Cosa dimostra lo sciopero degli sceneggiatori americani contro l’intelligenza artificiale che ruba loro il lavoro, cioè scrivere testi, trame e narrazioni accattivanti? Che aveva forse ragione Karl Marx nel dire che la storia è storia di lotte di classe tra sfruttati e sfruttatori e che quindi oggi gli sfruttatori sono i padroni (anche) dell‘intelligenza artificiale?
ChatGPT ha recentemente spaventato molti settori economici e molti lavoratori, facendo prevedere una nuova fase di disoccupazione tecnologica. Quel processo che accompagna da sempre la rivoluzione industriale ma che sembra oggi aggravarsi sempre più quanto più l’innovazione (e la ricerca del profitto privato) si fa più veloce e soprattutto più pervasiva, l’intera società essendo diventata, come abbiamo scritto, una Società-fabbrica (Luiss UP, 2023). Una società-fabbrica dove noi siamo soprattutto forza lavoro, sempre più sotto minaccia di essere sostituiti dalle macchine – in produzione e nei servizi; nel lavoro di consumo siamo sempre indispensabili e quindi sempre più corteggiati dal marketing, che a sua volta è la organizzazione scientifica (e oggi algoritmica) del lavoro di consumo.
La Casa Bianca è arrivata a convocare i principali attori dell’intelligenza artificiale per discutere dei rischi connessi (se lo dice anche Elon Musk…) e a invitare le parti del conflitto sindacale a trovare un accordo dopo il fallimento delle trattative tra i capi degli Studios e la Writers Guild of America (WGA), il sindacato che rappresenta 11.500 scrittori dell’industria audiovisiva. “L’arte non può essere creata da una macchina”, ha dichiarato Eric Heisserer, sceneggiatore del film Bird Box di Netflix. Dirlo sembra una banalità, eppure se siamo arrivati a tanto significa che molto, troppo è accaduto senza che ci rendessimo conto di quanto è cresciuto il potere delle macchine e il potere di chi produce e controlla queste macchine/IA e vuole imporle al mondo intero per il proprio profitto privato. Cioè a prescindere da qualsiasi responsabilità sociale dell’impresa, a prescindere da qualsiasi etica, tutti avendo rimosso l’imperativo categorico di un imprenditore davvero umanista e intelligente quale è stato invece Adriano Olivetti, un imperativo ereditato dal padre Camillo, ovvero: “Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi [e oggi i nuovi metodi sono appunto il digitale e l’IA], perché la disoccupazione involontaria [compresa oggi, o soprattutto quella prodotta da digitale e IA] è il male più terribile che affligge la classe operaia”.
Altri tempi? No, altri imprenditori.
Luddisti oppure umanisti?
La Writers Guild of America cerca di evitare che qualsiasi cosa prodotta dall’IA possa venire considerata come materiale letterario, termine che implica il pagamento del copyright – ed evitarlo grazie all’IA è un altro modo con cui il capitale e i capitalisti cercano di ridurre i costi e di massimizzare appunto i propri profitti, cioè il plusvalore (direbbe sempre Marx). Il sindacato vorrebbe inoltre impedire che le sceneggiature scritte dai suoi membri umani possano essere utilizzate per addestrare l’IA, che sarebbe un altro modo con cui il capitale cerca di accrescere il pluslavoro dei lavoratori (direbbe ancora Marx). Richieste respinte dagli Studios, che hanno contro-proposto un incontro annuale per “discutere i progressi della tecnologia”: che sembra (che è) una classica tecnica psicologica, da sempre utilizzata dal capitalismo per guadagnare tempo e ingannare i lavoratori e mettere poi tutti davanti al fatto compiuto, quando cioè sembrerà impossibile tornare indietro. Eppure, la tendenza del capitalismo digitale sembra chiara, ben espressa da affermazioni come quella del produttore cinematografico Todd Lieberman: “Nei prossimi tre anni vedrete un film scritto dall’IA[…] e sarà un buon film”, cioè indistinguibile da uno scritto invece da un sapiens. Di più: oltre alle sceneggiature, l’IA potrebbe essere utilizzata anche per il montaggio di film e serie televisive, secondo Rob Wade, direttore di Fox Entertainment.
