digitale e filosofia

Se il collega è un robot: come cambiano i concetti di lavoro e socievolezza

Cosa succede se i colleghi sono robot? Come possiamo impegnarci in azioni o relazioni sociali? Ecco perché se vogliamo usare la parola lavoro per definire un’attività svolta insieme da un essere umano e una macchina, dobbiamo mettere da parte alcuni dei significati che hanno finora connotato il lavoro

Pubblicato il 22 Feb 2023

Valeria Martino

post-doc presso l’Università di Torino

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Molte cose si dicono sull’introduzione dell’intelligenza artificiale e il lavoro, cose che vanno anche in direzioni diametralmente opposte: i robot ci ruberanno il lavoro, finalmente smetteremo di lavorare, vogliono farci credere che il lavoro finirà, ma in realtà non finirà mai, e via dicendo. Certo, è innegabile che dei cambiamenti importanti stanno avvenendo e la filosofia può entrare in campo per aiutarci a chiarirli.

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I quattro elementi che caratterizzano il lavoro

Secondo le definizioni abituali, il lavoro, almeno per come lo conosciamo dall’epoca post-Rivoluzione industriale, è correlato a quattro aspetti chiave, ovvero quattro elementi la cui presenza può spingerci ad affermare che una certa attività è lavoro:

  • la produzione di beni;
  • la retribuzione;
  • l’essere luogo per lo sviluppo della socialità e la formazione di nuovi gruppi;
  • dare un senso e significato alle nostre vite.

Tutti e quattro gli aspetti sono influenzati dalla natura mutevole del lavoro. Tuttavia, ci concentreremo sul terzo aspetto, cioè la socievolezza. Il lavoro e la socievolezza sono concetti correlati, per esempio, nella misura in cui il lavoro permette la formazione di gruppi umani specifici (un esempio fra tutti, le prime Trade Unions) ed è una delle basi della solidarietà e della coesione tra gruppi. Così, ad esempio, secondo il noto sociologo Émile Durkheim.

Se il collega è un robot

Ma cosa succede se i nostri colleghi non sono più esseri umani ma robot autonomi? Come possiamo impegnarci in azioni o relazioni sociali con qualcosa di così diverso da noi? Cosa succederebbe se le persone con cui interagiamo abitualmente come cittadini, utenti di banche, pazienti, ecc. venissero sostituite da robot sociali?

Cercare di rispondere a queste domande ci porta a considerare diverse nozioni, non solo quelle di lavoro e socievolezza, ma anche informazione, fiducia, collaborazione, nella misura in cui sono correlate all’area semantica del lavoro. Certamente, se vogliamo utilizzare la parola lavoro per denominare un’attività svolta insieme da un essere umano e una macchina, per quanto sofisticata come può esserlo un robot sociale, dobbiamo mettere da parte alcuni dei suoi significati, come l’identità professionale, la vocazione o il lavoro come virtù atta a sviluppare la fioritura umana. Può avere invece senso estendere la nozione di lavoro all’attività svolta da un soggetto ibrido, se con lavoro intendiamo un’attività coordinata; dunque, una mansione che può essere letta alla luce delle teorie sull’azione congiunta, ovvero quelle azioni che devono necessariamente essere svolte da due o più persone, per esempio perché richiedono più di un ruolo, come può essere suonare un duetto, ma anche più banalmente spostare un divano.

In effetti, la socievolezza, la fiducia e il lavoro sono tipicamente umani e non sono applicabili a soggetti diversi nella stessa misura.

Le interazioni coi robot

Allo stesso tempo, questo non significa che le interazioni con i robot siano prive di interesse o di significato. Nel caso di un robot sociale, abbiamo una macchina in grado di agire e di reagire alle nostre azioni. In questo modo, anche se le intenzioni, le convinzioni e i desideri possono essere attribuiti al robot solo metaforicamente, esattamente come solo metaforicamente un robot può essere definito sociale, ciononostante, potremmo affermare che un robot può impegnarsi in interazioni sociali intese come azioni congiunte, soprattutto in virtù della nostra natura di esseri sociali in grado di interagire socialmente anche con gli oggetti (se siamo portati ad attribuire loro alcune capacità come quella di reagire, di aggiustare i propri obiettivi, di impegnarsi in relazioni mezzi-fini). In effetti, i robot sociali sono e dovrebbero essere progettati tenendo in considerazione i nostri atteggiamenti sociali, al fine di rispondere ai nostri bisogni e ai nostri sentimenti di appartenenza a gruppi e comunità.

Azioni congiunte uomo-robot

Se ci occupiamo di azioni congiunte, mettendo da parte l’intero complesso di concetti solitamente a esse collegati, ovvero l’intenzionalità collettiva, la razionalità e la socievolezza propriamente detta, possiamo riferirci alla coppia essere umano-robot come al loro soggetto, senza perdere il senso dell’espressione.

L’azione congiunta rimane un tipo specifico di interazione intesa come base per il raggiungimento di compiti comuni e per la formazione di gruppi a breve termine che possano agire in base allo stesso fine specifico e gli esseri umani possono essere impegnati in esse con i robot.

Possiamo notare come da un punto di vista funzionalista, ovvero semplificando che si limiti a descrivere i comportamenti, si possa arrivare a una equivalenza tra esseri umani e robot, nello svolgimento dei loro compiti anche in relazione a obiettivi comuni. Ciò che continua a essere diverso è il fatto che, come esseri umani, assegniamo a sfere che consideriamo rilevanti, come il lavoro, un significato che va oltre l’esecuzione del ruolo.

Precisamente, nelle concezioni del lavoro che ne enfatizzano la rilevanza nella formazione dei gruppi sociali – intesi nella loro accezione sociologica – sembra esserci poco interesse per un gruppo composto solo da robot, perché questi ultimi non hanno diritti e doveri, non esprimono disagio, non condividono alcun tipo di caratteristiche rilevanti o di comportamento riconoscibile. Di conseguenza, i robot non possono dare vita a gruppi sociali, anche se possono formare gruppi di breve durata, intesi come soggetti di attività svolte in comune.

Questa mossa teorica potrebbe essere rilevante anche nelle discussioni sulla possibilità di attribuire responsabilità ai gruppi ibridi. Per vedere realizzate le attività congiunte, tuttavia, è importante che le informazioni corrette siano condivise tra i soggetti coinvolti. Questo è dunque un motivo esplicito per promuovere la trasparenza nella realizzazione, nella progettazione e nell’utilizzo dei robot sociali. Ci sono ragioni etiche che si applicano, ad esempio, a interazioni specifiche con i robot, come quelle che avvengono attraverso il web con i bot, che potrebbero essere scambiati per esseri umani, ma esistono anche ragioni teoriche, soprattutto se consideriamo la necessità di avere interazioni più fluide con i robot, nella misura in cui ciò sarebbe reso difficile da una politica che mancasse di trasparenza.

Bibliografia

Appiah, K.A. (2021). The Philosophy of Work. In D. Sobel, P. Vallentyne, e S. Wall (a cura di), Oxford Studies in Political Philosophy, Oxford: Oxford University Press, pp. 1-22.

Brinck, I. e Balkenius, C. (2020). “Mutual Recognition in Human-Robot Interaction: A Deflationary Account”, Philosophy & Technology, 33, pp. 53-70.

Danaher, J. e Nyholm, S. (2021). “Automation, work and the achievement gap”, AI Ethics, 1, pp. 227-237.

Martino, V. (2021). “Human-robots Interaction: A philosophical framework for social and political assessment”, The GCAS Review Journal, I(2). Disponibile online al seguente link:

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