intelligenza artificiale

Ecco i robot doppiatori: quali tutele per il “copyright” della voce di attori e giornalisti

L’avvento degli algoritmi anche nel doppiaggio di opere audiovisive pone non poche problematiche: nella voce, come nell’immagine e in altri elementi identificativi, albergano diritti personalissimi dell’individuo che non cessano con la morte dei loro detentori. Ecco le tutele che ci sono e quelle che servono

Pubblicato il 22 Ott 2021

Luciano Daffarra

C-Lex Studio Legale

Programma nazionale intelligenza artificiale

La notizia pubblicata in questi giorni dal Wall Street Journal[1] che annuncia l’ingresso nel mercato audiovisivo di opere doppiate nelle diverse lingue conosciute, attraverso l’impiego di voci simili a quelle dell’uomo generate attraverso algoritmi e, segnatamente, tramite l’impiego dell’intelligenza artificiale, seppure rappresenti un importante passo in avanti nell’ambito del mercato digitale globalizzato, apre le porte a non poche delicate questioni.

La prima e la più ovvia problematica che si spalanca ai nostri occhi è quella che riguarda il comparto italiano delle case di doppiaggio, le quali si troveranno di fronte alla perdita di molti posti di lavoro in breve tempo, lasciando sul terreno professionalità che il nostro Paese, con orgoglio, vanta come i migliori a livello planetario da oltre un secolo.

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Voci sintetiche, quel pathos che manca

Le voci create in laboratorio saranno forse in grado di fornire al pubblico una traduzione linguistica comprensibile dei dialoghi fra gli interpreti di un film o di una serie, ma non potranno sostituire ciò che della propria voce disse Maurice Merleau-Ponty[2]: “legata alla massa della mia vita come non lo è la voce di nessuno”.

Se, per merito della natura, la voce è fatta di altezza, intensità, durata, accento e intonazione, c’è da chiedersi come questi elementi strettamente connessi alla persona che li ha visti crescere e mutare dentro di sé, possano essere assimilabili ai suoni sviluppati da algoritmi e da apparecchi sicuramente atti a produrre onde sonore ma non le pause, i tempi, l’animo che agita l’essere umano. Tali cloni potranno apparire, quindi, come tecnicamente perfetti ma difficilmente potranno donare al pubblico il pathos, nel significato più ampio del termine, che solo un individuo dotato di cavità orale, può evocare.

La notizia diffusa oggi sulla stampa (ma già da tempo si era propagata in rete la news della nascita di programmi “text-to-speech”), è portatrice – da una parte – di un sentimento di ammirato stupore ma – dall’altro – di imbarazzato fastidio, alla vita di ogni persona che sia amante del cinema, non solo quello d’autore o quello “sartoriale” come amava definirlo Carlo Bernasconi, ma anche quello realizzato in serie, “a macchina”, secondo il distinguo operato dal medesimo manager[3].

Doppiaggio digitale e diritti

La voce sintetica – in base a quanto leggiamo – potrà portare all’udito del pubblico non solo la traduzione vocale immediata e completa delle sceneggiature dei prodotti audiovisivi messi a disposizione del pubblico su piattaforme e sale cinematografiche, ma potrà altresì offrire nuovamente all’audience la voce di attori scomparsi o quella che li connotava nella loro giovinezza. Ci potremo godere, di conseguenza, le nuove serie digitali con la voce dell’indimenticabile Giampiero Albertini, il quale dal ruolo del “Tenente Colombo” potrà essere utilmente impiegato per i nuovi prodotti seriali, magari identificandosi con qualche personaggio della new wave; lo stesso potrebbe accadere per Humphrey Bogart, la cui voce italiana in “Casablanca” (quella di Bruno Persa), potrebbe essere utilizzata per dei reality show di gran voga o per qualche altra opera destinata al pubblico adulto, almeno a quello che conosca l’esistenza del capolavoro cinematografico diretto da Michael Curtiz nel 1942.

