La sentenza della Corte Distrettuale della California dello scorso 10 settembre resa dalla Giudice Yvonne Gonzales Rogers, ha segnato la conclusione del primo round della battaglia legale fra Epic Games ed Apple. Riassumendo la vicenda in poche righe, la prima società ha contestato alla seconda di tenere una condotta anticoncorrenziale, dato che costringe gli sviluppatori ad utilizzare come sistema di pagamento per gli acquisti in-app quello proprietario, impedendo loro di sfruttare servizi diversi che applicano commissioni di gran lunga inferiori del 30% preteso contrattualmente da Apple.
Epic contro Apple, fine primo round: perché la sentenza scontenta tutti (per ora)
Success is not illegal
L’impianto della sentenza in esame, che consta di ben 185 pagine e che sostanzialmente non ravvisa che Cupertino abbia attualmente una posizione di monopolio sul mercato, si regge tutto su un chiaro assunto della Corte Distrettuale: “Success is not illegal”, ossia il successo non è illegale. Infatti, secondo la Corte non solo Epic non è riuscita a dimostrare come Apple occupi una posizione di monopolio sul mercato, visto che il mobile gaming è solo una piccola porzione del mercato videoludico, ma anche che la fee di App Store costituisca una barriera tali da impedirne lo sviluppo.
La causa, però, si è conclusa con un netto pareggio per le parti: la giudice Gonzales Rogers ha ordinato ad Apple di non obbligare più gli sviluppatori a utilizzare esclusivamente il suo sistema di pagamento per gli acquisti in-app, consentendo loro di rivolgersi ad altri player (come, ad esempio, Stripe o PayPal) e di inserire link e pulsanti per concludere le transazioni al di fuori dall’applicazione stessa. Apple ha tempo sino al 10 dicembre prossimo per adeguarsi all’ordinanza: che impatto avrà questo cambiamento sugli sviluppatori e sugli utenti?
Le particolarità dell’ingiunzione contro Apple
È doveroso sottolineare l’alto livello di dettaglio di alcuni passaggi dell’ingiunzione resa dalla Corte contro Apple che è “permanentemente diffidata dal vietare agli sviluppatori di implementare nelle loro app e nei metadati pulsanti, link esterni o altre call to action che indirizzino gli utenti ad acquisti al di fuori della piattaforma e di comunicare con costoro tramite la registrazione di un account per l’app”. La Corte Distrettuale si è, quindi, focalizzata sui sistemi che gli sviluppatori possono usare per indirizzare i propri utenti verso le proprie piattaforme ed anche sulle modalità con cui possono contattarli.
L’impatto dell’ordinanza è, quindi, devastante per Cupertino, dato che le impedisce di elaborare escamotage contrattuali o tecnici che possano aggirare il divieto.
L’ingiunzione, però, non vieta di certo ad Apple di applicare una commissione pari al 30% della transazione anche se questa avviene con sistemi esterni all’in-app purchase, cosa di cui sono convinti anche gli analisti di mercato di Bloomberg. La società potrebbe ben sostenere che le commissioni le sono dovute a prescindere per il solo fatto che una app sia pubblicata sull’App Store e, tutto sommato, le sarebbe solo più complesso riscuotere quanto le sarebbe dovuto dagli sviluppatori che scelgono di abbandonare il suo sistema di pagamento.
Una soluzione simile non andrebbe nemmeno contro lo spirito dell’ordinanza in esame e contro l’orientamento generale dell’organo giudicante, dato che Epic Games, con un’altra sentenza resa dalla stessa Corte Distrettuale e dalla stessa giudice, è stata costretta a versare ad Apple il 30% delle commissioni maturate con le transazioni in-app di Fortnite, rimasto attivo sui dispositivi degli utenti dopo il ban da App Store.
I vantaggi per i grandi sviluppatori
Netflix, Spotify, Disney, Amazon, Microsoft: sono i primi nomi che vengono in mente a chiunque rifletta per un secondo su chi potrà trarre i maggiori vantaggi da una simile pronuncia. Infatti, sebbene Apple applichi già una commissione del 15% su tutte le transazioni in-app per il pagamento servizi in abbonamento (purché l’utente lo mantenga attivo per più di un anno, dato che nei primi dodici mesi di abbonamento la fee imposta è sempre del 30%), i grandi sviluppatori non avranno grossi problemi a disabilitare i pagamenti in-app. Per questi, infatti, è facile reindirizzare gli utenti sul proprio sito web, sia tramite l’uso sapiente di link e pulsanti nell’interfaccia dell’applicazione, sia tramite le campagne di marketing indirizzate ad essi. Peraltro, la spinta verso l’esterno potrebbe essere data anche mantenendo la possibilità di abbonarsi tramite acquisto in-app, offrendo, però, un prezzo più basso (ma comunque più conveniente per chi offre la sottoscrizione) al di fuori della piattaforma di Apple.
Gli unici servizi che non godranno di questi vantaggi sono quelli di cloud gaming, dato che, secondo le vigenti policy di App Store, ogni singolo videogioco dovrebbe essere rilasciato come se fosse un’applicazione a sé stante, di modo da permettere al team di controllo in Apple di approvarlo singolarmente. Pura follia, se si immagina che solo Game Pass di Microsoft offre un catalogo più di oltre cento titoli. Proprio per questo, Redmond offre il gioco cloud ai propri abbonati solo via Safari, il browser di iOS e iPadOS.
