le accuse

Se ChatGPT ci diffama, come difendersi? La responsabilità dell’AI

In Italia, la responsabilità penale è personale: non ci potrà quindi essere il reato di diffamazione a carico dei gestori di ChatGPT, almeno in via diretta. Cosa fare allora? Si potrà ricorrere ad azioni in sede civile, ma è necessario che OpenAI trovi una soluzione tecnica, o meglio ancora adegui la compliance a GDPR e DSA

Pubblicato il 13 Apr 2023

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

chatgpt 4 stupido

Tra le tante accuse mosse a ChatGPT ora c’è anche la diffamazione: il chatbot di OpenAI avrebbe “accusato” falsamente il sindaco di un Comune australiano di essere corrotto ed un professore di un’università privata USA di essere un molestatore sessuale.

Il problema è serio, perché si colloca tra la responsabilità civile, il diritto alla correttezza dei dati e, più in generale, ai rimedi per ottenere la rimozione di contenuti falsi o non corretti.

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Diffamazione: il quadro italiano

Nel nostro ordinamento la diffamazione è un reato ed è punibile penalmente; perché vi sia un reato, però, deve esserci anche un soggetto che lo ha commesso.

Nel caso di ChatGPT non ci può essere nessuna persona fisica: solo un’intelligenza artificiale che, sulla base dei propri algoritmi e sulla base delle proprie conoscenze (il training effettuato sullo studio dei motori di ricerca) offre delle risposte a delle domande (Q&A, ossia question and answer).

Dato che la responsabilità penale, in Italia, è personale, non ci potrà essere il reato di diffamazione a carico dei gestori di ChatGPT, almeno in via diretta.

Questo significa che la diffamazione potrebbe essere ipotizzabile a carico dei soggetti onerati della vigilanza della AI solo nell’ipotesi in cui, diffidati a rimuovere i contenuti diffamatori, non lo facessero, non per negligenza, ma per continuare a diffamare la persona offesa.

Le azioni necessarie per far cessare l’azione diffamatoria

Questo quadro impone di valutare soluzioni alternative e diverse e, in particolare, le azioni civili.

Dato che non è ancora previsto lo strumento della rimozione rapida dei contenuti tramite, anche, deindicizzazione – si pensi alle procedure del Garante privacy per revenge porn e cyberbullismo – fino a nuovo ordine sarà necessario procedere in via ordinaria.

In altri termini, i rimedi saranno azione inibitoria, eventualmente corredata da ricorso di urgenza, ed azione risarcitoria ordinaria.

Si dovrà, quindi chiedere al giudice ordinario, in via d’urgenza ed ai sensi dell’articolo 700 del Codice di procedura civile, di ordinare ad OpenAI ed alla sua consociata italiana di fare tutte le azioni utili e necessarie a far cessare l’azione diffamatoria.

Per ottenere questo risultato – ammesso che la cosa sia fattibile – i gestori di ChatGPT dovrebbero intervenire direttamente sul processo di apprendimento per insegnare alla AI a non associare mai un dato risultato (ad esempio, corrotto) ad un dato nome.

Sarà quindi necessario “provare” che l’output prodotto dalla AI ad una data domanda è radicalmente falso o errato.

Ottenuto l’ordine dal Giudice, si potrà anche richiedere un risarcimento, la cui quantificazione potrebbe essere equitativa, nelle ipotesi in cui non sia possibile effettuare una stima precisa dell’ammontare del danno patito.

Ancora una volta, quindi, niente azioni eclatanti, ma solo ordinarie azioni civili in tribunale.

Conclusioni

OpenAI dovrà trovare un sistema di rilevazione di errori automatico e, poi, dovrà impostare una procedura di “rettifica” degli errori sfuggiti al filtro.

Dovrà, in altri termini, dotarsi di moderazione come i social network ed i motori di ricerca, posto che si colloca a metà tra gli uni e gli altri.

In realtà, non è nemmeno chiara la ragione per la quale non dovrebbe essere trattata esattamente come social e motori di ricerca, dato che il business model degli uni e degli altri, ormai, inizia ad avere tali e tanti punti di sovrapposizione e di regolamentazione comune, da non giustificare più grandi differenze.

Se, quindi, ci sono strumenti di rimozione rapida dei contenuti per video ed altri contenuti dannosi, andranno estesi anche alle app di intelligenza artificiale.

Stiamo parlando sempre e soltanto di algoritmi: la soluzione tecnica dovrà essere trovata. Sul fronte normativo, le alternative sono due: attendere il contenzioso e le relative sentenze o intervenire prima.

Open AI ha la terza via in mano: adeguare la compliance a GDPR e DSA come hanno fatto gli altri grandi attori del web e porsi come interlocutore affidabile anche per le istituzioni europee, uscendo dal far west.

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