LO SCENARIO

Scuola e competenze digitali, l’importanza di politiche nazionali all’altezza della sfida

A fronte di studenti nativi digitali, l’apparato didattico e amministrativo italiano non sembra pronto a traghettare le nuove generazioni nel futuro. Serve uno scatto in grado di far cogliere i vantaggi offerti dall’Ict per una formazione learning-centered. Ecco i nodi da affrontare e le soluzioni possibili

Pubblicato il 22 Mar 2019

Nicoletta Vitali

Dirigente Scolastico IC Eugenio Donadoni di Sarnico (BG)

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Competenze digitali al ralenti nella scuola italiana. A fronte di studenti nativi digitali, l’apparato amministrativo e quello didattico non sono ancora pronti a una formazione learning-centered in grado di accompagnare le nuove generazioni nel futuro.

Per questo non basta la politica dei piccoli passi intrapresa finora dai decisori centrali. Serve uno scatto di reni in modo da fare della formazione uno snodo strategico per lo sviluppo del sistema educativo del nostro Paese. Ecco lo scenario, gli ostacoli e le possibili soluzioni.

Le rilevazioni internazionali certificano il ritardo del nostro Paese nel conseguimento di adeguate competenze digitali, in particolar modo nella pubblica amministrazione, di cui la scuola rappresenta uno dei settori strategici per le politiche di sviluppo.

Nella nostra società “liquida”, le trasformazioni sono pervasive, complesse, in continua evoluzione, con una ricaduta importante sugli stili di vita e i riferimenti valoriali delle persone, a tutti i livelli della popolazione.

Cambiano i modi di apprendere e di comunicare. La scuola non cambia alla stessa velocità ma sta procedendo, tra ritardi e differenze notevoli di modalità di gestione, per colmare il digital divide che separa le sue componenti: alunni, docenti, famiglie, personale ausiliario.

Il ruolo della scuola di fronte ai nativi digitali

Le competenze digitali e il rapporto con la quotidianità dei “migranti digitali”, adulti, sono notevolmente diverse da quelle dei “nativi digitali”, tanto da essere stati teorizzati tre differenti tipi di spazi di apprendimento e di interazione sociale: il primo è la casa, l’ambiente familiare; il secondo è la scuola, o il lavoro; il terzo è dato da un luogo di apprendimento che non ha limiti fisici, ma spazi, modi, strumenti e tempi “diffusi”.

In questo terzo spazio, che è in massima parte frequentato dalle giovani generazioni, avvengono situazioni di apprendimento e di interconnessione con gli altri che stimolano meccanismi cognitivi, esperienze, modalità di comunicazione e collaborazione, che non hanno molti termini di confronto con le altre due tipologie di spazi.

Entra in gioco il ruolo della scuola che ha il compito istituzionale di sviluppare competenze per formare una cittadinanza digitale attiva e responsabile. Si tratta di aiutare i futuri cittadini a pensare, ad imparare ad imparare, a collaborare, co-costruire e condividere conoscenze e significati.

Il ruolo del docente è necessariamente cambiato, gli spetta il compito di progettare percorsi formativi e ambienti di apprendimento nei quali si realizzi un apprendimento significativo, learning centered, per agire, collaborare, utilizzare il pensiero, attivando le molteplici dimensioni (cognitive, operative, affettive, relazionali e sociali) della persona, docente compreso. L’insegnante perde il ruolo di disseminatore d’informazione per diventare facilitatore, coach, con l’obiettivo di aiutare chi apprende a riflettere e costruire attivamente la sua conoscenza.

L’Ict leva strategica

La motivazione e la formazione dell’insegnante sono fondamentali e questo è un fattore strategico imprescindibile, che nella realtà della scuola si realizza con una frequenza troppo bassa, rispetto alla necessità dell’innovazione metodologico-didattica (dalla didattica trasmissiva alla formazione learning centered).

Il ruolo delle ICT è quello di creare tool e strumenti di apprendimento significativo che permettano agli studenti di imparare con le tecnologie e non dalle tecnologie.

Nel primo caso, si tratterebbe solo di una forma diversa di insegnamento trasmissivo, di distribuzione di informazioni senza interazioni e apporti personalizzabili, e quindi senza una significativa differenza rispetto all’insegnamento tradizionale.

Nel secondo caso, un uso consapevole delle tecnologie, intese come collaboration tools, costituisce un apprendimento significativo, da esprimere in forma creativa, organizzando le conoscenze acquisite e risolvendo problemi, creando prodotti e riflettendo su processi e contenuti. Studenti, insegnanti e la scuola nel suo complesso dovrebbero costituire una comunità che apprende (knowledge-building community). La scuola è fatta di persone, fattore vitale in ogni luogo e in ogni tempo, e l’investimento sulla formazione continua di questo settore dev’essere consistente, strutturale, di medio-lungo termine e illuminato. Questo non succede, non nel nostro Paese.

