I cervelli in fuga, questa volta, sono quelli che dagli Stati Uniti cercano possibilità di ricerca altrove a causa dei drastici tagli che l’amministrazione Trump sta effettuando nel Paese a stelle e strisce. “L’Europa corteggia gli scienziati americani in fuga dal giro di vite di Donald Trump”, titola il Financial Times.
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La fuga dei cervelli dagli Usa verso nuove opportunità
Europa, Asia o Australia stanno cercando di attrarre ricercatori basati negli Usa per lavorare nelle loro università, laboratori e industrie, tuttavia, soprattutto in Europa, l’assenza di fondi non facilita la piena realizzazione di questo potenziale.
«Possiamo offrire loro un rifugio», ha dichiarato Maria Leptin, presidente del Consiglio europeo della ricerca (Cer), ma avverte che la capacità d’azione del Cer è limitata: «Non possiamo creare posizioni per i ricercatori statunitensi, ma possiamo sostenerli». L’idea per esempio di un “passaporto scientifico” per facilitare la mobilità dei ricercatori sta prendendo piede e potrebbe diventare una leva strategica per attirare talenti di livello mondiale. Anche enti di ricerca nazionali come la Max Planck Society in Germania stanno valutando programmi per accogliere i ricercatori americani. «Abbiamo visto un raddoppio delle domande di ricercatori con sede negli Usa per il nostro programma di leader del gruppo di ricerca», ha affermato Patrick Cramer, presidente della prestigiosa istituzione tedesca.
In Europa però la burocrazia soffoca i progetti, gli stipendi sono bassi e gli investimenti insufficienti. Se si vuole cogliere questa occasione per diventare un polo globale dell’innovazione ed essere competitivi, è necessario fare azioni concrete con determinazione, con investimenti reali e con una visione che non si limiti a piccoli aggiustamenti.
I fattori chiave per attrarre i ricercatori in fuga dagli Usa
Yann LeCun, uno dei massimi esperti di intelligenza artificiale nonché vice presidente e chief Ai scientist presso Meta, ha rilasciato una dichiarazione chiara e cioè che gli scienziati andranno dove avranno i mezzi migliori per esprimere la loro creatività e produttività: finanziamenti con poca burocrazia, retribuzioni competitive, libertà di ricerca, infrastrutture adeguate.
Come si stanno muovendo le università europee
“Vediamo come un nostro compito il venire in aiuto dei nostri colleghi americani. Le università americane e i loro ricercatori sono le più grandi vittime di questa interferenza politica e ideologica” ha dichiarato Jan Danckaert, rettore della Vrije Universiteit Brussel (Vub). L’ateneo belga ha messo a disposizione dodici posizioni post-dottorato per studiosi internazionali, con un’attenzione particolare a quelli statunitensi.
Anche le università francesi sono in prima linea: l’Università Aix-Marseille ha lanciato il programma ‘Safe place for science’ che ha messo a disposizione fondi per oltre due dozzine di ricercatori d’oltreoceano per tre anni e ha già ricevuto domande di ammissione dalla Nasa, Yale e Standford. “Speravamo di non doverlo fare” ha detto Éric Berton, il presidente dell’università: “Ma siamo indignati da quello che sta accadendo e sentiamo che i nostri colleghi negli Usa stanno attraversando una catastrofe. Volevamo offrire una sorta di asilo scientifico a coloro la cui ricerca sta venendo ostacolata”.
Stessa opportunità che è stata colta dall’Istituto Pasteur di Parigi, così come dai Paesi Bassi, il cui ministro olandese dell’Istruzione, Eppo Bruins, ha dichiarato: “Il clima geopolitico sta cambiando, il che sta aumentando la mobilità internazionale degli scienziati. Diversi Paesi europei stanno rispondendo a questo con sforzi volti ad attrarre talento internazionale, voglio che i Paesi Bassi rimangano all’avanguardia in questi sforzi”.
Oltre i finanziamenti: libertà di ricerca e impatto sulle politiche migratorie Usa
Vale la pena sottolineare che non è solo un discorso basato sui finanziamenti, perché i ricercatori non si muovono solo in base a condizioni economiche migliori, ma anche sulla libertà di azione e di concentrarsi su argomenti che sono di loro reale interesse e purtroppo il nuovo governo Trump sta limitando questo raggio d’azione bandendo l’utilizzo in ambito governativo di alcune parole e concetti arrivando fino al blocco di fondi per chi li utilizza. Parole come “bias”, ad esempio.
Limiti che ovviamente riguardano anche l’immigrazione e la sicurezza nazionale e, a tal proposito, un report di Rest of the World ha raccolto le testimonianze di alcuni élite worker che si occupano di intelligenza artificiale, tra cui tech worker impiegati da Meta, facendo emergere come i lavoratori cinesi con esperienza nel campo del machine learning e dell’AI avevano in genere tempi di approvazione dei permessi e background check molto più lunghi per rientrare in Usa. Questo ha spinto alcuni di loro a rimanere in Cina.
Il futuro della scienza come impresa collettiva globale
Se si pensa che dal 2014, gli studenti universitari cinesi hanno superato in numero gli studenti laureati e sono diventati il pilastro degli studenti cinesi negli Stati Uniti, con l’informatica come una delle principali specializzazioni che scelgono, tra gli altri campi di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica (STEM), questo potrebbe indubbiamente essere un problema per il futuro dell’AI negli Stati Uniti anche perché le ricerche ci dicono che l’intelligenza artificiale è stata classificata come la specializzazione più popolare per tre anni consecutivi dal 2020 al 2023 in Cina, mentre negli Stati Uniti, l’economia è la specializzazione più popolare.
Possiamo delineare da tutto questo che quello che sta avvenendo ci sta mostrando la dimensione comunitaria della scienza, l’importanza cioè di concepire la scienza come un’impresa corale il cui successo dipende da un complesso ecosistema sociale: mettere in comunicazione, accogliere e diffondere le intelligenze dei singoli in nome di un’intelligenza collettiva.