lontano. E invece quel futuro è già adesso, e anzi diventa anche rapidamente passato. Questo perché il progresso tecnologico corre incredibilmente veloce, alimentando una rivoluzione digitale sempre più pervasiva, che sta determinando profondi e repentini cambiamenti in tutti i settori del nostro vivere quotidiano, con un impatto notevole anche nel campo dei beni culturali.
Così, se una volta la digitalizzazione del patrimonio si riduceva in via quasi esclusiva a un’attività di catalogazione complessa e costosa, utile soprattutto a una platea sostanzialmente ristretta di addetti ai lavori, ricercatori e studiosi ma incapace di arrivare al grande pubblico, oggi strumenti tecnologici avanzati offrono opportunità straordinarie sia sul piano della produzione e della distribuzione di contenuti innovativi che su quello della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale.
Digitale per i beni culturali, al Mibac una struttura ad hoc
Confrontarsi con questa rivoluzione è allo stesso tempo un’assoluta necessità e una sfida estremamente stimolante, fornendo la possibilità di esplorare frontiere inedite e di sperimentare nuove forme di approccio ai beni culturali. Una sfida che come ministero abbiamo raccolto subito, con convinzione, istituendo per la prima volta in assoluto una delega alla digitalizzazione del patrimonio culturale, stanziando risorse in legge di bilancio, avviando un significativo piano di investimenti, prevedendo, nella riforma voluta dal ministro Bonisoli, l’istituzione al Mibac di una struttura dirigenziale che si occuperà in maniera specifica di digitalizzazione e innovazione.
D’altra parte i campi possibili di applicazione del digitale ai beni culturali sono enormi e gli scenari in continua evoluzione. Già oggi la digitalizzazione dei contenuti permette la visita di un museo o di un sito archeologico anche a migliaia di chilometri di distanza, da computer o da device mobili, con la disponibilità in tempo reale di informazioni elaborate dagli archivi storici. Tecnologie come realtà aumentata e virtuale, intelligenza artificiale, offrono la possibilità di esplorare grazie a speciali visori ambienti e luoghi del passato, anche perduti, con esperienze immersive a 360 gradi, in spazi animati. La ricostruzione in 3D permette forme di fruizione nuove, rivolte anche a non vedenti e ipovedenti, per i quali è oggi possibile conoscere e apprezzare le opere d’arte, non solo statue ma anche capolavori della pittura. La diagnostica per immagini – dunque Tac, risonanze magnetiche, ecografie – consente di esplorare a fondo le opere d’arte, in maniera non invasiva, fornendo informazioni preziosissime e non visibili a occhio nudo, come la datazione di un’opera, la sua autenticità, il suo stato di conservazione, eventuali interventi di restauro.
Beni culturali, dal satellite al gaming
Un’importanza sempre maggiore assumerà il ricorso ai satelliti per la salvaguardia dei monumenti, favorendo attività di monitoraggio e analisi a fini di tutela, conservazione e sicurezza, mentre l’utilizzo dei droni è già oggi fondamentale per individuare le opere da recuperare in aree colpite da calamità naturali. Poi ci sono le applicazioni pratiche, in cui il digitale ha assicurato risposte e soluzioni assolutamente innovative a problemi cronici. Si pensi al sistema tagliacode sperimentato con successo alla Galleria degli Uffizi di Firenze, uno dei musei più visitati d’Italia.
Fino a un anno fa, nelle giornate di maggiore afflusso i tempi d’attesa agli accessi erano lunghissimi, oggi invece quei tempi sono stati quasi azzerati. Questo grazie all’adozione di un nuovo sistema di gestione degli ingressi basato su modelli statistici, elaborato dagli Uffizi insieme all’Università dell’Aquila. Un sistema che allo stesso tempo permette di valorizzare anche altri siti culturali solitamente meno visitati, dal momento che la riduzione delle code agli ingressi dei grandi attrattori concede ai turisti più tempo per scoprire siti vicini. Mibac e Comune di Roma stanno lavorando insieme per adottare soluzioni simili anche per i più affollati luoghi della cultura del centro della capitale.
Un altro ‘matrimonio’ che poteva sembrare impossibile una volta, e che invece è stato già felicemente celebrato, è quello tra mondo dei videogiochi e beni culturali. L’industria del gaming ha infatti trovato in musei, gallerie, siti archeologici una miniera preziosissima cui attingere spunti per nuovi prodotti, che si stanno rivelando eccellenti strumenti di promozione e di valorizzazione di contenuti culturali. Ricordo a titolo di esempio “Father and Son“, il videogioco archeologico prodotto e distribuito gratuitamente dal Museo archeologico di Napoli e destinato al pubblico internazionale di tutte le età. Rilasciato in italiano, inglese, cinese, russo, francese, spagnolo e portoghese, prossimamente in arabo e tedesco, il videogioco ha avuto quasi 4 milioni di download connettendo decine di migliaia di persone al museo.
Grande successo ha fatto registrare anche il Progetto Antenati, coordinato dalla Direzione Generale per gli Archivi del ministero per i Beni e le attività culturali italiano: un portale che, grazie alla digitalizzazione dell’enorme patrimonio documentario relativo ai Registri di Stato civile, rende possibile condurre ricerche anagrafiche e genealogiche e ricostruire così la storia di famiglie e di persone.
Tecnologia e patrimonio culturale, gli impatti economici
Tutto ciò ha già oggi – ed è destinato ad avere in misura maggiore nei prossimi anni – innumerevoli e importanti ricadute anche su altri settori, direttamente o indirettamente collegati a quello dei beni culturali, favorendo lo sviluppo di nuove conoscenze e lo scambio di idee, dando un contributo determinante all’innovazione, attirando investimenti, creando posti di lavoro ad alto contenuto tecnologico, offrendo importanti opportunità di crescita.