Come sembra fare intendere fra le righe al lettore l’articolo che qui si commenta, la scelta della voce di persone viventi o scomparse, per la realizzazione di doppiaggi digitali non è, né può essere, un’opzione da esercitare con la disinvoltura di coloro i quali vedono nella tecnologia l’unica variabile da considerare per il progresso dei popoli, essendo necessario prendere anche in considerazione i diritti sottesi a tali impieghi, a cominciare dalla raccolta del consenso espresso degli attori coinvolti.

Proprio così: nella voce, come nell’immagine e negli altri elementi identificativi di una persona, albergano diritti personalissimi dell’individuo che neppure cessano con la morte dei loro detentori.

La voce come dato personale: come si tutela

Fra di essi, nell’ordinamento italiano, il Garante privacy ha da tempo precisato quale sia l’ambito dei dati personali, stabilendo che gli stessi comprendono “le informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono fornire informazioni sulle sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua situazione economica, eccetera”. Nell’ambito di queste caratteristiche dell’essere umano rientrano senz’altro i cosiddetti “dati biometrici”, i quali includono – ancora una volta usando le parole del Garante – “quelli relativi a caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di un individuo. Dato biometrico è, ad esempio, l’impronta digitale usata per sbloccare gli smartphone di ultima generazione, ma anche la conformazione fisica della mano, del volto, dell’iride o della retina, il timbro e la tonalità della voce”.

Sulla tutela della “voce” di una persona fisica, già nel lontano 8 luglio 2009, il nostro Garante per la Protezione dei Dati Personali aveva emanato un provvedimento secondo cui il gestore di un nuovo servizio commerciale il quale, per attivare tale iniziativa, aveva registrato la voce dell’utente interrogato circa l’adesione alla proposta avanzatagli, fosse tenuto non solo a consegnare al soggetto trattato, a semplice richiesta, la trascrizione di tale ordine, bensì anche la registrazione audio effettuata nell’occasione, la quale sola permette l’accesso al dato vocale. In occasione di detto provvedimento, il Garante aveva fatto riferimento, a supporto della propria determina, alle norme vigenti nell’Unione Europea, segnatamente all’art. 33 e al Recital 14 della Direttiva 95/46/CE[4] (ora modificata con il Regolamento (UE) 2016/679 – noto come GDPR), oltre che al Parere del 20 giugno 2007, n. 4/2007, dell’Art. 29 Working Party[5], l’organo disciolto nell’anno 2018 che forniva consulenza indipendente in materia di privacy a livello comunitario. Oggi, l’art. 9, comma 1 del GDPR vieta, senza il consenso degli interessati, l’utilizzazione dei “dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica”[6] i quali includono certamente il timbro e la tonalità della voce di ogni singolo individuo (si veda anche sul punto l’Art. 4(1) GDPR).

La circostanza che la voce di un individuo rappresenti un dato personale trova conferma a livello comunitario europeo[7] in diversi paesi dell’Unione, ove non solo i Garanti per la Privacy impongono il previo ottenimento del consenso del soggetto la cui voce è sottoposta a trattamento da parte di terzi ma, in alcuni casi, la Data Protection Authority ha stabilito che in base al GDPR è necessario il consenso espresso in maniera univoca alla registrazione telefonica della voce degli utenti, impartendo precise indicazioni in tale direzione alle imprese multinazionali degli stati terzi che comunicano con gli utenti basati in seno all’Unione Europea.

Sulla scorta di quanto sopra illustrato emerge il fatto che la voce di una persona rappresenta un dato personale tutelato e tale protezione perdura per l’intera sua vita anche se la voce stessa muta nel tempo quale dato biometrico personale.

Cosa accade in caso di decesso della persona trattata

Invece, che accade della tutela di questi stessi dati in caso di decesso del soggetto trattato?

