La scommessa per la gestione della tendenza demografica all’invecchiamento medio della popolazione, sempre più irreversibile, è di disaccoppiare il trend di crescita dei servizi di assistenza con i loro costi e con il personale necessario. Questo passaggio, che va nel percorso generale della medicina territoriale, “è” il passaggio verso la sanità digitale. Non può essere trattato, in altri termini, come un programma di digitalizzazione della sanità, negli ambiti diagnostici, terapeutici e amministrativi, ma è il percorso di realizzazione della nuova sanità, la “sanità digitale”, che è l’unico modello sostenibile. L’innovazione digitale è qui “facilitatore indispensabile”, come recentemente affermato il commissario alla spending review Gutgeld.
Lo sviluppo della sanità digitale, come in generale la realizzazione della trasformazione digitale della pubblica amministrazione, non è però solo lo strumento principale per migliorare i servizi ai cittadini, rendere efficiente e sostenibile il sistema pubblico, creare le basi per enormi opportunità di sviluppo economico. È, anche, e ce lo ricorda bene il progetto “Curiamo la corruzione”, promosso da alcune organizzazioni come Transparency International, uno degli strumenti principali per combattere contro la corruzione e le distorsioni del sistema burocratico. Non a caso tra i principali ostacoli della trasformazione digitale.
Le risorse recuperabili e gli elementi di intervento
La sanità digitale è così la via principale per il contrasto a due dei principali problemi relativi alla gestione ottimale delle risorse: inefficienza e corruzione. Ed è quindi la via che, strategicamente, deve essere sostenuta come indispensabile e urgente. L’unica attraverso cui è sostenibile il servizio sanitario nazionale.
I numeri della corruzione in sanità sono noti e significativi: secondo il progetto “Curiamo la corruzione”, ammontano a “6 miliardi di euro, cioè più del 5% della spesa sanitaria pubblica, le risorse distolte dai servizi sanitari a causa della corruzione e delle frodi”.
A questi elementi si aggiungono i vantaggi che la trasformazione digitale porta su tutti i processi produttivi, inclusi acquisti e logistica, per colmare lo spazio di guadagno di efficienza che nel Patto della Salute è stimato intorno agli 8 miliardi di euro.
I numeri in gioco sono quindi molto significativi.
Se è così, allora la valutazione della presenza delle condizioni necessarie diventa fondamentale e urgente, e non può che toccare più ambiti e più responsabilità. Quattro sono gli elementi che emergono come principali di questo scenario, e per ciascuna possiamo provare a delineare lo stato dell’arte:
- competenze digitali (dei cittadini e degli operatori);
- utilizzo dei dati;
- sviluppo della medicina territoriale;
- processi amministrativi digitali.
Competenze digitali
È indispensabile che i cittadini possiedano adeguate competenze digitali e competenze informative. Lo sviluppo in senso digitale dei servizi e, quindi, dei rapporti tra cittadino e sistema sanitario, fa sì che solo possedendo adeguate competenze i cittadini possano fruire dei servizi e, d’altra parte, soltanto se i servizi digitali vengono utilizzati pienamente si realizza l’efficienza del sistema. Tra l’altro, si impediscono così le pericolose distorsioni di un’informazione sanitaria in rete ancora molto poco basata su canali istituzionali.
La scarsa propensione all’utilizzo del digitale (che ci vede ultimi in Europa secondo l’indice composito DESI sull’utilizzo di Internet) si riflette sulla sanità digitale sia e livello di utenti che di operatori. Ad esempio,
- solo il 6% della popolazione italiana prenota online le visite (in Spagna sono al 27%) e ancora meno coloro che prenotano accertamenti diagnostici;
- solo il 31% dei medici scambia in rete i dati sui pazienti con altri operatori sanitari (in Spagna sono al 64%).
Certamente il tema è legato anche allo stato dell’infrastruttura digitale, ma in modo non determinante.
La consapevolezza che, “riducendo gli sprechi, l’informatizzazione delle procedure aumenta la trasparenza, perché restringe gli ambiti di discrezionalità degli operatori e permette al cittadino di avere un maggiore controllo” è abbastanza evidente agli operatori sanitari, molto meno alla popolazione italiana, proprio a testimonianza di un problema di competenze di base. Dai dati elaborati dai partner del progetto già citato:
- ben il 71% dei dirigenti delle strutture sanitarie ritiene che la normativa che obbliga le Asl a dotarsi di un sito web permetta un maggiore controllo dei costi e dei servizi, e costituisca un reale deterrente alla corruzione;
- solo il 18,8% degli italiani è convinto che un utilizzo più intenso di internet nella pubblica amministrazione renderebbe le procedure più trasparenti, dando più forza ai cittadini.
Utilizzo dei dati
Il sistema sanitario pubblico rende disponibili notevoli quantità di dati, un patrimonio che deve avere un utilizzo globale per il miglioramento del sistema. Infatti, i big data possono essere utili per migliorare le diagnosi e intervenire precocemente su fenomeni complessi, ma anche per la programmazione (ad esempio per orientare la ripartizione della spesa tra ospedali e cure territoriali). Tutto un mondo che necessita di interventi di messa a sistema per disporre di dati di qualità e omogenei sul territorio. Non solo, per il contrasto alla corruzione il digitale può dare un contributo notevole, soprattutto se il cambiamento avviene nell’ottica dell’openness, e quindi con un valore centrale attribuito all’apertura (effettiva e significativa) dei dati. Non a caso la sperimentazione del progetto “Curiamo la corruzione” su alcune ASL pilota prevede interventi specifici in materia di open data.
