C’è timore che pezzi del vettore (razzo) cinese March 5b, in caduta non controllata verso la terra, possano colpire anche l‘Italia domani. Se ci sono danni, chi paga? E ancora: quale diritto è applicabile?
La questione è rilevante e lo sarà ancora di più nei prossimi anni, dato che sembra essere partita una nuova – e per ora piuttosto poco regolata – corsa allo spazio, anche per iniziative concorrenti di big tech (Apple, Teslat).
Il razzo cinese che può cadere in Italia
Bisogna sapere che il Long March 5b è una variante del vettore cinese più grande, pensato per trasportare i moduli per la costituzione della nuova stazione spaziale cinese: dopo il successo del lancio avvenuto qualche giorno fa, lo stadio centrale del razzo rischia ora di tornare a terra in modo incontrollato. Quello che è ormai solo un detrito, sta orbitando intorno alla terra e scenderà verso la superficie riducendosi in frammenti sempre più piccoli. In realtà, la probabilità che un debris colpisca una persona, o che colpisca in pieno un grattacielo, è molto bassa: è più probabile che finisca la sua corsa in mare o in un luogo disabitato del pianeta.
Il comandante in capo del Long March 5b, Wang Jue, non ha saputo fornire soluzioni concrete, specificando che non è stata organizzata una possibile manovra di deorbit (fonte: spacenews).
Fortunatamente, si conoscono alcune informazioni del grosso frammento grazie ai radar terrestri delle forze armate statunitensi e ai siti che gestiscono il tracciamento dei satelliti e degli oggetti in orbita. La velocità del processo di discesa del vettore dipende dalle dimensioni e dalla densità dell’oggetto; le variabili inoltre includono variazioni e fluttuazioni atmosferiche, che possono essere influenzate dall’attività solare e da altri fattori. L’inclinazione orbitale calcolata in base a queste informazioni sembra consentire di individuare la fascia terrestre sopra cui sta orbitando il corpo del vettore, che dovrebbe trovarsi un po’ più a nord di New York, Madrid, Pechino e sud del Cile, Wellington Nuova Zelanda.
Lo scenario più probabile è quindi che i detriti cadano negli oceani o in aree totalmente disabitate, ma il rischio, viste le variabili e la mancanza di un controllo effettivo da parte di Pechino, rimane. Secondo Holger Krag, capo dell’Ufficio del programma per la sicurezza spaziale dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), la quantità media di massa che rientra in modo incontrollato sulla terra è di circa 100 tonnellate all’anno. Ciò si riferisce a circa 50-60 singoli eventi all’anno.
In questo caso però l’alto grado di incertezza circa la caduta del vettore non permette di stabilire né il luogo di rientro né le esatte tempistiche. Il rientro sarebbe comunque stimato per il 9 maggio, durante le ore mattutine italiane.
Chi paga i danni per il razzo cinese? Quale diritto è applicabile
Nella malaugurata ipotesi in cui la caduta dei frammenti spaziali più consistenti dovessero causare danni a cose o persone, sorgerà il quesito su chi e in che modo sarà tenuto a risponderne.
Quale sarà il diritto applicabile? Quello terrestre o quello spaziale? È quasi scontato precisare che l’attività del vettore cinese è sottoposta al diritto internazionale dello spazio extra-atmosferico in quanto ha luogo al di là della linea di Karman, una sorta di confine teorico posto a 100 km di altitudine tra l’atmosfera e lo spazio.
Ci si deve quindi rifare alle disposizioni che disciplinano la tematica dei danni commessi nello svolgimento delle attività spaziali.
Un primo ragguaglio generale è fornito dalla cosiddetta Costituzione o Magna Charta dello spazio, ovverosia il Trattato sulle norme per l’esplorazione e l’utilizzazione, da parte degli Stati, dello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti, del 1967. L’articolo VII di questo importante trattato internazionale sancisce perentoriamente la responsabilità internazionale dello Stato che ha effettuato il lancio, in questo caso la Cina.
Responsabilità di risarcire che diventerebbe assoluta se il razzo in caduta libera causasse danni al territorio di uno o più Stati (Articolo 2 della Convenzione sulla responsabilità internazionale per danni cagionati da oggetti spaziali del 1972 a cui la Cina ha aderito nel 1973). Responsabilità che sarebbe invece solo per colpa nel caso di danni causati ad altri oggetti spaziali, per esempio a satelliti in orbita o alla Stazione Spaziale Internazionale.
Fin qui si potrebbe dire che, giustamente, la Cina sarebbe obbligata a pagare, ma avrebbe anche il diritto di “tenersi i cocci”. Gli stati mantengono infatti la proprietà degli oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico, anche quando essi ritornano sulla Terra, sul territorio di un’altra nazione (Articolo VIII OST). Nessuno Stato potrà quindi appropriarsi del razzo cinese o dei suoi frammenti, magari per svolgere operazioni di retro-ingegneria: sarà necessario restituire quanto ritrovato immediatamente alla Cina.
