Dato che sono già passati due mesi da quando il covid-19 ha stravolto la Lombardia, vogliamo evidenziare in che modo di preciso il virus “sdoganato“ (sia in termini di utilizzo diffuso che di accettazione) alcuni strumenti tecnologici in tre settori strategici: l’educazione, il lavoro, la salute.
Educazione: la didattica a distanza
Il primo commento che affiora di fronte alla diffusione, nel mese di marzo, della didattica universitaria online è: “le università italiane hanno fatto di tutto, negli ultimi 20 anni, per ostacolare la diffusione delle loro concorrenti telematiche e poi, nel giro di una settimana, hanno dovuto attrezzarsi ed essere in grado di erogare lezioni, esami di profitto e lauree in modalità telematica!”
La didattica online è definita dal Ministero dell’Istruzione “modalità di didattica a distanza“. Rientrano così in questa definizione tutte le iniziative e le realtà accreditate che permettono di mettere in contatto insegnanti e studenti che si trovano in ambienti lontani attraverso i dispositivi informatici
Porto di seguito alcuni numeri dell’Università degli studi di Milano Bicocca che, a partire dal 3 marzo, è stata in grado di offrire, per tutti i dipartimenti, la didattica a distanza a tutti i propri studenti (oltre 35.000). I dati sono registrati e pubblicati giornalmente sul sito di Ateneo.
Da una parte sono da notare i numeri assoluti dell’offerta e dall’altra l’effettiva fruizione giornaliera dei corsi.
Sul primo punto è di immediata constatazione il fatto che al 3 marzo probabilmente sono state messe online le lezioni già pensate e progettate per l’erogazione a distanze e nei giorni successivi i docenti si sono attrezzati per realizzare ed erogare le lezioni a distanza.
Al 7 aprile sono state fruite 2.797.062 videolezioni sulla piattaforma moodle, dai 14 dipartimenti che compongono l’Università.
Le video lezioni pubblicate sono oltre 25.000. Solo questi due numeri danno l’idea della mole di lavoro fatto e che si è fatto e che si sta facendo.
A ciò si aggiungono l’erogazione di esami di profitto e di esami di laurea.
I fattori che hanno permesso di trasformare la didattica
Ma quali sono i fattori che hanno reso possibile trasformare la didattica frontale ordinaria in didattica a distanze nell’arco di qualche giorno, proviamo ad elencarli:
- Il commitment della governance: l’università Bicocca è guidata da una Rettrice giovane e dinamica che, fin dal 23 febbraio ha dettato chiaramente e senza indugio la linea, anche grazie alla sua personale sensibilità verso i temi di salute pubblica e la necessità di mantenere viva ed operativa la missione didattica dell’università; in particolare l’indicazione è stata quella di organizzare tutta la didattica del secondo semestre in modalità a distanza;
- chiare indicazioni e istruzione: la chiarezza della linea di condotta si è sostanziata in una linea di comunicazione chiare e diretta a tutti i docenti con il coinvolgimento, a cura del prorettore alla didattica, di tutti i presidenti dei corsi di studio
- tecnologia: la pre-esistenza di una piattaforma dedicata e già utilizzata, ha consentito di scalare in breve la montagna e passare ai grandi numeri di offerta e dei relativi utilizzatori;
- supporto amministrativo e organizzazione: l’area amministrativa ha immediatamente risposto sul fronte dei sistemi informativi – dall’oggi al domani sono state, ad esempio, reclutate figure tecniche con competenze adeguate che hanno consentito di mettere a punto il supporto costante ed operativo sia per le sessioni di esami che, soprattutto, per le sessioni di laurea – e sul fronte giudico gestionale mettendo a punto gli strumenti (decreti) che consentissero con regolarità e legittimità, l’erogazione degli esami di profitto e delle lauree.
I numeri: da metà marzo al 7 aprile si sono tenute 77 sessioni di laurea e sono stati laureati più di 1800 studenti, la programmazione del mese di aprile prevede altre 19 sessioni.
Per quanto riguarda gli esami di profitto: oltre 700 sono stati gli appelli di esame nel mesi di marzo e oltre 4000 gli studenti che hanno sostenuto un esame on line.
