Una nuova delusione sul fronte dei servizi digitali in Italia arriva dagli ultimi pubblicati dal National Interoperability Framework Observatory (NIFO) della Commissione europea, che fa il punto sulle politiche e le attività legate alla realizzazione e alla fornitura di servizi pubblici digitali in 34 paesi.
Ebbene, i dati legati all’eGovernment parlano chiaro: non solo viaggiamo ben al di sotto della media europea, ma siamo un paese fermo in quasi tutti gli indicatori considerati. Prendiamo ad esempio la percentuale di persone che utilizzano internet per interagire con la PA: la media Ue28 è del 48% (con un picco dell’88% in Danimarca). L’Italia è al 24%, soltanto 4 punti percentuali in più rispetto al 2008. Nello stesso anno, ossia nove anni fa, anche la Lettonia era al 20%, oggi è al 69%.
Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la percentuale di individui che usano internet per ottenere informazioni dalle pubbliche amministrazioni: Ue28 al 42%, Italia al 19%, in crescita di 1 punto percentuale rispetto al 2008 e addirittura un 1% in meno rispetto al 2015! La Croazia, che nove anni fa era al 12%, oggi è al 34%.
Le cose non vanno meglio se si guarda alla percentuale di download di moduli della PA: dal 14% del 2008 siamo passati al 16%, contro una media Ue del 29%, mentre – infine – invia moduli compilati alla PA il 12% degli italiani, contro il 7% del 2008 e il 28% di media Ue.
Dati di un paese fermo, incapace di recuperare terreno in fatto di user-centicity, di trasparenza, di offerta ai cittadini di strumenti chiave per interagire con fiducia con la pubblica amministrazione. E questo nonostante la miriade di iniziative che si stanno portando avanti: dal lancio della nuova versione del portale sui dati aperti della pubblica amministrazione a marzo, con 18 mila dataset in formato aperto, ai dati in crescita di Spid (il sistema pubblico di identità digitale) e PagoPA.
Ne emerge, insomma, un paese poco attento alle esigenze delle parti in causa – siano essi i cittadini che gli Enti locali – che tende a disperdere i buoni risultati e che continua a fare e disfare, con marce indietro spesso poco comprensibili e controproducenti, soprattutto perché si sarebbero potute evitare e procedere spediti verso l’obiettivo se solo si fossero ascoltate prima le esigenze di chi le riforme le doveva supportare e gestire in prima persona.
Pensiamo, ad esempio, all’Anagrafe unica delle persone residenti (Anpr): dopo un imbarazzante tutti contro tutti e solo due comuni agganciati al sistema (la migrazione di TUTTI i comuni doveva avvenire entro fine 2016) si è deciso alla fine di prendere atto della realtà, e cioè che i Comuni vogliono entrare in Anpr con web service e possibilmente tenendo anche una copia dei propri dati per esigenze interne. Era chiaro che i Comuni preferivano questa soluzione, se solo si fossero prese prima in considerazione le loro istanze non ci troveremmo ora davanti a questo ritorno al punto di partenza che sa tanto di ritirata.
Un paese che, certo, sconta un evidente deficit di competenze digitali – come certificato anche dall’ultima edizione del Rapporto DESI, che ci vede al 25esimo su 28 – ma che soffre anche di un’atavica propensione a fare le leggi e trovare un modo per aggirarle. La Legge di Stabilita 2016, prevede, ad esempio, tra le altre cose, che il pagamento del parcheggio possa essere effettuato anche attraverso carte di debito e carte di credito, tranne in caso di oggettiva impossibilità tecnica. E i comuni – la maggior parte – che fanno? Spiega Eugenio Prosperetti: “Sinora la gran parte dei Comuni ha ritenuto che non fosse obbligatorio adeguarsi a tale disposizione per vari motivi. Il primo è quello della impossibilità tecnica: nei casi di parcometri non già predisposti per accettare le carte, si riteneva che vi fosse un caso di impossibilità tecnica. Il secondo è quello della mancanza dei decreti attuativi che la stessa Legge di Stabilità prevede per le riforme al sistema dei pagamenti digitali introdotte e dei relativi regolamenti di Banca d’Italia per gli emittenti di carte di credito/debito relativi al servizio in questione”.
Una situazione “all’Italiana”, tipica.
Una di quelle situazioni che ti fa pensare che niente potrà mai cambiare, se non fosse che invece molti enti locali cercano di portare avanti i loro progetti, in nome della trasparenza e del coinvolgimento dei cittadini. Questa settimana parliamo del piano d’azione per la crescita digitale di Bologna, che fa della partecipazione, della condivisione dei metodi, dei dati aperti, dei servizi e delle infrastrutture il “motore” di sviluppo metropolitano.
Ma, come sempre in Italia, non sono gli esempi di eccellenza a mancare. Anzi. Il problema è sempre stato quello di rendere di sistema questa innovazione. Renderla non fatti isolati ma un motore in grado di cambiare l’Italia. E su questo, nonostante gli ultimi anni di tentativi fatti e le buone intenzioni, i risultati sono ancora tutti da raccogliere.