Il 23 ottobre 2017, il magazine New Yorker, usciva con un nuovo numero rappresentando, in copertina, dei robot con sembianze umane (umanoidi) intenti a camminare per strada: c’era chi controllava la posta elettronica sul proprio smartphone – tanto per capirci, come fanno regolarmente oggi le persone – e chi, tra le altre cose, si fermava per dare l’elemosina a un mendicante umano.
Lo scenario presentato era piuttosto inquietante e, francamente, poco realizzabile nel concreto.
All’interno della rivista, un lungo articolo esaminava diverse possibili implicazioni che l’introduzione dell’intelligenza artificiale nelle imprese avrebbe potuto portare.
Il tema conduttore era proprio cercare di capire se da lì a qualche anno lo scenario rappresentato in copertina sarebbe diventato la realtà.
Oggi il tema dell’IA è presente in ogni mercato, a qualsiasi latitudine, e sempre più radicato nelle imprese, grazie a tecnologie che sono sempre più (e sempre meglio) in grado di supportare le aziende di qualsiasi settore (e, con esse, tutti i lavoratori) riuscendo ad automatizzare – con maggiore qualità e minori errori di quanto potrebbe fare un umano – alcune attività di routine, umili e compiti pericolosi.
Dopo quasi due anni dall’uscita di quella rivista, la narrativa tradizionale che analizza il rapporto tra “automazione del lavoro” e “futuro del lavoro” si concentra ancora in modo importante sul numero di posti che potrebbero andare persi tentando di trovare formule in grado di arrivare a un numero che, a oggi, non esiste.
Rivoluzioni industriali e occupazione
La maggioranza delle analisi, a ben vedere, trattano il tema da un punto di vista esclusivamente “quantitativo” (non “qualitativo”), provando a stimare il numero dei lavori che potrebbero andare persi e, di conseguenza, il numero dei lavoratori che potrebbero essere esclusi dal mercato.
Una delle domande più ricorrenti è certamente questa: l’IA creerà più posti di lavoro di quanti ne eliminerà? O sarà il contrario?
Chi studia storia dell’economia ha già sottolineato che ogni precedente rivoluzione industriale ha, alla fine, creato più posti di lavoro di quanti ne abbia eliminati. C’è sempre stato un saldo positivo, favorevole alle persone.
Da oltre 250 anni l’innovazione tecnologica ha cambiato la natura dei posti di lavoro e del lavoro stesso. Nel 1740, la prima rivoluzione industriale (l’avvento del vapore) ha iniziato a spostare il lavoro verso le città portandole a una rapida crescita.
La seconda rivoluzione industriale (l’avvento dell’energia elettrica), iniziata nel 1870, ha continuato questa tendenza, dando vita alla catena di montaggio, inventando posti di lavoro che hanno iniziato ad assomigliare agli uffici che oggi conosciamo.
La terza (l’avvento dell’informatica), iniziata nel 1960, quasi ai giorni nostri, ha permesso di iniziare a demandare alle macchine lo svolgimento di compiti lunghi, complessi, spesso noiosi, permettendo di risparmiare tempo e consentendo alle persone di dedicarsi ad attività a maggior valore.
Il guadagno ottenuto grazie ai calcolatori elettronici è indiscusso.
I computer non possono distrarsi, non possono dimenticare, sono molto bravi a effettuare ragionamenti probabilistici.
Oggi, con le nuove capacità e le ultime tecnologie, sono in grado di analizzare enormi volumi di dati in pochissimo tempo permettendo di trovare comportamenti simili, interessanti o utili (operazioni, queste, che per una persona sono praticamente impossibili, soprattutto nei tempi in cui riescono a svolgere il compito i calcolatori).
Così l’IA può aiutare a risolvere le sfide sociali
È anche grazie a queste funzionalità che i computer possono aiutarci a migliorare le decisioni.
Stiamo già vedendo soluzioni in grado di aiutare i medici a velocizzare alcune analisi, agricoltori che riescono a migliorare le rese dei propri raccolti, insegnanti che personalizzano l’istruzione e ricercatori che studiano soluzioni per proteggere il nostro pianeta.
L’IA ha il potenziale per aiutare la società a superare alcune delle sue sfide più importanti: la riduzione della povertà, il miglioramento dell’istruzione, l’eliminazione – intesa come sradicamento – di alcune malattie, l’affrontare sfide di sostenibilità ambientale.
L’opportunità, ma anche l’obbligo, che abbiamo è anche quello di provare a esplorare meglio l’area qualitativa dell’analisi che abbiamo citato all’inizio, affrontando anche un tema di legislazione del lavoro e contrattazione collettiva con l’obiettivo e il fine ultimo di garantire il rispetto della dignità umana e i diritti fondamentali delle persone.
Man mano che l’IA si integra con i processi e i compiti delle imprese e ne accelera l’automazione, i politici dei paesi di tutto il mondo riconoscono che sarà un importante motore di crescita economica nei decenni a venire.
Non è un caso che la Cina abbia recentemente annunciato la sua intenzione di diventare il leader mondiale in questo campo per rafforzare la sua potenza economica e creare vantaggi competitivi per le sue imprese.
Lo sviluppo di una strategia per l’intelligenza artificiale va oltre quelli che possono essere i problemi (di implementazione) e i confini delle singole aziende.
