Il velo di maya

Il fiore digitale del partigiano: i volti virtuali di memoria e resistenza



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Il 25 aprile, anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, è l’occasione per riflettere sul rapporto tra digitale e resistenza, due concetti che entrano in relazione sotto diversi aspetti. Prima puntata della rubrica “Il velo di Maya”, sulla lettura della realtà alla luce della digitalizzazione

Pubblicato il 25 apr 2024

Nicoletta Pisanu

Giornalista professionista, redazione AgendaDigitale.eu



Il velo di Maya rubrica AgendaDigitale.eu
Il velo di Maya rubrica AgendaDigitale.eu

Posare un fiore su una lapide trovata in un bosco grazie a un database disponibile online, guardare immagini di protesta e guerriglia postate dall’altra parte del mondo. Il 25 aprile, Anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, è lo spunto per collegare due fenomeni che di primo acchito non si sarebbe portati ad abbinare: resistenza e digitalizzazione. Questi due mondi certamente entrano in relazione, con diverse declinazioni a seconda del contesto: un rapporto strumentale, di causa-effetto, conflittuale, parassitario.

Conoscere, seppur superficialmente, diversi aspetti di questo solo apparentemente insolito legame ci può permettere di interpretare con senso critico le nuove forme di rappresentazione della memoria e delle nuove opposizioni. Lo faremo raccontando il progetto Memo di Anpi per censire i monumenti della Resistenza italiana, che sarà lanciato tra pochi mesi, e descrivendo la narrazione attraverso i social network di tre diversi esempi di resistenze di oggi: i casi di Narges Mohammadi e Alexei Navalny e i racconti della quotidianità a Gaza da parte di comuni cittadini palestinesi.

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Resistenza e resistenze: i rapporti col digitale

Sono molti i volti che il concetto di resistenza assume alla luce della rivoluzione digitale e variano a seconda del significato stesso che diamo alla parola. La Resistenza per noi italiani è comunemente il movimento di ribellione all’occupazione nazifascista sul territorio della Penisola e si colloca storicamente tra l’8 settembre 1943, giornata in cui fu reso pubblico l’Armistizio di Cassibile sottoscritto cinque giorni prima, e il 1945. La resistenza però è genericamente l’opposizione a un potere: si ha la resistenza dove c’è un’imposizione che minaccia i valori e le libertà di un gruppo sociale.

Ad esempio, il valore della democrazia. L’ex presidente della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky in “Imparare democrazia” scrive che “le soluzioni definitive ai problemi, quelle che non consentono ripensamenti o aggiustamenti, sono proprie dei regimi della giustizia e verità, uniche e ferme. Dove i valori e le identità, invece, sono plurimi, le decisioni imposte nel segno di una verità che non ammette replica sono preannunci di conflitti, se non addirittura di guerre civili”[1]. Considerando dunque il termine in senso generico e ampio, oggi nel mondo esistono numerose, nuove, resistenze.

Le forme della rappresentazione

Il rapporto tra questi due aspetti, quello storico italiano e quello attuale, e il digitale può avere differenti forme. La Resistenza italiana trova nel digitale un mezzo per mantenersi viva e preservare la propria memoria. I protagonisti di quel momento stanno scomparendo con il passare del tempo, gli strumenti digitali offrono la possibilità di tutelarne il ricordo, le azioni e le testimonianze. Una relazione però che non può essere relegata al solo spirito archivistico: per la natura stessa della memoria storica e gli impatti che quel fenomeno ha avuto sulla storia italiana, lo strumento digitale è un mezzo attraverso cui portare avanti anche i valori che hanno nutrito la ribellione e di fatto portato alla nascita della nostra Repubblica, della Costituzione e a un assetto più democratico, dopo l’orrore della dittatura mussoliniana. Da ricordare anche il ruolo delle digital humanities nella ricerca storiografica, come valido supporto agli storici per raccogliere dati, analizzare aspetti non ancora sondati, avere diverse possibilità a disposizione per fare ricerca.