E allora, chi sono gli sceneggiatori in sciopero, luddisti digitali (distruggere le macchine, cioè oggi l’IA), oppure umanisti reali e concreti (salvare l’umanesimo e i sapiens, non essere espropriati di tutto e alienati anche da sé stessi da parte di una macchina/IA)? Non somigliano forse – non volendo vedere che il mondo sta cambiando e non volendo capire che il cambiamento non si deve fermare (è questo il mantra del tecno-capitale), come dicono gli intellettuali organici/pedagoghi del nuovo Principe che sta nella Silicon Valley e nei suoi dintorni globali – non somigliano forse ai quei soldati giapponesi dimenticati su qualche isola del Pacifico e che, anche dopo decenni dalla fine della seconda guerra mondiale credevano di essere ancora in guerra contro l’America? Oppure, ma al contrario, questi sceneggiatori sono invece le avanguardie intellettuali della nuova resistenza con cui gli umani possono cercare di opporsi alla loro totale alienazione, alla loro totale inutilità (e alla inutilità del pensiero critico umano davanti alla esattezza virtuosa e soprattutto produttrice di profitto di un algoritmo/IA) – inutilità rispetto a macchine che fanno tutto a prescindere dagli umani (e a prescindere da principi quali giustizia sociale e ambientale) ma sempre più perseguendo il fine capitalistico del profitto privato, il digitale essendo appunto capitalismo all’ennesima potenza e non certo il modo, come sostiene qualche intellettuale organico, per arrivare a un nuovo umanesimo), compreso scrivere sceneggiature per film e serie televisive?
Chi ha oggi il potere nel mondo e sulle nostre vite?
Ma non sono forse anche le serie televisive e la gran parte dei film di Hollywood – la sovrastruttura spettacolare del tecno-capitalismo/neoliberalismo e che tanto sembrano piacerci – dei meri prodotti industriali, tutti uguali anche se apparentemente sempre diversi, standardizzati nei loro contenuti e nei loro messaggi/immaginari offerti, ma ogni volta venduti appunto come sempre nuovi? E quindi non sono forse anche gli sceneggiatori umani degli operai alienati usati dal sistema per produrre e riprodurre incessantemente uno human engineering psichico e comportamentale funzionale alla riproducibilità irrazionale del sistema, tale da renderci sempre più simili alle macchine, standardizzati come macchine e come merci secondo meccanismi di addestramento basati sullo stimolo/risposta, anche se rivestiti di edonismo e di godimento? Non sono forse anch’essi operai dell’industria culturale di cui scrivevano già nel 1947 i francofortesi Max Horkheimer e Theodor W. Adorno (da rileggere il loro Dialettica dell’illuminismo – Einaudi) – o dell’industria (società) dello spettacolo di cui scriveva Guy Debord nel 1967, cioè “Lo spettacolo è la principale produzione della società attuale. Sottomette gli uomini viventi nella misura in cui l’economia li ha totalmente sottomessi”?
E omologare i comportamenti non è forse nell’essenza di tecnica e capitalismo? E cosa sono le scuole di scrittura creativa se non funzionali alla standardizzazione della merce-libro e della merce-lettore, uniformando e omologando la scrittura secondo il business plan dell’industria culturale/libraria di massa (quella che ancora fa cultura è ovviamente tutta un’altra cosa)? Scuole dove agli allievi viene insegnato “come creare una trama, come impostare dialoghi, come creare personaggi, quando introdurre nuovi elementi, come dare voce ad una storia” (ancora Wikipedia). Anche la scrittura è cioè diventata un prodotto industriale, standardizzato e finalizzato a standardizzare anche la fantasia, funzionale al profitto di certi editori, degli Studios eccetera eccetera. ChatGpt è solo l’evoluzione di questo modello di business, produce da sola testi perfettamente standardizzati. Industriali(zzati). Capitalistici.
