ISTRUZIONE

Scuola digitale, i migliori casi italiani

Dalle lavagne elettroniche agli iPad nella scuola dell’infanzia, dall’istituto “total tablet” al progetto “Scuola Lombardia Digitale”, passando per le stampanti 3D. Le buone pratiche ci sono, ma spesso sono lasciate alla buona volontà dei singoli (istituti o docenti). Facciamo un quadro di esempi e strumenti

Pubblicato il 21 Feb 2014

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È un panorama vario, articolato e sfaccettato quello della scuola digitale italiana. Progetti, esperimenti interessanti e buone pratiche non mancano, ma si tratta spesso di fenomeni isolati, lasciati alla buona volontà di singole scuole o singoli insegnanti, o dettati dall’impulso di colossi internazionali in campo tecnologico. È ad esempio il caso del progetto “Smart Future” di Samsung School, che entro il 2015 darà vita a classi digitali in circa 300 scuola italiane, portando in aula tablet e lavagne elettroniche. Ma a fronte dei 300 istituti fortunati, cosa succede nel resto delle scuole italiane?

Innanzitutto, per combattere l’isolamento molti insegnanti fanno gruppo sul web (moltissimi i gruppi tematici su Facebook, da Insegnanti 2.0 a Il tablet a scuola, a La scuola nella nuvola) o cercano di mettersi “in rete”. In tal senso fornisce un quadro interessante la mappa realizzata dalla professoressa Paola Limone, “Insegnanti nella rete”, che si propone di offrire un quadro dei docenti nella rete. “Siamo più di novemila, tra docenti, ricercatori, educatori – spiega la Limone –, cerchiamo di mettere insieme buone pratiche, ma ultimamente diventa sempre più uno spazio per condividere frustrazioni”.

Nel 2008 Paola Limone aveva avviato a Rivoli il progetto “Un computer per ogni studente”, che dopo un buon successo iniziale ha subito una brusca frenata. “Il progetto è cresciuto, si è esteso ad altre scuole in Piemonte, il Ministero sembrava apprezzare, doveva partire un nuovo bando e poi più nulla – commenta amareggiata la Limone –. Sono tornata alla lavagna di ardesia e compro i gessetti”.

Con la crescente diffusione dei tablet la scuola digitale sembra aver ricevuto un nuovo impulso.

Dianora Bardi, docente di latino e italiano al Liceo Scientifico Lussana di Bergamo e tra i fondatori del Centro Studi Impara Digitale, ha avviato un’ampia sperimentazione per introdurre i tablet in classe, come strumento di apprendimento trasversale. “In questo senso sono d’accorso con il Ministro Carrozza quando dice che il digitale non è materia di insegnamento. Ai ragazzi sul tema c’è poco da insegnare, sarebbe come introdurre lezioni sull’uso del cellulare, si tratta di strumenti che ormai fanno parte della nostra vita – spiega la Bardi –. Bisogna togliere la focalizzazione sulla tecnologia, il digitale è uno strumento da usare quando serve, in modo trasversale, per l’insegnamento di ogni materia”.

Quello che deve cambiare è la didattica: riduzione delle lezioni frontali e, seguendo le normative europee, più spazio alla didattica per competenze. In quest’ottica, la tecnologia diventa uno strumento abilitante e facilitante. Si muove in questa direzione il progetto “Scuola Lombardia Digitale”, coordinato dalla stessa Dianora Bardi, che fa della regione il laboratorio nazionale della scuola digitale. “Più di 320 scuole, oltre 4 mila docenti e dirigenti scolastici lavoreranno in Cloud, dando vita a un grande consiglio di classe diffuso, che si confronterà sui tema della scuola digitale – spiega Dianora Bardi –. Tema di discussione non sarà solo l’utilizzo dei tablet, si ragionerà sulla didattica, su come dovranno essere strutturate le classi del futuro, quali arredi sono più funzionali, quali sono le tecnologie più utili. L’obiettivo è quello di fare una sintesi dell’esperienza maturata sul campo e presentarla al MIUR”. In questo modo si vuole provare a scongiurare quello che fino ad ora si è rivelato uno dei maggiori problemi nella digitalizzazione della scuola italiana: la segmentazione delle esperienze e la scarsa capacità di condivisione delle buone pratiche.