La questione è complessa ma va affrontata per gradi: in linea generale, il Recital 27 del GDPR, statuisce che il regolamento non si applica ai dati personali delle persone decedute. La norma comunitaria consente peraltro agli Stati membri di introdurre a propria discrezione norme riguardanti il trattamento dei dati personali delle persone defunte. A tale riguardo il nostro legislatore, con l’adozione del D. Lgsl. 101/2018, che ha modificato la precedente normativa del D. Lgsl. 196/2003 alla luce delle disposizioni del Regolamento UE/679/2016, ha introdotto l’art. 2-terdecies nel Codice della Privacy che, in riferimento alle persone decedute, stabilisce al comma 1 quanto segue: “I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento riferiti ai dati personali concernenti persone decedute possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione”.

Sulla base del dettato normativo testé riportato è di tutta evidenza che, poiché gli articoli da 15 a 22 del Regolamento includono anche le disposizioni sul diritto di rettifica (Art. 16) e su quello di cancellazione dei dati (c.d. “diritto all’oblio” – Art. 17), possiamo arguire che gli eredi dell’interprete esecutore della “voce recitante” di un determinato film o di altra opera audiovisiva possano chiedere – al pari degli altri soggetti che ne abbiano un interesse proprio [8]– l’inibitoria all’utilizzo di tale voce da parte di terzi non autorizzati per iscritto, come dato biometrico della persona. La norma sopra citata del D. Lgsl. 101/2018 precisa che l’espressione del diniego all’uso dei dati personali della persona scomparsa debba essere “non equivoca, specifica, libera e informata”, fermo restando che il divieto di sfruttamento della voce della persona deceduta non può produrre effetti pregiudizievoli sui diritti patrimoniali acquisiti da terzi sulla base dell’impiego consentito dei dati personali della stessa. In tal senso, nel caso che ci occupa, gli aventi causa dal de cuius non potranno vietare l’uso della voce dell’interprete esecutore nelle opere che sono state legittimamente realizzate e poste in commercio con il consenso dello stesso[9].

Ulteriori problemi privacy

La tutela della voce recitativa in un film o in altra opera audiovisiva pone ulteriori problematiche che si aggiungono a quelle sopra tratteggiate in tema di privacy, quando si pensi al diritto d’autore e, con maggiore enfasi, al diritto morale d’autore sulla propria opera, che appartiene in modo irrinunciabile agli artisti interpreti esecutori.

Nel novero degli artisti-interpreti-esecutori di cui all’art. 80 e seguenti della Legge 633/1941, rientrano sia gli attori, nella cui performance complessiva la voce recitativa acquisisce un valore pregnante per l’intera opera audiovisiva[10], che i doppiatori. Questi ultimi, che sono fra i giusti beneficiari di ulteriori compensi in base alle norme nazionali di implementazione della Direttiva UE/790/2019[11] ove svolgano un ruolo significativo rispetto alla complessità dell’opera, dispongono del diritto a essere riconosciuti quali titolari di diritti patrimoniali e morali sulla loro opera, potendosi opporre o ogni atto che possa essere pregiudizievole del loro onore o reputazione (Art. 81 L.D.A.). Il ruolo di attori e doppiatori è quindi non solo essenziale per l’industria audiovisiva ma anche determinante per il successo di molte opere audiovisive che farebbero molta fatica ad affermarsi se i loro produttori si limitassero all’impiego di sintetizzatori vocali o di strumenti tecnologicamente più progrediti ma sempre carenti del pathos conferito ad esse dalla recitazione umana.

Conclusioni

Per queste ragioni, non solo gli attori ma anche i doppiatori, potranno opporsi all’utilizzazione della propria voce senza il loro consenso nelle opere realizzate da terzi, fermo restando che la relativa cessione dei diritti – pur venendo il suono vocale del loro recitativo riprodotto attraverso applicazioni digitali generate senza il loro intervento – dovrà avvenire attraverso accordi che liquidino agli aventi diritto il corrispettivo dovuto e, per ogni successiva utilizzazione, l’adeguata e proporzionata remunerazione stabilita per legge.