Una IA utile, responsabile, sicura
Se, da un lato, in questo percorso si è spesso bloccati sul come e dove iniziare un’introduzione dell’IA nella propria azienda in modo tale che sia realmente utile all’organizzazione, dall’altro il cambiamento culturale maggiore risulta essere il riuscire a costruire e utilizzare l’IA in modi che siano responsabili, sicuri (proteggendo in primis la privacy, da intendersi come un diritto fondamentale della persona) e rispettosi delle regole e dei regolamenti governativi.
È fondamentale contribuire a costruire una fiducia che cresca anche grazie all’uso e alla distribuzione responsabile di sistemi di IA.
Con il passare del tempo, man mano che le aziende aumenteranno la dipendenza operativa da algoritmi e modelli di apprendimento automatico – che hanno costruito ed evoluto nel tempo – dovrà essere garantita e introdotta la migliore strategia possibile di governance: una regolamentazione fondamentale per poter valutare come l’automazione e l’inserimento di nuove tecnologie intelligenti avranno un impatto sulla qualità dei lavori che saranno interessati dalla loro introduzione, piuttosto che semplicemente concentrandosi sulla loro quantità.
Già nel 2016, uno studio del Parlamento Europeo aveva indagato sulla possibilità di dare alle macchine intelligenti una “personalità elettronica”, ovverosia l’opportunità di creare una sorta di “soggetto giuridico” utile a stabilire che robot autonomi potessero avere uno status di persone elettroniche con diritti e obblighi specifici, applicandolo in maniera esclusiva ai casi in cui l’intelligenza artificiale fosse in grado di prendere decisioni o interagire in altro modo con terzi in maniera indipendente.
Lo studio portava all’attenzione delle istituzioni dell’UE alcuni elementi utili a identificare i “robot intelligenti”:
- La capacità di acquisire autonomia attraverso sensori e/o scambiando dati con il suo ambiente (inter-connettività) e l’analisi di tali dati
- La capacità di apprendere attraverso l’esperienza e l’interazione;
- La capacità di adattare i suoi comportamenti e le azioni al suo ambiente.
Il rapporto, naturalmente, non si permetteva di suggerire che i robot dovessero essere equiparati a noi esseri umani (e, certamente, non nel loro riconoscimento di diritti e doveri).
Robot e mercificazione del lavoro
La letteratura, da tempo, sta esaminando il rischio che gli strumenti tecnologici possano contribuire alla mercificazione dei lavoratori e alla loro invisibilità sociale.
Ma la rapidità con cui progredisce la tecnologia (in particolare, come stiamo discutendo, l’intelligenza artificiale), i benefici che ne derivano e la sua introduzione nel mondo produttivo porta certamente nuove sfide anche legate a nuove modalità di lavoro, impensabili fino a pochi anni fa (penso, ad esempio, a impieghi on-demand, o remoti).
Ma non è soltanto questa la novità che la tecnologia ha portato con sé.
L’introduzione di sensori (anche indossabili dalle persone) e macchine in grado di memorizzare dati sul funzionamento di apparecchi e lavorazioni permettono, in un certo senso, un controllo ancora maggiore dell’operatività dei lavoratori (andando oltre a quelle che possono essere funzionalità legate alla salute e alla sicurezza del lavoro o al monitoraggio delle normali attività).
In una sorta di parallelo, forse un po’ azzardato, è un po’ come l’essere in grado di controllare le attività sullo smartphone di un figlio minorenne e, di conseguenza, prendere decisioni sulla base di esse.
Il GDPR, almeno per i paesi dell’Unione Europea, è certamente una guida importante e utile, ma non la risposta contro, ad esempio, un uso non conforme (non etico?) di tecnologie intelligenti.
In questo ambito, l’articolo 88 del regolamento è molto utile: “Gli Stati membri possono prevedere, con legge o tramite contratti collettivi, norme più specifiche per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà con riguardo al trattamento dei dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro”
Per continuare a consentire l’innovazione e, contemporaneamente, a proteggere i lavoratori, il settore pubblico e il settore privato devono affrontare una serie di politiche chiave anche per promuovere un efficiente flusso di competenze, incoraggiare l’imprenditorialità e consentire ai lavoratori di esercitare il loro potere di mercato al meglio formando, ampliando e arricchendo le loro capacità.
Le sfide giuridiche e politiche
Data la velocità del cambiamento nella forza lavoro moderna, non sorprende che i quadri giuridici e politici esistenti non affrontino ancora in maniera adeguata l’evoluzione d’oggi.
In generale, le leggi vigenti tendono a riconoscere ancora soltanto due tipologie per i lavoratori:
- dipendenti, che lavorano tramite un rapporto formale con un datore di lavoro;
- indipendenti, che forniscono beni o servizi in base a un contratto specificato.
Man mano che andiamo avanti, sarà essenziale per i governi, il settore privato, il mondo accademico lavorare insieme per esplorare come sostenere al meglio i lavoratori nelle nuove economie (magari anche provando ad anticipare modalità oggi non ancora presenti).
Le sfide sono certamente molte, ma resto dell’idea che affiancando il lavoro umano con attività intelligenti automatizzate, si possa arrivare ad avere benefici molto interessanti, specialmente se si considera la tecnologia a supporto di attività pesanti, pericolose, ripetitive ma soprattutto, forse in maniera preponderante, utile a trovare le migliori risposte alle domande più complesse per il bene della collettività tutta.