Da qualche tempo e in particolare dall’uscita della “Buona Scuola” i riflettori sono puntati sul mondo della scuola e sulla necessità di innovare i processi di insegnamento e apprendimento tramite le tecnologie. Ciò che meno spesso si dice è che al di là delle buone, ottime pratiche, che si guadagnano un posto nei giornali per la loro eccezionalità (difficilmente replicabile), esiste un humus di docenti che con buona volontà e non poco coraggio, spesso vincendo le resistenze del consiglio di classe, del dirigente e dei genitori, intraprendono iniziative di introduzione delle tecnologie nella didattica che portano risultati sorprendenti in termini non solo di coinvolgimento (facile, quando si mettono insieme ragazzi e tecnologie) ma soprattutto di benefici didattici sostanziali e ad ampio spettro.
Ma chi sono questi docenti? Nell’immaginario collettivo, li visualizzeremmo giovani, un po’ nerd, abitanti di Facebook e social media: degli “zii digitali”, insomma. E invece no.
Il laboratorio HOC-LAB del Politecnico di Milano, da anni attivo nel campo delle nuove tecnologie per la didattica, ha condotto una attività su base volontaria di introduzione dello storytelling digitale nella didattica: “narrare storie” in formato multimediale, con audio, video, immagini e testi, usando uno strumento autore creato dal laboratorio stesso. L’attività, Poli Cultura Expo2015, era il concorso ufficiale per le scuole dell’Esposizione Universale Expo Milano 2015 (www.policulturaexpo.it, riproposta per l’anno 2015-16).
La proposta è stata accolta, nell’anno scolastico 2014-15, da centinaia di docenti e migliaia di studenti in tutta la penisola, provenienti da scuole di ogni ordine e grado, immerse nei più diversi contesti sociali: un “campione” rappresentativo della realtà della scuola italiana. Ai partecipanti è stato chiesto di rispondere a un dettagliato questionario, all’inizio e alla fine dell’esperienza; ad alcuni docenti è stata proposta una intervista dettagliata, via Skype: sono state raccolte 403 risposte e 120 interviste.
Ed è proprio da queste risposte che emergono dei dati che ci sorprendono: il docente “innovatore” che si lancia in una attività che coinvolge non una ma diverse tecnologie (dallo strumento-autore per creare le storie a vari strumenti di editing per video, audio e immagini) appare “di una certa età” (il 65,2% è tra i 46 e i 60 anni), con diversi anni di esperienza alle spalle (il 60%, più di 20) e di area umanistica più che tecnico scientifica. Molti (41,4%) ammettono candidamente di conoscere “poco o molto poco” le tecnologie che dovranno usare. Tutt’altro quindi che dei giovani nerd…
Sorge spontanea la curiosità: ma come fanno? La risposta la troviamo nei campi liberi del questionario e nelle interviste: assumono un atteggiamento proattivo e attingono risorse dal “sistema” in cui si trovano, a partire dagli studenti stessi.
Dichiara una docente di scuola superiore “La cosa principale in questo lavoro è che ho dovuto essere umile, cioè non ho potuto dire ai ragazzi ‘So fare tutto’, perché non era vero, io non sapevo fare niente; ho dovuto chiedere aiuto ai ragazzi: ‘voi siete più bravi di me a fare queste cose’. Ma non tutti i colleghi mettono a nudo le loro carenze. […] Questo aiuta a rendere l’insegnante più vicino e più umano agli occhi dei ragazzi perché loro vedono che sei una persona che insieme a loro sta apprendendo qualcosa di nuovo.”
E i risultati ci sono: il 97,5% degli studenti accresce (“molto/moltissimo”) la propria conoscenza del contenuto trattato nella storia digitale, l’89,1% migliora la propria capacità di comunicare, l’80,3% migliora la “media literacy” (capacità di comunicare in maniera multimediale, una delle abilità essenziali del 21° secolo), il 91% aumenta la capacità di lavorare in gruppo…
Che lezioni possiamo ricavare da questi dati? Tante, ma una è particolarmente consolante. Per introdurre efficacemente la tecnologia nella scuola, ottenendo buoni risultati didattici, c’è bisogno che il docente sia un bravo docente e non che sappia tutto di tecnologia. Questa semplice osservazione può avere conseguenze importanti su come si addestrano i (futuri) docenti, per i quali sta diventando importante acquisire competenze come la capacità di gestire risorse e attività progettuali.
Chiudiamo con quella che forse una sorpresa non è più: gli insegnanti ci assicurano che anche gli studenti, alla fine dell’esperienza, hanno avuto un balzo nell’uso delle tecnologie (il 73,7% ne sa “molto, moltissimo” di più). Scopriamo (ma già altre voci lo hanno evidenziato) che i nostri “nativi digitali” se la cavano meglio con Facebook e App che con strumenti professionali di comunicazione: c’è bisogno di insegnarglielo (a scuola?).