Ulteriori riflessioni, ove ce ne fosse lo spazio, meriterebbe l’esame della casistica giurisprudenziale riguardante l’utilizzazione pubblicitaria della voce “imitata” di famosi artisti e cantanti, che include il contenzioso che ha visto opposti il cantante Tom Waits e la società Frito-Lay, Inc.,[12] la quale ultima è stata condannata dalle Corti statunitensi a corrispondere al sopra citato artista la somma di 2,6 milioni di dollari di danni per averne imitato la voce in un commercial del 1991.

C’è da sperare che la tecnologia si adegui presto alle regole che tutelano il lavoro dell’uomo, prima che quello delle macchine da lui stesso create.

Note

  1. Articolo a firma di Ellen Gamerman del 7 ottobre 2021 dal titolo “The Rise of the Robo-Voices”
  2. Il visibile e l’invisibile, Bompiani, Milano, 1993, pag. 160
  3. Carlo Bernasconi – https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Bernasconi
  4. Direttiva 95/46/CE raggiungibile qui: https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31995L0046:it:HTML
  5. Il parere dell’Art. 29 WP è raggiungibile qui: https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/10704/ARTICOLO+29+-+WP+136.pdf/339f9753-f2bc-41ed-b720-0e12f0a56801?version=1.1 (in particolare si vedano la pag. 6 e la pag. 15)
  6. l’art. 4, paragrafo 1, n. 14) del GDPR, fornisce la definizione dei dati biometrici con queste parole: “dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico, relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica e che ne consentono o confermano l’identificazione univoca, quali l’immagine facciale o i dati dattiloscopici”.
  7. Cfr. l’elaborato di Catherine Jasserand, PhD STeP (Security, Technology and e-Privacy) dell’Università di Groningen (RUG) il cui URL è il seguente: https://www.spsc-sig.org/sites/default/files/2020-08/SPSC-Cafe-Jasserand-GDPR-200827.pdf
  8. Pensiamo, ad esempio, ai proprietari di una casa cinematografica che sia titolare del doppiaggio di un’opera audiovisiva interpretata da un soggetto dal quale essa abbia acquisito legittimamente i diritti.
  9. Interessante, sul tema riguardante l’accesso degli eredi ai dati personali del defunto è l’ordinanza del Tribunale di Milano, Sez. I civile, in data 10 febbraio 2021 con la quale i giudici hanno ordinato in via d’urgenza alla società Apple, quale soggetto titolare del trattamento delle informazioni riguardanti i dati personali degli account della piattaforma del figlio deceduto. In particolare il Tribunale ha escluso che alla fattispecie si potessero applicare le condizioni per la consegna delle informazioni richieste dalla normativa statunitense dell’Electronic Communications Privacy Act del 1986 (https://bja.ojp.gov/program/it/privacy-civil-liberties/authorities/statutes/1285), escludendo al contempo la sussistenza di un obbligo di consegna dei dati personali di una persona defunta ai sensi del GDPR. Il Tribunale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2-terdecies nel Codice della Privacy ha ritenuto che i genitori del ragazzo scomparso potessero fare senz’altro valere “ragioni familiari meritevoli di protezione” nel richiedere le chiavi di accesso ai terminali dei servizi Apple.
  10. A titolo di esempio, l’attrice Monica Vitti ottenne, nel lontano 1972, una significativa vittoria giudiziaria di fronte al Tribunale di Roma contro la decisione di un produttore di farne doppiare la voce in un film.
  11. Ci riferiamo agli Artt. 8 e 9 dello Schema di decreto legislativo di cui all’art. 9 della Legge di Delegazione Europea n. 53/2021 licenziato dal C.d.M. il 6 agosto 2021, attualmente all’esame delle Commissioni Parlamentari.
  12. Waits v. Frito-Lay, United States Court of Appeals, Ninth Circuit, 5 agosto 1992 – 978F.2d1093

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