Lavoro: lo sdoganamento dello smart working
Non più tardi del 6 febbraio sono stata intervistata da giornalisti sia di carta stampata che radiofonici in merito al tema dello smart working. L’università Bicocca infatti, fin dal maggio 2018, aveva intrapreso un progetto volto alla valutazione sulla sostenibilità organizzativa e gestionale dello smart working. Da maggio 2019 è stato avviato un progetto sperimentale e diffuso di smart working che ha coinvolto circo 170 lavoratori su 800. Proprio nei primi mesi del 2020 stavamo raccogliendo gli esiti della sperimentazione e ragionando su un nuovo bando di partecipazione con la possibilità di prevedere il lavoro “smart” fino a due giorni alla settimana e senza limitazioni sulle adesioni. Ed ecco che dall’inizio di marzo 2020 il “lavoro agile” è diventata la modalità di lavoro ordinaria.
Che il lavoro agile da remoto che stanno facendo la maggior parte dei lavoratori non sia così “smart” solo chi ha provato e diffusamente approvato lo smart working può’ dirlo… Ciononostante è fuori di dubbio come il “nemico diabolico” abbia contributo ad abbattere i forti e diffusi pregiudizi che, in particolare i dirigenti ed il middle management, nutrivano nei confronti di questa modalità lavorativa.
Se consideriamo la presenza di personale tecnico amministrativo dal 1 al 31 marzo possiamo notare quanto sia diffuso il lavoro da remoto
La prima settimana di marzo coincide con la settimana del #milanononsiferma in cui sembrava potesse esserci una ripresa delle attività mentre dal 24 al 29 febbraio le presenze si sono attestate al 30%. Anche qui, come è stato possibile?
In primis la coerenza della linea dettata dalla governance: i servizi si erogano on line e anche il lavoro di supporto deve essere fatto a distanza. Anche qui comunicazioni ed indicazioni chiare ed operative.
L’esperienza: l’aver messo a punto una sperimentazione diffusa dello smart working ha disporre di contratti, corsi per la gestione in sicurezza del lavoro da casa, supporti tecnologici ed informatici sia in termini di piattaforme che di sistemi operativi che consentano di lavorare da remoto in piena sicurezza per quanto riguarda la gestione e l’elaborazione dei dati.
Ma lavorare da remoto non è smart working ed in questo frangente è di fondamentale importanza mettere a punto sistemi di supporto e sostegno che consentano una gestione equilibrata dello spazio e del tempo oltre che dei conviventi, in particolare se fra questi ultimi ci sono dei figli in età scolare. A fronte di un approfondimento fatto con i dirigenti è emersa la necessità di rafforzare alcuni strumenti di gestione delle risorse umane e dare alcuni strumenti operativi ai colleghi per gestire tempo e spazio di lavoro a casa: grazie al supporto dei alcuni docenti del dipartimento di psicologia, in particolare esperti di psicologia del lavoro, sono in corso approfondimenti e sostegni mirati ai dirigenti e ai capi settore per una ottimale gestione, in attesa che si possa riprendere, almeno in parte, il lavoro in presenza, pur con adeguati accorgimenti quali ad esempio, la presenza di una sola persona per ufficio, la tutela del personale con fragilità o con conviventi con fragilità di salute, la predilezione del mezzo proprio per gli spostamenti.
Salute: finalmente la telemedicina
Seguo da molti anni lo sviluppo degli strumenti di telemedicina a supporto dei processi di prevenzione, cura e riabilitazione e anche su questa testata ho avuto modo di evidenziare come la mancanza di un quadro regolatorio nazionale rappresentasse un forte ostacolo al passaggio dai progetti mirati all’ordinaria pratica clinica. Ecco, anche in questo caso, il nemico diabolico è riuscito a”sdoganare” e a far sì che gli strumenti della telemedicina potessero essere correntemente utilizzati per la gestione dei pazienti.
A titolo di esempio si veda la dgr XI/2986 del 23 marzo 2020 di Regione Lombardia che istituisce le cosiddette USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) e il “profilo di cura ADI COVID” per consentire al medico di monitorare da remoto l’andamento dello stato di salute del paziente Covid-19 anche tramite la dotazione di dispositivi di rilevazione dei principali parametri vitali in relazione allo stato di salute del paziente. Mi chiedo se in questo contesto non possano essere recuperate le brillanti esperienze fatte sia in “Nuove Reti Sanitarie” che con il progetto CREG in Regione Lombardia che hanno messo a punto protocolli e percorsi di cura adeguati per i pazienti affetti da BPCO: si ritiene che con alcuni, adeguati aggiornamenti possano essere a brevissimo utilizzati modalità organizzative e strumenti per la gestione a domicilio di quei pazienti che non necessitano di ricovero o, nel post ricovero.