I precedenti
In realtà non ci sono molti precedenti a riguardo, anche se si presume che, con l’intensificarsi delle attività spaziali, questo tipo di incidenti possa diventare sempre più frequente. Solamente l’anno scorso, un altro razzo vettore della serie March 5b si era frammentato in migliaia di piccoli rottami che si sono abbattuti su un villaggio della Costa d’Avorio, causando solamente lievi danni.
Un precedente degno di nota è quello riguardante la caduta del satellite sovietico a propulsione nucleare Cosmos 954, avvenuta nel gennaio 1978 in territorio canadese. In quell’occasione, l’URSS ha dovuto risarcire ben 6.000.000 di dollari canadesi a titolo di definitiva composizione.
La questione geopolitica nella nuova corsa allo spazio
Oltre agli aspetti giuridici, la vicenda deve essere guardata sotto la lente dell’attuale situazione geopolitica.
Dopo aver acquisito le competenze con varie collaborazioni russe, europee e statunitensi, la Cina oggi è totalmente indipendente dalla catena di approvvigionamento straniera; con un tasso di crescita molto elevato negli ultimi anni la filiera industriale cinese si è dimostrata fondamentale agli scopi e alle mire di potenza dello stato. L’industria spaziale cinese è sempre più protagonista in termini di partecipazione al mercato globale. L’attenzione di Pechino si è sviluppata anche verso approcci duali ai programmi spaziali, sia civili che militari.
I dati ufficiali sul budget cinese previsto dal governo non sono pubblici, pertanto non è prevedibile una distinzione tra gli investimenti dedicati alla difesa e quelli che invece riguardano la parte civile. Sicuramente desta scalpore il rientro incontrollato di un razzo o di una componente di esso: il governo cinese, in questo caso particolare, non sembra preoccuparsi del suo vettore e del suo rientro e non sta fornendo informazioni riguardo al tracciamento. Probabilmente per questioni strategiche, il rientro del Long March 5b non sta ricevendo l’attenzione necessaria da parte dei media cinesi, che non le stanno dando troppa importanza.
La negligenza cinese (voluta o non voluta) nel gestire la situazione potrebbe essere uno dei risultati di una politica spaziale che denota poca collaborazione e che non accetta interferenze estere, in un clima di esplicita e continua dimostrazione di potenza e capacità che pone la Cina su un livello diretto di competizione con gli Usa e i loro partners.
Il punto di vista italiano
Dal punto di vista italiano invece è di necessario considerare l’iniziativa diplomatica che era stata condotta in prima istanza dal Ministro degli Affari Esteri Luigi Di Maio nel 2019 con la firma del Memorandum of Understanding con la Cina riguardo alla nuova via della seta che prevedeva una partecipazione italiana proprio alla costituzione della stazione spaziale cinese con la fornitura di un modulo abitativo pressurizzato.
L’accordo con la Cina non andò a buon fine a causa delle pressioni statunitensi a riguardo che imposero un cambio di rotta da parte del governo italiano. Poco tempo dopo l’Italia ha firmato gli Artemis Accords con gli Stati Uniti, sancendo la propria partecipazione al programma di ritorno sulla Luna. In questo caso, l’Italia avrebbe differenziato le sue attività spaziali guadagnando un tassello di indipendenza dai programmi di bandiera europei e dalle collaborazioni statunitensi.
Il punto di vista americano
È interessante come invece da parte statunitense e sul fronte dei media occidentali la notizia della caduta del detrito del vettore cinese sia stata interpretata come una possibile minaccia, mentre altri rientri incontrollati siano passati completamente in sordina.
In questo caso specifico infatti, sembra quasi si sia creata una sorta di propaganda anti-cinese. Forse la notizia ha colpito in modo particolare l’opinione pubblica e perciò ha creato tanto scalpore. Una seconda visione invece potrebbe essere rappresentata dalla percezione sempre più diffusa della “minaccia” di un competitor in tutti i settori spaziali rispetto all’affermata leadership statunitense a livello spaziale.
Serve una cooperazione internazionale
Solamente un’effettiva cooperazione internazionale nello svolgimento delle attività spaziali potrà garantire l’esplorazione, l’accesso e l’uso dello spazio extra-atmosferico a beneficio della comunità internazionale nel suo complesso.
Occorrerebbero peraltro maggiori occasioni di confronto a livello interstatale, soprattutto tra le cosiddette space faring nations al fine di evitare incidenti potenzialmente distruttivi soprattutto nel caso di oggetti spaziali a propulsione nucleare o di grandi dimensioni