Per le resistenze di oggi, invece, il digitale può per esempio rappresentare una soluzione per organizzarsi, un mezzo per comunicare, sia che si faccia informazione che propaganda, uno strumento esso stesso di lotta (si pensi all’hacktivism), una soluzione di creazione d’immagine per costruire una propria reputation su un piano internazionale, diffondere il proprio simbolismo e i propri valori.

Bauman, internet e la democrazia

Nel caso delle nuove resistenze valutare l’efficacia degli strumenti digitali per concretizzare scenari di democrazia altrimenti utopistici, è una tematica di dibattito. Dieci anni fa, partecipando a Meet the media guru, ciclo di eventi organizzato dalla Camera di commercio di Milano, il grande sociologo Zygmunt Bauman sottolineava come internet fosse uno strumento naturale per la democrazia, la cui diffusione tuttavia si scontrava, nell’osservazione, con l’insuccesso di alcuni movimenti di ribellione.

Bauman riconduceva il mancato raggiungimento degli obiettivi delle proteste a un fenomeno più grande, quello della separazione tra il potere, divenuto sovranazionale, e la politica, ormai locale e chiamata a rispondere essa stessa al potere.

Al di là di questa riflessione, un ragionamento pratico in relazione alle resistenze attuali si può fare anche sull’effettiva disponibilità di strumenti e infrastrutture e, soprattutto, nell’intervento dell’oppositore su di essi. Internet è uno dei primi obiettivi dei regimi che vogliono sedare le rivolte o i venti di disobbedienza: si impedisce l’accesso alla rete, si bandiscono i social, si attuano controllo e repressione. I metodi per aggirare queste imposizioni esistono e vengono utilizzati, ma certo le difficoltà incontrate sono enormi.

Digitale e memoria della Resistenza: il caso di Anpi

Volendo approfondire il rapporto tra digitale e Resistenza italiana, è interessante raccontare il progetto Memo di Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia. Si tratta di un censimento digitale dei monumenti della Resistenza, che sarà online dall’estate 2024 ed è destinato a diventare un progetto di storia condivisa: è prevista infatti la partecipazione di chiunque voglia. Il lavoro punta a centralizzare il lavoro di censimento che le sezioni locali di Anpi realizzano già da anni: “Almeno due decenni – spiega Giovanni Baldini, data analyst e responsabile di diversi progetti nazionali per Anpi -. Il portale, che si appoggia a un database, è un sistema sviluppato in proprio. È stato realizzato grazie a un bando della Comunità europea per la transizione digitale”.

La stima al momento è “il censimento di circa trentamila monumenti in tutto, partiremo con circa quattromila siti. Sarà un progetto partecipativo, si inviterà la popolazione a colmare eventuali buchi inviando il materiale ritenuto di interesse a un’area privata”. Questo perché “tante volte gli escursionisti trovano monumenti, come lapidi o cippi. Noi vogliamo renderli disponibili a tutti, fornendo foto, posizione precisa e dettagli sull’accessibilità”. Non solo: “Censiamo anche i sentieri della Resistenza, circa quattrocento percorsi della memoria. Si tratta di sentieri di carattere storico, usati dai partigiani all’epoca, sia di percorsi creati oggi per visitare i luoghi simbolo della Resistenza”, aggiunge Baldini.

In generale, l’opinione tra digitale e Resistenza per Baldini è positiva: “Il digitale permette di raggiungere tutti e subito e di conseguenza attraverso di esso può farlo anche la memoria. Inoltre, consente di rendere fruibile a tutti, non solo a specialisti o studiosi, materiale relativo all’epoca”. Tuttavia, “la comunicazione sui social network a volte provoca problemi, fake news e attacchi colpiscono anche la storia della Resistenza. Inoltre, tanti gruppi neofascisti negli anni si sono organizzati tramite il web”.