E quindi e di nuovo: chi ha oggi il potere nel mondo e sulle nostre vite? Gli industriali, gli imprenditori, coloro che a loro piacimento e aggirando ogni regola della democrazia liberale e della democrazia tout court (stato di diritto, bilanciamento dei poteri, principio di uguaglianza e di solidarietà, partecipazione attiva del demos alle scelte collettive, democrazia fuori ma anche dentro l’impresa, anche dell’impresa digitalizzata) governano appunto il mondo e lo fanno a loro immagine e somiglianza. E di solito, salvo poche eccezioni, non amano i sindacati (e quindi neppure la democrazia) e fanno di tutto per impedirne in ogni modo e con ogni mezzo la nascita e poi l’azione: da Henry Ford e Taylor fino ai giorni nostri, vedi Marchionne contro la Fiom, oppure Amazon contro il sindacato (ma non in Italia) e tutto il capitalismo digitale, Studios compresi.
I padroni del vapore digitale
Padroni del vapore era una vecchia espressione per identificare chi detiene il potere all’interno di una organizzazione ed è in grado di condizionare gli altri poteri e in particolare i poteri pubblici. Quasi sempre era un capitalista. Il Padrone del vapore era anche il titolo di un film di Mario Mattoli del lontano 1951, dove si narrava (riprendiamo da Wikipedia) di un ricco magnate americano – appunto, un capitalista della peggiore specie – che “arrivato in Italia per lanciare una nuova bevanda, è costretto, da un imprevisto, a fermarsi in un paesino di montagna fuori dagli itinerari turistici. L’imprenditore, attorniato da una corte di collaboratori che fingono di lavorare per lui ma che in realtà lo sfruttano, trova alloggio in una locanda gestita da una giovane donna e finisce per innamorarsene. Mentre corteggia la proprietaria del locale, i suoi segretari cominciano a trasformare il paese inondandolo di cartelloni pubblicitari e di moderni ritrovati [oggi tutti digitali, ma il fine è sempre lo stesso, il profitto]. L’americano rimane tuttavia affascinato dalla vita semplice e fuori dal tempo che si conduce nel borgo [Musk invece vorrebbe colonizzare Marte e riempirlo di auto Tesla… con tutti a messaggiare su Twitter] e, influenzato positivamente dai consigli della donna, si libera degli sfruttatori, fa smantellare i cartelli e si stabilisce per sempre nel piccolo paese in cui ha trovato la felicità”.
I padroni del vapore era anche il titolo di un libro di un (purtroppo) dimenticato Ernesto Rossi – intellettuale antifascista, tra gli animatori di Giustizia e Libertà, poi collaboratore de Il Mondo e di L’Astrolabio, tra i fondatori del Partito radicale, strenuo oppositore dei monopoli industriali, della corruzione e delle ingerenze della Chiesa (e chissà cosa scriverebbe oggi contro l’oligopolio della Silicon Valley, la corruzione/elusione fiscale fatta sistema e le ingerenze del tecno-capitale nella nostra vita) – libro dedicato alla collaborazione tra fascismo e Confindustria durante il ventennio, ma non solo.
