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Scorza (Garante Privacy): “Perché il sondaggio di Musk su Trump è inaccettabile”

Musk fa un sondaggio su Twitter dove chiede se riammettere Trump. Ma i diritti e le libertà di una persona non possono essere affidati alle urla digitali di una folla invitata ad esprimersi dal sovrano di una piattaforma quasi si trattasse di un fatto tutto privato. Ecco le conseguenze

Pubblicato il 19 Nov 2022

Guido Scorza

Autorità Garante Privacy

musk twitter

“Volete che l’ex Presidente Donald Trump venga riammesso su Twitter? Si o No”.

È questa la domanda che Elon Musk, neo-proprietario di Twitter, ha appena rivolto ai centinaia di milioni di utenti della sua piattaforma alla quale, naturalmente, a milioni hanno già risposto.

Musk e il sondaggio su Trump

Musk nel lanciare il suo personale referendum non lo ha ricordato ma Trump era stato escluso da Twitter, a tempo indeterminato, per aver violato le condizioni d’uso del servizio, nel gennaio dello scorso anno, in ragione di alcuni tweet giudicati co-responsabili nel drammatico attacco di Capitol Hill.

È un’iniziativa senza precedenti che, per la verità, ricorda molto da vicino la domanda che Ponzio Pilato, con da una parte Barabba-il bandito e dall’altra Gesù-il predicatore pose al popolo: chi volete che liberi?

Twitter, se Musk viola i diritti umani ci riguarda tutti: ecco perché

E la folla gli chiese di liberare il bandito.

Difficile dire cosa risponderanno gli utenti di Twitter a Musk ma il punto non è il merito ma il metodo.

È già opinabile che il gestore di un social network possa decidere in autonomia di condannare all’ostracismo digitale perpetuo una persona, a maggior ragione se Presidente in carica di una Nazione e, questo, a prescindere, evidentemente, da ogni simpatia o antipatia per il Presidente in questione, per le sue eventuali responsabilità che, come quelle di chiunque altro, dovrebbero essere accertate in Tribunale e solo in Tribunale.

Perché è inaccettabile il sondaggio Trump

Ma è semplicemente inaccettabile che il gestore di una piattaforma dopo aver adottato la sua decisione decida di rivederla non attraverso un procedimento interno di revisione tecnico-giuridica volto a verificare eventuali errori di valutazione ma attraverso un voto popolare.

Abbiamo oltrepassato la linea di sostenibilità democratica.

I diritti e le libertà di una persona non possono essere affidati alle urla digitali di una folla invitata ad esprimersi dal sovrano di una piattaforma quasi si trattasse – ma, questo è evidentemente l’equivoco culturale del quale è vittima Elon Musk – di un fatto tutto privato e che, quindi, spetti a lui, come capo supremo degli uccellini cinguettanti, decidere, eventualmente sentito il “suo” popolo, se concedere la “grazia digitale” all’ostracizzato Trump e riammetterlo nel suo impero.

Lascia senza parole e, al tempo stesso, terrorizza e atterrisce pensare quanto l’uomo più ricco del mondo e, indiscutibilmente, uno dei più grandi innovatori viventi, sia retrogrado, superficiale, ineducato ai diritti, alle libertà e ai valori della democrazia.

Senza dire che il patron di Twitter sta chiedendo a centinaia di milioni di persone di esprimersi su una questione che riguarda l’ex Presidente degli Stati Uniti d’America che ha appena annunciato di voler tornare a guidare la Nazione, candidandosi alle elezioni del 2024.

E, quindi, su una questione con inevitabili e inesorabili ricadute politiche.

La conseguenza è semplice, un istante dopo la votazione, Twitter disporrà di una mappa ancora più precisa di quella della quale già dispone delle simpatie e antipatie globali per Trump e per il suo modo di pensare, fare politica e guidare una Nazione.

Un altro scenario decisamente poco confortante in termini di sostenibilità democratica.

Il problema è la privatizzazione dello spazio digitale

La vicenda, purtroppo, rappresenta una delle conseguenze, sin qui probabilmente più estreme, della progressiva privatizzazione dello spazio digitale nell’ambito del quale, ormai, si consuma la più parte della nostra vita, uno spazio nel quale siamo ammessi a vivere in forza di un contratto e possiamo continuare a frequentare come e fino a quando ci consente di fare lo stesso contratto, così come interpretato e applicato dai gestori delle piattaforme, eventualmente, come oggi suggerisce Musk, coadiuvati dagli eredi di quella folla che chiese a Pilato di liberare Barabba anziché Gesù.

È innegabile che la nuova disciplina del digital service act, procedimentalizzando e bilanciando le regole di gestione dei contenuti pubblicati dagli utenti e la vita stessa degli utenti nelle piattaforme digitali, in parte, almeno da questa parte dell’oceano, potrebbe soffiare un alito di democrazia su un contesto nel quale ce n’è sempre meno ma è almeno lecito dubitare che sia sufficiente, specie mentre venti ben più forti spingono l’umanità intera in una realtà sempre più immersiva e sempre più privata che, per ora, il mercato suggerisce di chiamare Metaverso.

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