Il potenziale è enorme e in parte ancora inespresso, basti pensare all’impatto che avrà prossimamente la tecnologia 5G, la quale assicura una circolazione di dati molto maggiore e con una velocità notevolmente superiore rispetto a quelle attuali. Questo significa che si potranno produrre immagini e video ad altissima risoluzione e quindi nuovi servizi e nuove esperienze anche nel campo della produzione culturale.
Guardando al futuro, possiamo immaginare che un giorno sarà possibile assistere alla prima di un’opera, a un concerto o a una rappresentazione teatrale in scena in Italia in contemporanea anche nei principali teatri d’Europa o dal salotto di casa, attraverso la riproduzione tridimensionale di scene e attori e l’utilizzo di visori VR, così da rendere l’esperienza culturale un patrimonio comune. Oppure possiamo pensare alla possibilità di tenere un giorno, io auspico presto, una mostra virtuale in contemporanea in più musei d’Europa, con l’esposizione di opere opportunamente digitalizzate messe a disposizione dei visitatori grazie ai più moderni strumenti tecnologici. Chiunque potrà vedere, in un’unica visita virtuale, opere che si trovano a migliaia di chilometri di distanza, per esempio al Louvre, agli Uffizi, al Prado e in tanti altri musei e gallerie d’Europa.
Cultura e digitale, i piani di investimento
Insomma, ci sono spazi enormi. Servono però risorse, lo sappiamo bene. Come primo passo abbiamo perciò stanziato per la digitalizzazione del patrimonio culturale 4 milioni di euro in legge di bilancio, quindi abbiamo avviato un grande piano rivolto alle regioni del PON ‘Cultura e Sviluppo’, cioè Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, con il quale puntiamo a impegnare fondi comunitari, fino a 51 milioni di euro, per interventi finalizzati alla valorizzazione attraverso il digitale dei beni culturali, anche come leva di sviluppo territoriale e come sostegno alla nascita di imprenditorialità e nuova occupazione.
L’obiettivo è realizzare interventi che migliorino la fruizione dei luoghi della cultura e ne favoriscano la divulgazione della conoscenza. Saranno raccolti fabbisogni e proposte di progetti relativi alla realizzazione, attraverso tecnologie digitali, di piattaforme conoscitive ed informative legate agli attrattori, di aree di condivisione web oriented, di applicazioni di realtà virtuale, 3D e gaming, di forme innovative di linguaggio audiovisivo; alla creazione e implementazioni di archivi digitali che favoriscano la maggiore e più estesa conoscenza e accessibilità del patrimonio culturale; alla definizione e applicazione di modalità e strumenti innovativi riguardanti i servizi di accoglienza e di supporto alla fruizione; all’individuazione di forme e strumenti innovativi di gestione integrata delle attività rivolte agli utenti, quali per esempio card per servizi integrati o in rete, sistemi di bigliettazione integrata, servizi di informazione integrata. I progetti approvati saranno poi realizzati da operatori con specifici requisiti, selezionati attraverso bandi di gara rivolti, tra l’altro, al tessuto imprenditoriale e al mondo dell’università e della ricerca.
C’è un altro tema che merita grande attenzione. L’innovazione digitale conferisce ai beni culturali una nuova identità digitale che si aggiunge a quella originaria e non la sostituisce. Si genera dunque un patrimonio culturale digitale, dal gigantesco valore patrimoniale, che deve essere opportunamente gestito nella sua implementazione, nel suo utilizzo, nella sua conservazione.
Patrimonio culturale digitale, patto pubblico-privato
Due i punti fondamentali: il rapporto tra pubblico e privato e la gestione di questo patrimonio culturale digitale che progressivamente si va formando. Sul primo punto, è a nostro avviso impensabile non confrontarsi con i privati, avendo questi mezzi, risorse, tecnologie, know-how che il pubblico non ha, attraverso i quali è possibile sviluppare progetti che il pubblico da solo non può portare avanti. Si tratta di studiare opportune forme di partenership, di individuare il giusto punto di equilibrio tra prerogative del pubblico ed esigenze del privato, fermo restando il controllo del pubblico sui beni. E anche su questo siamo impegnati a fondo.
Quanto al secondo punto, è evidente che questo patrimonio culturale digitale è orientato in primis alla fruizione, alla ricerca, alla conservazione, e in quanto tale deve essere offerto nella maniera più ampia e aperta possibile. Ma bisogna tener presente le delicate questioni legate al suo riutilizzo, alla generazione di prodotti e servizi di natura anche diversa da quella culturale, per esempio industriale o commerciale.
Una cosa però è certa: l’innovazione digitale è una risorsa strategica e lo è anche per i beni culturali. Offre grandi opportunità, consente di gettare un ponte tra passato e futuro che è nell’interesse di tutti: di chi gestisce i beni culturali, di chi sviluppa contenuti ed eroga servizi ad essi collegati, di chi svolge attività di studio e ricerca e, soprattutto, degli utenti, che possono avvicinarsi sempre di più e sempre meglio al mondo meraviglioso della cultura. Noi – governo e ministero – ne siamo convinti e lavoriamo per accelerare il processo di digitalizzazione del nostro straordinario patrimonio. E’ una priorità. Sarebbe davvero imperdonabile non cogliere questa enorme occasione.
—
*Gianluca Vacca era sottosegretario al momento della stesura di quest’articolo. Ora resta deputato alla Camera (M5S)