DDL Concorrenza

Sciopero dei tassisti, la causa: “Così le app fanno fuori le professioni”

I tassisti soffrono in modo particolare l’arrivo di servizi come Uber o Lyft sul mercato. Le app entrano a gamba tesa nel mercato sia per tempi di risposta, sia per i minori costi operativi. Da qui la protesta del settore, che accusa il Governo, tra le altre cose, di essere troppo legato agli interessi delle multinazionali

Pubblicato il 06 Lug 2022

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

taxi uber

L’articolo 10 del disegno di legge “Concorrenza” affida al Governo la delega a legiferare sui servizi di mobilità offerti tramite app (piattaforme): quelli come Uber per capirci, ma non solo. I sindacati dei tassisti lamentano un deficit di dialogo.

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I tassisti di tutta Italia si sono fermarti per due giorni per chiedere lo stralcio dell’articolo 10 del disegno di legge “Concorrenza”. L’avevano già fatto a giugno e potrebbe ricapitare ancora.

Le ragioni della protesta sono essenzialmente politico-sindacali, infatti, e tuttora irrisolte: la delega al Governo, nel sentiment delle sigle sindacali dei tassisti, priva questi ultimi della possibilità di dialogare con il Parlamento.

L’accusa al Governo è di essere troppo legato agli interessi delle multinazionali (Uber e Lyft), mentre il Parlamento sarebbe più sensibile alla base elettorale: uno degli striscioni dei manifestanti recitava ”Draghi, non te lo chiede l’Europa, te lo chiede Uber”.

Secondo il leader di Unica Cgil taxi Nicola Di Giacobbe “I tassisti si sono fermati perché vogliono che il Parlamento si assuma la responsabilità di discutere con i sindacati, i Comuni e le Regioni su come migliorare il servizio”.

Disegno di legge Concorrenza e taxi: come stanno davvero le cose

Il disegno di legge Concorrenza è piuttosto vago: lascia però ampio margine al Governo per decidere in che direzione regolare la materia.

Il timore dei sindacati è che le lobby delle piattaforme sia troppo forte in termini di contrattazione a livello governativo, mentre i parlamentari potrebbero essere più sensibili alla tutela dei tassisti, perché più legati al territorio ed alla base elettorale.

Le piattaforme operano in regime di concorrenza aperta – e selvaggia – mentre i tassisti hanno ancora delle tutele normative che determinano la “sopravvivenza” della categoria, che sconta anche la perdita di fasce di mercato determinate dagli “abusivi”.

In conclusione, il timore dei tassisti è che la categoria venga sacrificata dal Governo, la cui propensione a tutelare le professioni in generale non appare in primo piano.

Proteste di massa contro i colossi tech, è una svolta positiva: ecco perché

La gig economy e il “tritacarne” delle piattaforme

Il lavoro legato alle piattaforme è nel mirino dell’Unione europea, che sta valutando una proposta di direttiva per la tutela dei lavoratori; Uber stessa è stata oggetto di denunce per sfruttamento di lavoratori.

In generale, si può dire che primissimo piano c’è la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorrente con le piattaforme online (digital labour platforms, nella dicitura della proposta di direttiva)

I tassisti sono una delle categorie che più soffre l’arrivo sul mercato delle piattaforme, che entrano a gamba tesa nel mercato sia per tempi di risposta, sia per i minori costi dell’operatività.

La guida senza autista è la prossima sfida: negli States è già in agenda.

La delega al Governo contestata dai tassisti, quindi, potrebbe anche lasciare ampi spazi per le piattaforme, così come è avvenuto con i riders, che ancora attendono una normativa che riconosca la natura subordinata del loro rapporto di lavoro.

Conclusioni

Il grido d’allarme che arriva dai tassisti è attuale ed è chiarissimo: la nuova economia mangia quella vecchia, senza tutele perché a livello di mercato sono troppo fronti.

Se si opera a livello di oligopolio non c’è margine per le piccole professioni prima e per le piccole-medie imprese poi.

La direzione data – in parte – dall’economia dirigista dell’Unione europea va in questa direzione ed il Governo italiano sta seguendo il trend, anche – forse – con troppo entusiasmo.

Interessante, poi, la richiesta di assunzione di responsabilità del Parlamento, notoriamente “pigro” nel legiferare in materia “sensibile” e nel demandare ora alla magistratura, ora all’Europa, ora al Governo, l’onere e l’onore di proporre norme e di farle applicare.

Staremo a vedere come questo sciopero, che si colloca pienamente nel contrasto vecchia/nuova economia, smuoverà le acque stagnanti del legislatore italiano.

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