Le conseguenze per i piccoli sviluppatori
Gli sviluppatori più piccoli, invece, potrebbero ritrovarsi davanti a un annoso dilemma: continuare a condividere con Apple i propri introiti, oppure investire tempo e denaro nell’integrazione di altri sistemi di pagamento e nell’organizzazione di campagne marketing per spingere i propri utenti ad abbandonare App Store per le sottoscrizioni?
È ovvio che chi non ha grosse risorse preferirà, per una questione di contenimento dei costi di sviluppo, appoggiarsi al sistema di acquisti in-app di Apple, vedendo, però, i propri ricavi ridursi costantemente del 30%. Gli sviluppatori di videogiochi indie, invece, potrebbero essere spinti a pubblicare i propri titoli in esclusiva su Apple Arcade, a fronte di un sistema di commissioni forse ancora più penalizzante per loro, ma che, quanto meno, assicurerebbe loro una discreta visibilità e, forse, un volano per la notorietà.
Alcuni dubbi sui benefici per gli utenti
Di primo acchito, chiunque sarebbe portato a pensare che gli utenti saranno avvantaggiati dagli effetti dell’ingiunzione permanente, visto che gli sviluppatori dovrebbero offrir loro dei prezzi più bassi, ma che comunque garantiranno dei ricavi più elevati, rispetto a quelli offerti per il tramite di App Store.
Non è da escludere, però, che le software house possano pensare esclusivamente a loro stesse, senza applicare riduzioni a vantaggio degli utenti, aumentando, così, i propri ricavi del 30%.
In fin dei conti, l’abbandono di Steam (che, come tutti gli store digitali, applica anch’esso una fee del 30%) da parte di Epic Games non ha di certo avvantaggiato gli utenti, ma ha garantito una maggior liquidità nelle casse di quest’ultima.
Altro aspetto da non sottovalutare è il venir meno delle precauzioni che Apple ha implementato nel corso degli anni per evitare che i minorenni possano usare la carta di credito dei genitori per acquistare della inutile (e costosissima) valuta virtuale per personalizzare alcuni aspetti dei propri personaggi o ambienti di gioco preferiti. Invero, se col sistema di pagamento in-app, almeno un genitore deve approvare ogni singolo acquisto che vuol fare il figlio, ove l’applicazione rinviasse a un sito esterno, questo controllo potrebbe venir meno. Sarà quindi richiesta una maggior attenzione dei genitori che dovranno vigilare continuamente sui propri figli onde impedire acquisti inutili o non autorizzati.
Gli echi in Unione Europea
La politica di Cupertino sugli acquisti in-app non è sfuggita all’occhio attento della Commissione Europea che, recentemente, ha ritenuto che obbligare i servizi concorrenti ad Apple Music ad usare il meccanismo di acquisti in-app per la vendita degli abbonamenti agli utenti iOS e iPadOS, senza poter informare gli utenti dei metodi di pagamento alternativi (e, si presume, più economici) costituisce una palese violazione della normativa sulla concorrenza sleale. Dunque, data l’omogeneità delle conclusioni a cui sono giunte la Commissione europea e la Corte Distrettuale della California, non sarebbe da escludere che, presto, Apple potrebbe dover adottare le stesse misure appena analizzate anche nel vecchio continente.
Conclusioni
L’ingiunzione della Corte Distrettuale della California costituisce, almeno negli Stati Uniti, un importante precedente che potrebbe avere ripercussioni in un’altra causa intentata da Epic Games, ma questa volta contro Google, per le stesse motivazioni, giudizio che difficilmente potrà avere un esito diametralmente diverso da quello appena esaminato. Non solo: le Autorità antitrust di altri Paesi del mondo potrebbero incominciare ad invitare o, ancora, obbligare Apple a consentire agli sviluppatori di utilizzare metodi e piattaforme di pagamento alternativi a quella degli in-app purchase, mettendo a rischio su un business che, nel bilancio di Cupertino, è pari a circa venti miliardi di dollari.
L’unico vero interrogativo rimane quello sugli effettivi vantaggi per i consumatori che, forse, rischiano di non trarre alcun vantaggio, dato che difficilmente i grandi player ridurranno i prezzi al pubblico degli acquisti in-app incidendo negativamente sui propri ricavi: basti pensare che il più delle volte i prezzi dei canoni mensili degli abbonamenti ai servizi di streaming sono simili, se non uguali, a quelli offerti su App Store.
Non si può, comunque, tacere del fatto che, dal punto di vista meramente processuale e date le reciproche posizioni delle parti, nessuna delle due aziende abbia veramente vinto la causa: da un lato, l’ingiunzione obbliga Apple a consentire l’uso di altri sistemi di pagamento, dall’altro, però, non costringe di certo l’azienda ad aprire il proprio sistema operativo a negozi alternativi o di terze parti come avrebbe voluto Epic Games (che è presente su quasi tutte le piattaforme con il suo negozio Epic Games Store), dato che, come s’è detto, il giudice ha evidenziato che il mercato del mobile gaming è solo una piccola porzione di quello dei videogiochi in generale, e non uno diverso e, quindi, il comportamento di Apple non può essere considerato lesivo della concorrenza e dalla libertà di mercato.