Nel frattempo una forte accelerazione nell’utilizzo delle nuove tecnologie è arrivata dall’Istituto paritario Frejus, ski college di Bardonecchia, diventata la prima scuola “total tablet” italiana. Lavagne elettroniche, tablet e lezioni in rete tramite il cloud computing, per permettere agli studenti/sciatori impegnati nelle gare, di seguire le lezioni a distanza.

Aumenta la diffusione dei tablet nelle aule e crescono i tool per la gestione dei dispositivi mobili nelle scuole. Apple ha recentemente deciso di introdurre anche in Italia il tool gratuito iBooks Author, attraverso il quale gli insegnanti potranno realizzare contenuti da distribuire agli studenti, tramite iTunes U Course Manager.

AirWatch ha lanciato Teacher Tools, che permette agli insegnanti il controllo in tempo reale dei diversi devices degli alunni, attraverso un’interfaccia semplice e intuitivo.

La sperimentazione non riguarda solo la scuola secondaria, di primo e secondo grado; ma si diffonde sempre più nelle scuole primarie e inizia ad affacciarsi nella scuola materna. Il primo caso in Italia è quello de La Casa di DADA, asilo nido e scuola dell’infanzia non paritaria di Pecetto Torinese, diretta da Mirella Maglio. Il progetto DADA 1.0, inaugurato quest’anno, non si propone come un laboratorio di informatica, ma prevede l’inserimento dell’iPad tra gli strumenti tradizionali per esplorare le diverse aree didattiche: dalla motricità alla musica, dalla narrazione ai primi approcci coi numeri. “Lavoriamo in modalità off line – spiega Alessandro Giaccaglia, coordinatore della scuola dell’infanzia –. Abbiamo selezionato le app più funzionali, partendo da un bacino di 1500 e abbiamo creato un’impaginazione semplice e funzionale, che permette ai bambini di accedere in maniera autonoma alle diverse aree tematiche”. La sfida innovativa introdotta da La Casa di DADA è stata condivisa con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che produrrà due tesi di laurea sull’utilizzo delle tecnologie touch come strumento di didattica integrativa per il Nido e la Scuola dell’infanzia, con l’intenzione di estendere la ricerca effettuata nello stato americano del Maine, dove la tecnologia touch è stata utilizzata come strumento didattico, integrato nel programma educativo tradizionale.

Se i touch screen la fanno da padroni nelle aule 2.0, non rappresentano però l’unica tecnologia che spinge la scuola verso la digitalizzazione. Mente negli Stati Uniti MakerBot ha dato vita al progetto “Academy” per portare in ogni scuola una stampante 3D, il liceo Scientifico Malpighi di Bologna ha recentemente lanciato il progetto 3Dmakers@school, per dotare le classi di stampanti 3D e software di programmazione.

Tante storie, molti casi, spesso troppo isolati, che faticano a diventare sistema. Ma la strada è quella giusta, secondo Dianora Bardi: “La rivoluzione didattica deve partire dal basso, dalle aule, dalle esperienze sul campo, non può cadere dall’alto. Non sarà facile, non sarà veloce, ma sono sicura che ce la faremo, principalmente per due ragioni. Lo tsunami digitale, che piaccia o no, è irreversibile, i mobile devices sono ormai parte del nostro quotidiano, soprattutto per i ragazzi tra i 15 e i 16 anni; non si torna indietro. Inoltre la didattica per competenze in Europa è legge e la scuola digitale va in questa direzione. Sono ottimista, non mancano i problemi da superare, carenza di fondi, scarsa diffusione di banda larga e wi-fi, ma il digitale sta entrando irreversibilmente nella scuola italiana”.

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