l'analisi

Robot e posti di lavoro, la creatività salverà l’Italia: ecco come

La trasformazione digitale non ci ruba il lavoro dandolo a un robot, ma crea efficienza e rende inutili molti lavori. Restare inefficienti senza perdere competitività si può, ma solo a una condizione: occorre creare cose nuove e puntare, quindi, sulla creatività, ma anche sull’istruzione e sulla formazione continua

Pubblicato il 27 Apr 2018

Roberto Saracco

coordinatore Gruppo di lavoro “Intelligenza Artificiale” di Anitec-Assinform

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In questi ultimi tempi, ma il tema non è affatto nuovo, i giornali riportano dati preoccupanti sulla possibile perdita di posti di lavoro conseguenti ad una automazione sempre più intelligente che deborda dalle linee di montaggio diventando pervasiva, dove l’icona di questa automazione è il robot. Ultimo esempio uno studio del think tank Bruegel secondo cui un robot ogni mille lavoratori, in un’economia come quella italiana, comporta una perdita di 75 mila posti di lavoro.

Tuttavia, contro la robotizzazione del lavoro, o meglio, contro la trasformazione digitale del lavoro, l’Italia può contare su un “antidoto” che da sempre la contraddistingue e sul quale occorrerebbe puntare: la creatività.

Investire in robot e AI, ma ancor di più in istruzione

L’Italia non può non investire in robot e intelligenza artificiale. Ma non deve farlo senza investire, ancor di più, in intelligenza umana, in istruzione.  È solo attraverso questo secondo tipo di investimento che si può garantire che il robot (e l’intelligenza artificiale) rimangano uno strumento nelle nostre mani e non un sostituto delle nostre mani e di noi stessi.

Detto questo occorre anche notare che esiste un problema molto più grosso in termini di impatto sui posti di lavoro che non i robot (e l’intelligenza artificiale): il problema non è che un robot mi sostituisca facendo quello che faccio io (magari meglio, più velocemente, a qualità maggiore e costante, con minor costo). Il problema vero è che quello che faccio ora non serve e non ha senso farlo. La trasformazione digitale fa proprio questo: non ci ruba il lavoro dandolo ad un altro (robot), semplicemente rende inutile il lavoro.

Trasformazione digitale, efficienza e perdita di posti di lavoro

La trasformazione digitale, se effettuata in modo corretto, aumenta l’efficienza del sistema. Il punto è che il nostro lavoro lo abbiamo perché il sistema è inefficiente. Se lo rendi efficiente non c’è più bisogno di quel lavoro.

Prenotare un biglietto aereo, comunicare alla compagnia aerea che c’è un passeggero, assegnare il posto, incassare il prezzo del biglietto, dare i soldi alla compagnia aerea …. Tutto questo richiedeva lavoro e coinvolgeva molte persone. Oggi tutto questo è fatto online mettendo in contatto chi vuole viaggiare direttamente con la compagnia aerea (con dei computer che gestiscono tutte le transazioni richieste). Abbiamo dato efficienza al sistema…e abbiamo perso posti di lavoro. Questo è il punto vero che occorre considerare: creare efficienza toglie posti di lavoro.

Creare cose nuove per preservare l’occupazione

Allora restiamo inefficienti e salviamo i posti di lavoro. Non funziona. Viviamo in un sistema competitivo, di cui, anche a livello di nazione, si è in grado di controllare solo una piccola parte mentre non si è in grado di controllare i flussi di beni economici (semplicemente perché non conviene). Quindi se noi restiamo come siamo e in altri luoghi diventano più efficienti la nostra capacità competitiva diminuisce e perdiamo comunque posti di lavoro (perché non siamo più in grado di vendere i nostri servizi/prodotti) e diminuiamo al tempo stesso la nostra capacità di creare valore.

La creatività ci salverà dalla trasformazione digitale?

Qualcuno si spinge a teorizzare che la tendenza è verso l’efficienza “infinita” a cui corrisponde una società senza lavoro. Mi riesce difficile pensare che sia così. Comunque per i prossimi anni, e direi prossime decadi, esisteranno, e creeremo nuovi, spazi di inefficienza in grado di sostenere non solo la nostra occupazione ma quella dei 2 miliardi di nuove persone che andranno nei prossimi vent’anni ad aumentare la popolazione mondiale.

Come fare a trovare questi spazi di inefficienza? Creando cose nuove. Tutto ciò che è nuovo non è efficiente, l’efficienza arriva con l’esperienza e per approssimazioni successive. Quindi dobbiamo spingere sulla creatività, area in cui l’Italia ha dato prove eccezionali nel Rinascimento e che fortunatamente ancora oggi la distingue. Ma la creatività, oggi più di ieri, nasce dal modo in cui insegniamo ai ragazzi, più ancora che da quello che insegniamo. E qui siamo purtroppo indietro rispetto ad altri paesi. Ma, come si diceva parlando di istruzione 50 anni fa, non è mai troppo tardi, tenendo però conto che più si aspetta e più posti di lavoro non vengono creati, mentre quelli attuali scompaiono.

