La scuola digitale prospetta nuove strade per l’apprendimento. Gli strumenti tecnologici, se adottati in discontinuità rispetto ai paradigmi tradizionali, possono rispondere alle istanze di una società sempre più complessa, che esige un nuovo sguardo conoscitivo e un rinnovato senso di responsabilità, autonomia e critica. Ecco un’analisi delle trasformazioni possibili, a partire dai laboratori ispirati alle “macchine inutili” di Bruno Munari.
I percorsi didattici ideati all’interno di una cornice costruttivista e arricchiti con le tecnologie digitali, possono contribuire a trasformare le attività formative, spesso impersonali e anonime, in esperienze piacevoli, sorprendenti e vivaci, sollecitando in chi apprende la capacità di incuriosirsi e stupirsi, per essere pronti ad accogliere anche ciò di cui non si ha già un modello interpretativo consolidato (Quagliata, 2014).
La lezione di Bruno Munari
È possibile dar conto di questa trasformazione, attraverso il racconto di un’attività laboratoriale proposta agli studenti del corso di Storia sociale dell’educazione, con l’obiettivo di sperimentare forme di creatività attraverso la costruzione condivisa di un artefatto – ispirato alle macchine inutili inventate da Bruno Munari – da realizzare con i mattoncini Lego.
Questa attività didattica, che si presta a essere utilizzata in differenti contesti operativi, è stata di fatto proposta in molteplici situazioni: all’interno di insegnamenti delle Lauree Triennali e Magistrali nel Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre; nei laboratori di Job Orienta; in diverse classi delle scuole medie inferiori; nei percorsi di “formazione all’arrivo” previsti dal Servizio di Volontariato Europeo.
Il percorso esperienziale realizzato presso l’Università Roma Tre ha impegnato specificamente, per 3 ore, 40 studentesse organizzate in 6 gruppi di lavoro. L’esperienza ha dato vita a una situazione di complicità dialogica tra spazi analogici e ambienti digitali. Attraverso le fasi operative dell’attività didattica (Figura 1), sono state formalizzate una serie di regole del gioco da rispettare, creando un contesto di riferimento.
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Figura 1. Le fasi operative dell’attività esperienziale proposta
Le regole della proposta di lavoro sono state interpretate e vissute non come gabbie che delimitano la libertà di azione, ma come cornici di senso al cui interno scegliere le modalità cognitive e relazionali sia per esprimere la propria creatività e il piacere di fare le cose insieme, sia per inventare macchine “utilissime” perché, come spiegava Munari (2001), “producono beni di consumo spirituale” (immagini, senso estetico, educazione del gusto, ecc.) … come i giochi dei bambini.
La fantasia e la disponibilità relazionale delle studentesse hanno reso possibile l’invenzione di macchine ingegnose e bellissime: la conoscenza è possibile solo in un’estetica dell’incertezza, che dà forma al processo di ricerca. Si illustrano di seguito i nomi e le rispettive funzioni delle sei macchine inutili inventate:
- la “Doccia Rinfresca Idee” è finalizzata a promuovere il cambiamento delle mentalità rigide di quegli insegnanti, educatori e formatori che interpretano i processi di insegnamento-apprendimento come mera operazione di trasmissione del sapere;
- la “Cambia-Menti” ha la funzione di viaggiare verso nuovi orizzonti alla ricerca di posti ancora da inventare e da esplorare;
- la “Fabbrica del Non Senso” (Fig. 2) ha lo scopo di uscire dagli schemi, dalla fissità delle cose e dalla noia: un’attività che fa bene all’anima;
Figura 2. La Fabbrica del Non Senso
- la “Mangia Esame” (Fig. 3) ha la funzione di supportare gli studenti nella preparazione di un esame, è dotata di uno scopino scaccia pensieri e di due antenne, una per attivare l’ottimismo, l’altra per allenare al meglio il cervello prima dell’esame;
Figura 3. La Mangia Esame
- la “VolaNu” ha lo scopo di creare nuvole per rendere più piacevole lo stare distesi a guardare il cielo;
- la “Splash and Go!” nasce dal desiderio di immaginare una macchina delle vacanze dotata di ogni comfort: piscina Jacuzzi, ombrellone e ventilatore, una vera oasi di relax per chiunque voglia assaporare l’ebbrezza di un bagno in macchina.