Digitale e resistenze di oggi: tre esempi

I social network, del resto, ricoprono oggi un ruolo interessante nell’esercizio della libertà di espressione, in quanto teatro, con tanto di palco e pubblico, accessibile a chiunque abbia una connessione. Sappiamo però che spesso al posto di confronto e dibattito si scatenano prevaricazione, violenza, giudizio. Tralasciando questi aspetti, vediamo però come i social sono una vetrina, un microfono e un terreno di lotta nel contesto di alcune odierne resistenze.

Come anticipato intendiamo con questo termine, che rappresenta un ambito di studio per i ricercatori delle scienze sociali, come quei movimenti più o meno strutturati, armati o civili, di opposizione nei confronti di una forma di potere organizzato e, elemento più importante, imposto dall’alto. Il digitale offre a questi nuovi dissidenti strumenti per semplificare la diffusione delle loro idee, attraverso una narrazione svolta con un linguaggio specifico e condiviso. L’osservazione del fenomeno viene qui raccontata con tre esempi differenti: la lotta delle donne iraniane attraverso le parole di Narges Mohammadi, la prigionia di Alexei Navalny, l’uso del linguaggio nei post della popolazione palestinese di Gaza.

La lotta delle donne iraniane attraverso le parole di Narges Mohammadi

Martedì, il quotidiano francese Le Monde ha pubblicato la traduzione di un messaggio vocale registrato clandestinamente dalla premio Nobel 2023 per la Pace, l’iraniana Narges Mohammadi detenuta nel carcere di Evin a Teheran. L’attivista nel suo messaggio, riportato anche sul proprio profilo Instagram, spiega che la teocrazia iraniana “sta conducendo nella disperazione una guerra su larga scala contro tutte le donne, in tutte le strade dell’Iran” e chiedendo il coinvolgimento non solo della popolazione iraniana, ma della comunità internazionale per eliminare “l’apartheid di genere”. Mohammadi spiega: “Noi donne viviamo la resistenza quotidianamente, in ogni posto sotto gli stivali della tirannia, in prigione o per strada”, chiedendo alle donne di condividere con lei tramite i social le proprie esperienze relative ad arresti e abusi.

Una settimana prima, sul suo profilo era stato pubblicato un comunicato, accompagnato da spezzoni di video di proteste nelle città iraniane, di arresti e interventi della polizia morale, citando la disobbedienza civile. Il pensiero corre, per tornare all’opposizione al regime fascista in Italia, alle lettere dal carcere di Antonio Gramsci, ed è scontato il confronto tra le due modalità per portare avanti la lotta e l’impatto che la digitalizzazione ha avuto su questo aspetto.

Del resto, la storia della lotta delle donne iraniane contro le imposizioni del regime degli ayatollah, a cominciare dall’uccisione di Mahsa Amini nel 2022, ha avuto eco da subito proprio grazie ai social network nonostante le restrizioni locali all’uso di internet, grazie ai sostenitori in tutto il mondo: celebre è stata la campagna sui social del taglio dei capelli, alla quale hanno aderito anche numerose intellettuali e rappresentanti del mondo dello spettacolo non iraniane.

Il diario su Instagram di Navalny

Una differente modalità di rappresentazione della lotta, parlando sempre di un prigioniero politico, è stata intrapresa nella gestione dell’account ufficiale di Alexei Navalny. Oppositore politico del presidente russo Vladimir Putin e padre della Fondazione anti-corruzione russa, definito da Amnesty international prigioniero di coscienza e morto mentre si trovava detenuto in una colonia penale siberiana a febbraio 2024, negli ultimi anni ha rappresentato un diario di prigionia. Fino alla morte dell’oppositore, con frequenza venivano riportate, sotto forma di narrazione in prima persona, informazioni sulle sue condizioni, accompagnando ogni post a un’immagine come richiede la piattaforma. I social in questo caso sono stati utilizzati come megafono di una condizione che altrimenti sarebbe più difficilmente arrivata all’opinione internazionale.