I posti di lavoro messi a rischio dai robot in 10-20 anni

In effetti basta andare un attimo su Google (per inciso, quanti vanno ancora alla biblioteca per raccogliere informazioni? Cosa ne è stato del mestiere di bibliotecario?) e vediamo dati senz’altro impressionanti, soprattutto perché l’impatto tende a estendersi ad una varietà di mestieri che sembrerebbero non aver nulla a che fare con i robot. Secondo uno studio di CB Insights sul numero di posti a rischio negli USA, nei prossimi 10 anni i più colpiti dalla robotizzazione saranno cuochi e camerieri (4,3 milioni); addetti pulizie (3,8 milioni) e magazzinieri (2,4 milioni). Nei prossimi 15 anni saranno i venditori al dettaglio (4,6 milioni), mentre nel giro di 20 anni a fare le spese della robotizzazione saranno  camionisti (1,8 milioni), muratori (1,2 milioni) e infermieri e addetti del settore sanità (6,9 milioni).

Dove i robot lavorano già oggi

Per ciascuna di queste professioni esistono già oggi dei robot in grado di svolgere quelle mansioni, ristoranti con robot che preparano gli hamburger e robot che servono ai tavoli, Roomba per pulire i pavimenti in casa, i robot di Amazon nei depositi per prendere oggetti dagli scaffali e impacchettarli per la spedizione. I primi mall robotizzati stanno nascendo in Giappone e Corea del Sud con robot che salutano i clienti accompagnandoli negli acquisti e robot in alcuni hotel che fungono da concierge. Convogli di camion percorrono le strade del nord svedese (poco trafficate) e in India robot costruiscono (stampano in 3D) interi villaggi. In diversi ospedali sono i robot che vanno a prendere le medicine in magazzino e le portano ai pazienti.

Robot sempre più intelligenti, nessun lavoro è più al sicuro

Spaventano i progressi della intelligenza artificiale che rendono i robot più flessibili, in grado di imparare, prendere decisioni, lavorare in team effettuare mansioni sempre più complesse, quelle che ancora nella scorsa decade venivano considerate a prova di futuro.

Ecco, oggi sappiamo che a prova di futuro non c’è più alcuna professione. Non solo. Alcune professioni non possono più fare a meno dei robot, come il neurochirurgo o l’astronauta (tanto per prendere casi estremi) per ragioni “qualitative” (impossibile avere la precisione richiesta da una operazione al cervello o per un rientro nell’atmosfera); altre non possono farne a meno per ragioni “quantitative”, come il controllo dei clip caricati su YouTube che hanno raggiunto le 300 ore al minuto. In parallelo si aprono nuovi mestieri, come quelli evidenziati da Google che sta assumendo 10.000 persone per valutare aspetti “etici” relativi ai contenuti.

Il mondo della produzione e della distribuzione (logistica) sta cambiando radicalmente, i robot e più in generale l’automazione sono elementi fondanti della nuova industria, dalle materie prime (in miniera ormai ci vanno solo i robot, e meno male visto le condizioni di lavoro in cui si deve operare) alla vendita al dettaglio in cui un nostro click sul computer che conferma l’acquisto attiva un robot a centinaia di chilometri di distanza per andarci a prendere il prodotto e spedircelo. In alcuni casi, quel nostro click attiva una serie di robot che costruiscono il prodotto e che attraverso altri robot ce lo spediranno. A breve un ulteriore robot, un drone, potrebbe recapitarci il prodotto sul balcone di casa.

Prepararsi al nuovo, per tutta la vita professionale

Ovviamente, ad un mondo che cambia deve corrispondere una diversa comprensione del mondo, occorre essere preparati al nuovo e al diverso. Qui entra in gioco l’istruzione, che non è più confinata ai primi anni di vita ma deve estendersi a tutta la vita professionale per essere in grado di confrontarsi con il nuovo che arriva. Per questo la Comunità Europea sta investendo nell’istruzione professionale, l’Istituto Europeo per l’Innovazione e la Tecnologia ha attivato attraverso l’area che promuove la trasformazione digitale, EIT Digital, la scuola di dottorato industriale e quella di istruzione continua (Professional School).

Parlando di istruzione viene immediatamente da chiedersi se complessivamente siamo in grado di imparare quanto richiesto. Se si guarda agli studi sui livelli di intelligenza mediamente utilizzati nelle diverse professionalità si scopre, e non è una sorpresa, che l’intelligenza richiesta per fare l’operatore ecologico (spazzino) è decisamente inferiore rispetto a quella richiesta per progettare un computer o un razzo da mandare sulla luna o per fare il neurochirurgo.

Tuttavia, e questo forse sorprende, osservando i risultati di questi studi si scopre che un buon 90% degli spazzini ha una intelligenza equivalente a quella di buona parte dei progettisti di computer.

Il messaggio è chiaro: attraverso l’istruzione possiamo portare chiunque (statisticamente parlando) ad operare sui sistemi più complessi che ci attendono domani.

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