Si conclude il racconto di questa esperienza riportando solo alcune delle tante riflessioni che le studentesse hanno condiviso in un thread avviato nell’ambiente online del corso; commenti che contribuiscono dare il senso di come è possibile realizzare un’integrazione virtuosa tra attività esperienziali svolte in presenza e attività formative sviluppate online:
“… ieri ho imparato a costruire qualcosa partendo dalla confusione di tanti piccoli pezzi colorati; ho imparato, guardando quel qualcosa, che è fondamentale l’esperienza di gruppo, luogo protetto in cui abita la bellezza delle relazioni, in cui creatività e gioco hanno il potere di unire elementi apparentemente incompatibili, siano essi mattoncini Lego oppure persone” (Sara);
“… credo che quest’attività sia stata un chiaro esempio di costruzione del sapere: mattoncino dopo mattoncino, pensiero dopo pensiero, come una danza di parti interagenti, siamo riuscite a costruire un nostro fantastico sapere” (Debora);
“… è stata un’esperienza unica, che mai avrei pensato di provare in un ambiente universitario: un gruppo di sei persone, sconosciute fino a quel momento, unite per un obiettivo comune. Questo spirito di collaborazione si è amplificato nel momento più critico dell’attività, quello dello scrivere il libretto delle istruzioni … non avrei mai pensato di poter essere così complice con delle “sconosciute”” (Anna).
Requisiti e formazione dei nuovi insegnanti
I sistemi educativi e formativi richiedono una sostanziale revisione e riorganizzazione, in una società che sta diventando sempre più complessa e digitale e ha bisogno di nuove abilità connettive e interpersonali. La governance dei sistemi educativi sta cambiando attraverso le modalità in cui leader, insegnanti, genitori e discenti sono sollecitati dalle tecnologie digitali a svolgere il proprio “lavoro educativo” in modi differenti.
E’ necessario organizzare ambienti in grado di ospitare i cambiamenti in atto. Gli ambienti scolastici sono spesso mortificati dall’applicazione di metodologie e strumenti inadatti a generare una positiva e sana motivazione.
Gli insegnanti andrebbero formati sulle fisionomie emergenti della comunicazione, dei nuovi media e della digitalizzazione.
La formazione dei docenti deve essere in linea con processi di trasformazione; è auspicabile affiancare agli insegnanti degli esperti che possano animare le piattaforme digitali necessarie all’attività didattica. I docenti devono avere competenze adeguate per conoscere gli allievi e saperli valorizzare, devono saper stimolare il desiderio di conoscenza, sollecitare la creatività e l’esplorazione.
Il docente deve essere capace di creare ambienti esperienziali adatti a risolvere problemi, dov’è incoraggiata la responsabilità, l’autonomia e il senso critico; un ambiente dov’è naturale incontrare le diverse discipline considerando la molteplicità dei punti di vista. Una formazione destrutturata agevola i discenti a scegliere i tempi, i modi e l’orientamento della conoscenza ed è sicuramente più adatta ad affrontare la complessità del mondo contemporaneo.
L’insoddisfazione avvertita durante le attività di tipo tradizionale, dipende dalla poca attenzione verso sfumature di carattere emotivo e creativo e dal basso utilizzo di una formazione dinamica attenta alla motivazione e alla partecipazione degli allievi.
E’ necessario costruire ambienti e occasioni che facilitano l’apprendimento, avvicinandolo alla vita reale e alle specificità del temperamento degli adolescenti. Un apprendimento dinamico e personalizzato, non è solo più adatto a una popolazione che affronta il mondo del lavoro contemporaneo, ma è più consono alla conoscenza e all’integrazione di diversi aspetti dell’essere umano: cognitivo, emotivo, creativo e intellettuale.
Sviluppare la capacità di critica e collaborazione
Apprendere attraverso la socializzazione e il rapporto con gli altri, mette in condizioni l’allievo di conquistare gli strumenti fondamentali dell’agire sociale e relazionale; strumenti che riconducono all’uso del linguaggio e alla comunicazione: ci riferiamo all’ascolto, all’empatia, all’autenticità della relazione, all’accoglienza, alla spontaneità e all’espressione delle emozioni, alla condivisione e alla collaborazione.
Nell’apprendimento cooperativo e collaborativo sono necessarie l’acquisizione di competenze per raggiungere obiettivi comuni, l’implementazione della capacità di apprendere insieme, l’abilità d’interpretazione da molti punti di vista, la capacità di esaminare gli oggetti di studio da diverse prospettive e l’attitudine al farsi domande e risolvere problemi più che darsi risposte e accettare verità preconfezionate.