Infatti, con questo sistema il mondo conosce la narrazione delle difficoltà quotidiane della sua detenzione: l’aver bisogno di un medico ma non riuscire a ottenerlo, gli inghippi burocratici per cui per ogni richiesta serviva un documento degli avvocati, la costante censura della sua corrispondenza da parte delle guardie, l’insostenibilità del freddo. Ma anche, la persistenza sulle proprie opinioni e l’invito ai sostenitori ad andare a votare, a manifestare il dissenso. Le parole usate sono spesso resistere, regime, azione di protesta.

Il linguaggio nei post dei palestinesi a Gaza

Il conflitto tra Israele e Palestina ha oltre un secolo di storia, con momenti di maggiore o minore copertura mediatica. Dopo i fatti dell’ottobre 2023 questa è diventata quotidiana da parte delle principali testate giornalistiche e canali di informazione, con contenuti anche sui social con relativi filtri nel racconto dello scenario dati da fonti, opinioni personali, politica, presenza o meno sul territorio, propaganda. La situazione è tuttora in evoluzione.

Tralasciando il filone della comunicazione, spesso propagandistica, dei gruppi armati, sono interessanti i contenuti, spesso ripostati dai reporter locali di Gaza, della gente comune, che raccontano la resistenza nella quotidianità. In reel e immagini vediamo piccoli gesti di dissidenza, l’orgoglio per il proprio popolo, la disperazione e tutti i sentimenti legati alla guerra.

Ci viene presentata la visione personale dei soggetti che raccontano le loro stesse storie, come quelle di un coach di bodybuilding e di un videomaker di Gaza, che sui propri profili Instagram documentano con video in prima persona la perdita della propria casa dopo i bombardamenti, la rete di aiuti tra vicini per poter mangiare, la contrapposizione tra immagini del passato e di ora e anche atti di resistenza civile, come l’apposizione di manifesti contro brand internazionali. Nella narrazione sono ricorrenti le parole occupazione, martirio, boicottaggio, genocidio. Da segnalare la diffusione anche in Occidente dell’emoji dell’anguria per simboleggiare il proprio sostegno alla causa palestinese.

Note

[1] Gustavo Zagrebelsky, “Imparare democrazia”, Einaudi, Torino 2007

Bibliografia

  • Erika Gutierrez, Janét Hund, Shaheen Johnson, Carlos Ramos, Lisette Rodriguez, & Joy Tsuhako, Long Beach City College, Cerritos College, & Saddleback College via ASCCC Open Educational Resources Initiative (OERI)
  • Mikael Baaz, Mona Lilja, Michael Schulz and Stellan Vinthagen, “Defining and Analyzing “Resistance”: Possible Entrances to the Study of Subversive Practices”, Alternatives: Global, Local, Political, Vol. 41, No. 3 (August 2016), Sage Publications, Inc
  • Flavio Piccoli, Federico Pilati, Damiano Volonterio, “Oggi come ieri? La memoria del 25 aprile e i suoi significati”, Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, Università degli Studi di Milano Bicocca
  • Giacomo Bottos, “Il diritto di ribellarsi: da Locke all’era digitale. Intervista a Gabriele Giacomini”, Pandora rivista
  • Enrico Previtali, Elena Ravera, Stefano Rozzoni (a cura di), “Nuovi fascismi e nuove Resistenze. Percorsi e prospettive nella cultura contemporanea”, Pacini, Pisa 2022
  • Silvia Madotto, “Wolfgang Schmale (herausgegeben von), Digital Humanities. Praktiken der Digitalisierung, der Dissemination und der Selbstreflexivität”, Diacronie n. 28, 4, 2016
  • Luigi Franco, “Bauman: “Il web promuove la democrazia. Finora, però, non ci sono risultati”, intervista a Zygmunt Bauman pubblicata su Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2013
  • Enrica Salvatori, “Il cittadino digitale e la storia: un nuovo rapporto?”, relazione tenuta al Festival internazionale della storia di Bologna, ottobre 2014

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