Mentre parte delle riserve idriche potabili in Italia, come nel mondo, viaggiano a rotta di collo verso il loro esaurimento, mentre due Paesi, storicamente neutrali, come la Svezia e la Finlandia, scivolano come pedine di un domino, dopo il sì della pacifica Turchia, dentro la Nato, e con il fiato sospeso cerchiamo di vedere se in fondo alle tessere ci sia un qualche pulsante rosso, e mentre l’ultima versione del Covid, la Omicron 5, tira di più qualsiasi tormentone estivo tanto da poter prevedere che non tramonterà alla fine dell’estate, la parte più spaccona d’Italia discute su quanto cafona o meno sia la pizza con il patanegra, quella più glamour disserta su un nuovo modo di fare i selfie, il tutto corredato da lezioni di corsivo parlato.
Dal sé al selfie: gli influencer tra narcisismo e neoliberalismo (e tanto business)
Da sociologo dei processi culturali vedo l’inutile e il faceto risorgere a fianco della tragedia, che se prolungata, diventano ansiolitiche vie di fuga ed un modo per esorcizzare la drammaticità dei tempi e restaurare così, attraverso leggerezza e loisir, la normalità dei veglioni Made by Rag. Filini.
E proprio perché da studioso mi occupo di comunicazione e perché l’eccezionale calura, che rende difficile il respiro, insieme alle catastrofi psico cosmiche dei notiziari, non fanno che portarmi al panico, scelgo la via dell’inutile e del faceto e parlerò, in questo articolo estivo, dei Selfie 0.5 (senza sottovalutare, per questo, i capodanni fantozziani, citazione pop de Il posto di Olmi).
Il tormentone dei selfie 0.5
Probabilmente, Kalley Huang, la giornalista che ha reso celebre queste tipologie di foto, attraverso l’articolo del 23 giugno sul New York Times, si sarà trovata in una situazione non dissimile di quello dello scrivente, con l’aggiunta di una stringente urgenza di trovare un tema per un articolo.
Huang ha puntato così su questa modalità di farsi la foto attraverso il grandangolare sul cellulare, ora chiamati “point five” perché “0.5x” è il nome del grandangolo nell’iPhone ottenendo immagini distorte o deformate: essendo questa camera nel retro del cellulare, non ci si può guardare durante lo scatto.
Non conosciamo effettivamente quanto sia diffusa, ma di certo scrivere di nuovo trend, moda o anche ossessione della Gen Z ha mediaticamente il suo effetto, tanto da rimbalzare sull’italica stampa, dove si cita l’estetica dell’antiestetica, il brutto ma virale, la spontaneità e la minore artificialità, la deformità alla moda, l’approccio caricaturale autoironico fino alla liberazione dalla prigionia di canoni di bellezza imposta dal potere tecnologico al servizio del consumo.
Questa pratica avrebbe anche una sua fondatrice, Julia Herzig, ventiduenne di Larchmont, nello Stato di New York, che rapita dalle muse ispiratrici avrebbe provato per prima questo innovativo metodo fotografico ed in pochi mesi ha trovato la sua bacheca colma di immagini prodotte da epigoni del selfiestilnovo.
Sono poi subito arrivate le docce fredde, salvifiche nella canicola: altri articoli hanno smontato il fenomeno; semmai è stata la stessa stampa a produrre la ricerca del termine e ad alimentare così la tendenza; altri riportano che non si tratta certo di novità, poiché il grandangolare è in dotazione agli smartphone dal 2019 e già, nella fotografia tradizionale, le esperienze con il grandangolare non sono mancate.
Dal mio punto di vista: la voglia di originalità e immediatezza, già riscontrata in estese ricerche[1], queste sì scientifiche per l’impianto metodologico e l’estensione del campione, hanno messo in evidenza come la ricerca di spontaneità manifesta – e dunque non improvvisata – sia una delle etichette richieste dai social per ottenere follower e gradimento.
A questo, posso aggiungere una divisione che perdura dalla nascita del cinema[2]:
- da una parte, i fratelli Lumière, che ponevano la telecamera lì dove gli eventi accadevano, il grado 0 del cinema, rappresentato dal pedinamento e inseguimento della realtà nel Neorealismo (soprattutto dove si usavano attori non professionisti e in alcuni casi, letteralmente incontrati per strada, come Carlo Battisti in Umberto D. di De Sica), nei documentari con presa diretta sulla realtà e in quelle riprese cinematografiche che la vogliono evocare (es. la camera tenuta a mano durante scene di azione).
- dall’altra, la reinterpretazione della realtà, attraverso un arricchito linguaggio cinematografico, con le sue specifiche regole, tecniche, ed effetti speciali. Il prodromo fu Georges Méliès, illusionista e prestigiatore, che copiò grazie al suo ingegnere la macchina da presa che non volevano vendergli, introdusse così il montaggio con gli effetti speciali fino a portare, per primo nel cinema, l’uomo sulla luna. Maestro sognatore di questa scrittura fu sicuramente Fellini, regista fantasmagorico e circense, che non solo giocava con la fantasia nel cinema ma anche con il cinema della fantasia.
Conclusioni
I selfie 0.5 si avvicinerebbero così al primo cinema, quello degli esordi e poi della realtà in presa diretta. Ma che questa sia una tendenza, moda o ossessione, pare poco assodato.
Infine, che cosa vogliano i giovani attraverso questa pratica esprimere e quali le ragioni profonde? Non è ho assolutamente idea.
Posso solo prevedere che il tempo per una seria indagine per approfondire il fenomeno potrebbe durare più del fenomeno stesso e che probabilmente l’O. (Omicron) 5 inciderà sulle nostre vite più dello 0.5 Selfie.
Una sola cosa è certa: il “point five” conduce all’iPhone, questa è una grande pubblicità per il brand, per confermare così creatività e stile della sua comunità.
Note
- Boccia Artieri, G. & Gemini, L. & Pasquali, F. & Carlo, S. & Farci, M. & Pedroni M. (2017). Fenomenologia dei Social Network. Presenza, relazioni e consumi mediali degli italiani online. Milano: Guerini Scientifica.↑
- Rondolino G., Tomasi D. (2018), Manuale del film: linguaggio, racconto, analisi. Torino: Utet.↑