L’apprendimento non deve essere percepito come assimilazione passiva, ma come attività partecipe nella quale il discente è interprete decisivo e responsabile nella costruzione del suo sapere e il docente è un facilitatore di una dimensione apprenditiva interiorizzata, capace di essere rievocata e utilizzata in situazioni e ambienti diversi. Le conoscenze conquistate si considerano tali se si acquisiscono abilità di collegamento e associazioni.
E’ necessario scegliere le metodologie didattiche più idonee alla tipologia di apprendimento che si vuole conseguire; dove i feedback sono parte integrante della formazione e collaborano al consolidamento del sapere acquisito.
Il distacco dai modelli di apprendimento tradizionale è rilevante: non più un modello centralizzato in cui la didattica è impartita a tutti alla stessa maniera e concentrata sull’essere, ma un’educazione-formazione individualizzata e personalizzata interessata al divenire, con l’intento di sfruttare al meglio le potenzialità intellettuali, emotive e creative di ciascuno e sviluppare il senso critico, la capacità d’iniziativa e quella progettuale, altrettanto importanti dell’apprendere i contenuti di un libro o la pedissequa applicazione del programma didattico.
Il focus è sull’interiorizzazione della conoscenza/competenza e chi apprende è il vero protagonista della costruzione della sua istruzione e della sua crescita personale e sociale. Il discente deve essere responsabile della sua evoluzione conoscitiva, deve essere incoraggiato alla presa di decisione ed è importante estendere il suo spazio d’azione, anche in senso fisico.
Ridisegnare le aule: muoversi è meglio
Le aule non devono essere posti dove si sta fermi chiusi nella propria classe; devono essere collegate tra loro e mettere a disposizione strumenti, attrezzature per migliorare la ricerca, la sperimentazione e l’esplorazione.
Il movimento incoraggia la motivazione, la curiosità e la socializzazione in un clima partecipe e piacevole; le diverse discipline non devono svilupparsi in maniera isolata, ma devono interagire tra loro in un rapporto dialettico costruttivo e creativo.
L’oggetto di studio è scoperta, identificazione con il mondo che mi circonda ed è carico di senso per la nostra vita. La vera sfida oggi risiede nella capacità di chi organizza l’apprendimento di generare senso su un percorso cognitivo condiviso, progettato sull’individuo che apprende non più in termini formali, svincolati dall’identità e dalla conoscenza personale, ma legati a un piano di sviluppo in grado di coniugare esigenze individuali ed esigenze sociali.
Alla responsabilità personale si aggiungono il senso di appartenenza e la responsabilità di gruppo. La scuola deve soffermarsi maggiormente su ciò che crea identità e appartenenza all’interno di un vissuto educativo fatto di emozioni, valori e posizioni soggettive.
Porre attenzione a ciò che crea identità fa parte di una didattica impegnata a rispondere alle esigenze psicologiche degli allievi; se educare vuol dire condurre fuori quello che potenzialmente siamo e possiamo fare, è necessario che l’apprendimento mi aiuti a conoscermi/identificarmi e mi conduca a realizzare identità.
Un buon setting formativo non mi fa sentire estraneo e incoraggia la spontaneità e una migliore conoscenza personale, mi aiuta ad accrescere il senso di responsabilità e praticare l’autenticità, al fine di agire con autorevolezza e competenza.
La scuola deve essere un centro culturale in grado di dialogare con le diverse realtà del territorio; un luogo attraente e interessante dove si svolgono attività teatrali, musicali e sportive anche al di fuori dell’orario istituzionale. Un allievo deve sentirsi a “casa”, stare a proprio agio per esprimere in maniera ottimale e naturale le sue risorse intellettuali e immaginative, per amare la scuola come luogo di apprendimento motivato e stimolante incontro con la conoscenza. Un ragazzo, un allievo dovrebbero essere felici di andare a scuola, perché l’apprendimento è gioia. Come è possibile che apprendere qualcosa renda le persone infelici.
Formazione blended, narrazione e storylearning
L’innovazione tecnologica, presa in considerazione in maniera costruttiva e “costruttivista”, è foriera di interessanti iniziative in ambito didattico in grado di fornire nuove occasioni di organizzazione dell’apprendimento per comprendere, dal punto di vista relazionale ed educativo, le possibili contaminazioni tra la governance dell’istruzione digitale e i modelli pedagogici.