E oggi i padroni del vapore di un tempo si sono fatti digitali e si credono – in realtà sono – i padroni del mondo. Ancora più di ieri, perché la tecnologia glielo permette alla grande. Ma padroni di un vapore particolare, quello dell’intelligenza artificiale e sempre in collusione/porte girevoli con il potere politico, se non sostituendosi al potere politico e democratico. Perché dopo avere industrializzato (ingegnerizzato) la produzione e poi il consumo, lo spettacolo e la cultura, la scuola e la scienza, l’arte e l’informazione, il turismo e i musei, ora grazie alla tecnologia il capitale estrae plusvalore crescente per sé anche – direttamente e facilmente – dalla nostra vita intera (emozioni, affetti, relazioni, socialità, conoscenza/sapere – e mai il capitale aveva osato tanto, oggi con la collusione della nostra più totale indifferenza o mediante una resilienza indotta, tanto siamo sussunti/integrati nel sistema tecno-capitalista), vita messa appunto a valore in ogni istante del suo svolgersi, a pluslavoro totale, cioè gratuito.
Tutta la nostra vita è stata ormai industrializzata nel senso della fabbrica, cioè organizzata, comandata e sorvegliata come appunto accade in una fabbrica, con la differenza epocale (questo è il vero cambio di paradigma permesso dal digitale) che la fabbrica (la logica del suo funzionamento) è ormai uscita dalla fabbrica, come aveva ben capito più di mezzo secolo fa l’operaista Raniero Panzieri e ha pervaso la società intera trasformandola appunto in una fabbrica, organizzata, comandata e sorvegliata come una fabbrica. Noi non vedendo che le cause dell’oppressione sociale non stanno solo nella proprietà privata dei mezzi di produzione (oggi dei mezzi di connessione di tutti nella fabbrica integrata digitale), come credeva Marx, ma piuttosto, come aveva ben compreso la filosofa Simone Weil, nella forma della fabbrica e nella religione della produzione per la produzione.
Era inevitabile – noi rifiutandoci di guardare al crescente potere della tecnica, anzi guardandola sempre con uno sguardo idilliaco o infantile (“come è bella l’innovazione…”) – era inevitabile che dopo avere ingegnerizzato e modellizzato/standardizzato i comportamenti umani (via management, marketing, dover essere sempre connessi, il nuovo che avanza non si deve fermare…), il tecno-capitale ingegnerizzasse e industrializzasse anche l’intelligenza e soprattutto la facesse artificiale, cosa che evita ogni tempo riflessivo umano (che è un tempo morto per il capitale e per il sistema tecnico, cioè inefficiente in termini di ricerca del massimo profitto e della massima integrazione di uomini e macchine nella mega-macchina digitale), ma anche ogni responsabilità verso il futuro e verso le nuove generazioni, perché se è vero e razionale solo ciò che calcola un algoritmo/IA, allora finiamo per credere che sia anche giusto e vero, alienandoci da ogni senso di responsabilità).
Sceneggiatori di tutto il mondo unitevi
Perché se abbiamo bisogno di ChatGpt per scrivere un testo, significa che non siamo più capaci di scrivere un testo e di esporre un pensiero nostro, cioè umano. Cioè siamo messi molto male, ci stiamo alienando da noi stessi e ci stiamo facendo ignoranti, perché se non siamo capaci di scrivere un testo ma abbiamo bisogno di una IA per farlo vuol dire che siamo ignoranti e, peggio, che ci piace esserlo – e lo saremo sempre di più quanto più ci affideremo all’IA, alienandoci dalla conoscenza, dalla riflessione, dalla consapevolezza. Perché se accetteremo che sia ChatGpt a scrivere le sceneggiature per l’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento secondo uno schema standard sempre diverso ma sempre uguale a sé stesso (sfruttando capitalisticamente il fatto che amiamo la ripetizione, amiamo il sempre uguale sempre apparentemente diverso, come i bambini), questo significherà che siamo ancora di più incapaci di essere gli autori e gli sceneggiatori della nostra vita. Saremo anche noi macchine in un mondo di macchine, la cui immaginazione e i cui immaginari saranno prodotti da macchine.
Una perfetta e per molti affascinante (soprattutto per il capitale, i capitalisti e per gli ingegneri e i manager) utopia. Non però per chi ha scritto questo articolo, che non è ChatGpt e neppure un robot.