Il ruolo del dirigente scolastico, con la sua mission e la sua vision, è a maggior ragione strategico e deve fare la differenza.

Un altro settore vitale della scuola è rappresentato dal personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario). La scuola ha obiettivi e finalità da realizzare attraverso le risorse economiche che provengono da diverse fonti: ministeriali, contributi volontari dalle famiglie, enti territoriali (Comuni, Province e Regioni), sponsorizzazioni e fondi strutturali europei.

Tutti i nodi dell’amministrazione

Il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) è il progetto formativo di ciascuna scuola, che utilizza le risorse perseguendo il miglioramento continuo, sulla base dell’autovalutazione d’istituto, dei bisogni e del contesto nel quale opera. Le “gambe” del progetto sono mosse dalla gestione amministrativa delle risorse, che sono umane e finanziarie.

Si rileva che un punto dolente, attualmente, è dato da segreterie amministrative che hanno competenze gestionali e digitali troppo spesso scarse e poco qualificate: in moltissime scuole mancano i DSGA (Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi), sostituiti da assistenti amministrativi facenti funzione, che si assumono responsabilità senza avere, spesso, adeguate conoscenze ed esperienze specifiche.

Anche una parte degli assistenti amministrativi, in molte realtà scolastiche, sono impreparati ai continui cambiamenti e adeguamenti richiesti (con l’effetto, ad esempio, di mancata attivazione di piattaforme per la gestione dei dati contabili, senza adeguata formazione preventiva, a volte non svolta perché titolari di un contratto a tempo determinato, o perché in prossimità del pensionamento). Le competenze digitali di base (soft skills) sono limitate, a volte persino assenti.

L’effetto di questa situazione può essere deleterio, perché, è il caso di una delle due scuole che dirigo, ci si può trovare ad esempio nella situazione di rinunciare alla realizzazione di un progetto approvato e finanziato con fondi europei (PON 2014-2020), per mancanza di adeguate competenze a livello amministrativo, data la complessità delle procedure richieste o per la precarietà del personale coinvolto.

Si riconosce lo sforzo compiuto dal ministero, di fronte a innovazioni tecnologiche per ottimizzare il lavoro amministrativo, di formare gli amministrativi e i dirigenti scolastici con formazione online o in presenza, ma non è sufficiente se non c’è partecipazione, motivazione e se l’intervento è uno “spot” che (non) esaurisce in una giornata la complessità delle novità introdotte.

Tante eccellenze, ma a macchia di leopardo

I concorsi per i nuovi dirigenti (in fase di espletamento) e nuovi DSGA (non ancora iniziato) non ci danno la garanzia che il prossimo anno scolastico non si ripresenteranno situazioni di instabilità e precariato nelle funzioni strategiche per la gestione di una struttura ad alta complessità, qual è la scuola italiana.

Dal prossimo anno dovremo realizzare l’ultima fase del Sistema Nazionale di Valutazione (SNV), quella della rendicontazione sociale. Ci sono molte professionalità all’altezza delle sfide educative e formative del nostro tempo, ma sono presenti a “macchia di leopardo”. Si lavora per il miglioramento, comunque.

Si applica la politica dei piccoli passi, ma non siamo e non saremo mai al passo dei cambiamenti epocali in atto, se non possiamo avere al nostro interno le risorse umane adeguate al compito assegnato. La scuola c’è, la scuola sta cambiando, va sostenuta e incentivata. La formazione dev’essere strutturale e di qualità. Il personale dev’essere selezionato con procedure che ne garantiscano il merito e la compatibilità con il profilo professionale, oltre che con gli obiettivi istituzionali assegnati. Le riforme della scuola devono essere svolte con continuità, senza cambiamenti già in corso di prima attuazione, altrimenti si perde il significato dell’azione a medio e lungo termine.

Il rischio che emerge, nel trascurare la portata dell’influenza del terzo spazio nella formazione dei nostri studenti, è dato dal fatto che, senza adulti di riferimento che diano loro strumenti di comprensione e di pensiero critico (la famiglia in primis, seguita dalla scuola), il mare magnum delle informazioni senza filtri, costruite dal basso, contenute nella Rete risulti un mashup (poltiglia) di contenuti, che assorbe e ridimensiona la facoltà di far circolare idee, dibattiti, confronti e critiche costruttive.

L’uso consapevole e corretto delle ICT apporterebbe uno sguardo più critico, un’azione di pensiero finalizzata ad un’efficace interazione sociale. La diffusione di cultura, tramite la condivisione in rete, potenzialmente accorcerebbe le distanze tra le generazioni e aumenterebbe la partecipazione attiva competente. Le problematicità sono note, le soluzioni sono possibili e praticabili, ma il sostegno delle politiche nazionali, la loro lungimiranza e le risorse messe in campo devono essere all’altezza della sfida sociale e culturale in atto.

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