L’opportunità di progettare e realizzare in ambito educativo percorsi di formazione blended, nei quali la Rete sia fruita come contesto relazionale (e non come tecnologia digitale da giustapporre a pratiche didattiche che ‘incarnano’ l’obsoleto modello, epistemologicamente infondato, della trasmissione del sapere), illumina scenari di cambiamento sostenibile, proiettati nella direzione di percorsi di apprendimento ecologicamente ed eticamente responsabili, costruiti intorno alla centralità della relazione e alla valorizzazione della narrazione come prassi educativa.
Da queste premesse è possibile ridisegnare un approccio pedagogico coerente con il pensiero narrativo (Bruner, 1997) e il paradigma costruttivista (Varisco, 2002) che, mettendo il focus sulla responsabilità del soggetto che apprende nei contesti sociali di riferimento, sia in grado di ‘innescare’ un circolo virtuoso tra attività didattiche realizzate in presenza e sollecitazioni esperienziali sviluppate online.
Un impianto pedagogico che tenga conto del tempo che ci vuole (Quagliata, 2014) unico e irripetibile per ogni persona, rispettando il tempo interno dei discenti grazie a una progressiva de-standardizzazione dei tempi dell’apprendere.
Vivere un percorso di apprendimento nelle forme di un flusso narrativo, utile anche per una contestualizzazione storico-emotiva dei concetti chiave delle diverse discipline, è coerente con il ripensamento di un curriculum come insieme di storie (Schank, 2007). Storie che appartengono alla nostra cultura nel senso più ampio e abbracciano quindi gli ambiti scientifico, letterario, economico, artistico, giuridico, poetico, ecc.
Una ‘semplice’ descrizione, infatti, può essere trasformata in una narrazione vivace, esplicitando il processo, la storia dell’apprendimento. La pratica dello storylearning, che connette lo storymaking con lo storytelling, contribuisce a rendere visibile il processo di apprendimento costruito attraverso le storie: gli apprendimenti prendono vita e si sviluppano attraverso le storie.
La narrazione si configura come un dispositivo particolarmente efficace in ambito educativo, per favorire la costruzione di un profondo senso di appartenenza a un gruppo, per ingaggiare e motivare i partecipanti nel seguire percorsi di apprendimento che contribuiscono progressivamente ad alimentare. Docenti e studenti, sollecitati ad agire le loro competenze, la loro creatività e le loro passioni all’interno della cornice narrativa dello storylearning supportato dalle tecnologie digitali, si dimostrano capaci di progettare e realizzare storie di apprendimento multidisciplinari emotivamente coinvolgenti e culturalmente significative, restituendo linfa vitale ai sistemi educativi e formativi.
Le metafore dell’apprendimento
C’interessa e ci piace “camminare” lungo il sentiero dell’apprendimento, soffermarci e osservare con cura ciò che ci circonda, ascoltare le voci sussurranti che fanno da eco a un mondo lontano: fermarsi e raccogliere ciò che è necessario per proseguire il nostro viaggio; quindi “afferrare”, perché l’aprehèndere ama impossessarsi di tutto ciò che gli è necessario per nutrirsi e, per portare il cibo alla bocca usa entrambe le mani.
Nel pasto, come in tutti i riti degni di questo nome, è essenziale fare dei gesti con “a-ttenzione”, più precisamente senza tensione alcuna, per liberare i movimenti con naturalezza e accoglienza. E’ solo nel sentirsi a proprio “agio” che riusciamo a essere ospitali e prendere le cose che ci servono, giocare e sentire il piacere di vivere, perché il dis-agio esclude e ci fa sentire la mancanza di vita. Così a mio agio posso aver cura e com-prendere, masticare lentamente e rendermi conto dei sapori, ascoltare il mio appetito che m’indica i cibi di cui ho bisogno e mi “muove” verso nuovi traguardi e nuove metamorfosi. Solo così consapevole posso “responsabilmente” agire con le mie forze e scoprire ciò che mi anima in profondità.
Il genio di Albert Einstein sosteneva: “Non ho mai insegnato nulla ai miei studenti; ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare”.
Riferimenti bibliografici
Biondi G., Borri S., Tosi L. (2016). Dall’aula all’ambiente di apprendimento. Firenze: Astralinea.
Bruner J. (1997). La mente a più dimensioni. Bari: Laterza.
Novak J.D., Gowin D.B. (1984). Learning how to learn. Cambridge University Press.
Quagliata A. (2014). I-learning. Storie e riflessioni sulla relazione educativa. Roma: Armando.
Schank R. (2007). The story centered curriculum. eLearn Magazine, Vol. Aprile, n. 4.
Varisco A.M. (2002). Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagocici, applicazioni didattiche. Roma: Carocci.