Ma qual è la situazione attuale? Il Ministero della Salute ha lanciato la strategia sugli open data. Ha aperto un portale open data e ha cercato anche di dare un supporto ai cittadini per l’utilizzo di alcuni dati, con un sito dedicato per la scelta e la valutazione delle strutture sanitarie. Come puntualizzato da una recente ottima inchiesta di Rosy Battaglia, il bilancio non può però dirsi positivo: sono soltanto 30 i dataset presenti sul portale open data del Ministero, e dopo due anni dal suo avvio il sito dovesalute.gov.it è ancora fermo a 65 strutture e mancano ancora diversi, troppi dati per poter supportare una scelta vera.
E troppo diversificate sono le situazioni relative alle singole regioni, al punto da minare anche le potenzialità sviluppate dalle regioni che più stanno investendo virtuosamente sul fronte open data. Solo un esempio, rimanendo nell’ambito dei dati in tempo reale dei Pronto Soccorso: se questi dati non sono relativi a tutte le regioni, ma solo ad alcune (come il Lazio), che utilità possono avere per un abitante nelle province di confine?
La mancanza di una strategia nazionale sugli open data, con una pianificazione coordinata di sviluppo su tutto il territorio (l’ultima agenda annuale nazionale, prevista nel Cad, è stata realizzata per l’anno 2014), è certamente una delle ragioni a monte di una diffusione a macchia di leopardo degli open data che, soprattutto nel settore sanitario, rendono improponibile qualsiasi servizio di vera utilità.
Sviluppo della medicina territoriale
Uno dei pilastri della medicina territoriale è la telemedicina (o tecno-assistenza), per il monitoraggio, la diagnosi e la cura sul territorio con notevole de-ospedalizzazione. Ma per svilupparsi la tecno-assistenza ha bisogno di infrastrutture digitali e di essere chiaramente inserita in una strategia nazionale. Obbligatoria e non opzionale. Non a caso il ministro Lorenzin ha recentemente affermato che “la tecnoassistenza è una scelta necessaria, tanto che sarà inserita all’interno dei Livelli Essenziali di Assistenza”. Peccato che tra i decreti ancora non promulgati, ci sia proprio quello riguardante l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), fermi dal 2001, oltre che quelli necessari per la realizzazione compiuta del Patto della Sanità Digitale
Processi amministrativi digitali
Un altro dei pilastri della medicina territoriale è legato allo sviluppo di processi amministrativi completamente digitali e interoperabili. In una strategia organica trovano così composizione armonica l’introduzione del Fascicolo Sanitario Elettronico (che però è ancora a circa 5 anni dalla completa entrata a regime), delle ricette elettroniche (da poco entrate in vigore) e Centri di Prenotazione (CUP) sempre meno indispensabili (grazie alle prescrizioni digitali), e allo stesso tempo più efficienti e tali da correlare il sistema pubblico con quello privato.
Le differenze tra le regioni rimangono notevoli, e lo sviluppo della sanità digitale continua ad essere sostanzialmente a macchia di leopardo, certamente anche per i ritardi sul Patto. Solo per fare due esempi tratti dai dati disponibili:
- il Fascicolo sanitario elettronico, atteso come una rivoluzione, dal sito del monitoraggio sulla Crescita Digitale, curato da AgID (non aggiornato sul FSE) e alcune altre informazioni apprese direttamente, al momento risulta attivo solo in 6 regioni (Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana, Sardegna) ed è in fase di implementazione in quasi tutte le altre (Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Marche, Molise, Puglia, Lazio, Basilicata), mentre non è evidenziato lo stato nelle altre regioni;
- dal rapporto elaborato del progetto, risulta inoltre che “siamo lontani dall’adempimento dell’obbligo di legge che imponeva a tutte le aziende sanitarie di attivare i pagamenti online e di rendere disponibili i referti in formato digitale entro il mese di novembre 2015”.
Quali interventi
La sanità digitale è quindi in ritardo e continua il suo percorso con velocità diverse nelle regioni e con un’evoluzione disorganica. Quali interventi sono possibili?
È importante fare emergere come strategico il percorso della sanità digitale, centrale nel cambiamento di modello che è oggi necessario. Non si tratta di un problema tecnico di digitalizzazione.
Sarebbe però un errore pensare che lo sviluppo sul tema della sanità digitale possa essere disgiunto dalla strategia globale per la crescita digitale del Paese e per l’affermazione di una compiuta cittadinanza digitale. È solo coniugando e correlando gli interventi, a partire dal tema delle competenze digitali e della centralità dei dati, che potremo ottenere i cambiamenti necessari nei tempi utili.
Cambiamenti che non sono tecnici, ma di modello e di sostanza, e quindi non sono neutrali rispetto agli interessi in gioco, perché riconfigurano competenze, ruoli, processi di funzionamento. E che richiedono determinazione, sistematicità e rapidità, perché il tempo è una delle variabili principali che determina il successo dei processi di innovazione.