L’uso dei social media sta subendo cambiamenti significativi. Se un tempo erano spazi di libera espressione e condivisione, oggi sembrano essere diventati teatro di un mutamento radicale nel comportamento degli utenti.
Si assiste a un calo delle pubblicazioni e alla nascita del cosiddetto “lurker”, osservatore silenzioso che non interagisce attivamente: fenomeni si inseriscono in un contesto di frammentazione culturale e polarizzazione delle opinioni, alimentate da echo chambers e “cyberbalcanizzazione” sociale.
Una tendenza nata anche a causa della pandemia da Covid-19 che ha ulteriormente amplificato l’overload informativo, contribuendo ad aumentare il senso di affaticamento nei confronti dei social media.
In questo scenario è possibile osservare anche il declino del prosumer, figura che combina i ruoli di produttore e consumatore di contenuti digitali nei social media. Un cambiamento epocale che apre nuovi scenari per il futuro della comunicazione online.
La nuova era dei social media
Questo mutamento della natura originaria dei social si inserisce in un contento in cui le più recenti innovazioni tecnologiche hanno cominciato a prefigurare un futuro fantascientifico sempre più a portata di mano.
Le intelligenze artificiali stanno diventando una presenza costante e, anche se i metaversi hanno subito una battuta di arresto, non così è per i sistemi di realtà immersiva promossi da Apple e da Facebook. Elon Musk mostra innovazioni mirabolanti come il controllo di device tecnologici attraverso chip neurali mentre afferma che nel 2040 ci saranno almeno un miliardo di robot umanoidi, tra cui quelli prodotti e venduti da Tesla.
In questo panorama avveniristico e immaginifico, potrebbe sembrare controintuitivo che chi sta mostrando segni di disamoramento da parte della società siano proprio i social media, ossia le tecnologie che ci hanno accompagnato nel XXI secolo.
Nei media statunitensi è cominciata a circolare una riflessione sullo stato dei social media che più o meno può essere sintetizzata nel modo seguente: sempre meno persone stanno postando online e le piattaforme digitali si stanno trasformando in luoghi da usare per l’intrattenimento alla stregua di una nuova realtà televisiva. Ma cosa sta succedendo?
Il calo del posting e la nascita del “lurker”
Secondo il Wall Street Journal (James 2023) il posting nei social è calato drasticamente. Oltre la metà degli utenti adulti dei social dichiara di essere sempre più selettivo nel momento in cui decide di postare online (61%: dati Morning Consult, Tran 2023). Instagram, Facebook e Tiktok sono diventati luoghi in cui la tipica user experience è quella del lurker, ovvero colui che si limita a osservare passivamente i contenuti senza interagire. In particolare Instagram è sempre più usato come sostituto della messagistica, strumento attraverso cui mandare a particolari persone meme e video virali, tanto che Adam Mosseri, responsabile di Instagram, ha dichiarato che la quantità di contenuti video e immagini circolanti nei DM sta aumentando progressivamente.
La frammentazione culturale nei social media
L’articolo molto documentato di The Atlantic ha rincarato la dose delineando una situazione anche più particolare (Warzel 2023). Internet si è sempre caratterizzato come un ecosistema in grado di incrinare la granitica solidità delle culture globali introducendo idee, usi, costumi, mode nuove e interessanti. Ma negli ultimi tempi la rete non è più un luogo dove intercettare le nuove tendenze a livello globale, e non perché non prendano forma in essa, ma semplicemente perché la frammentazione sociale e culturale ha fatto si che è sempre più difficile intercettare il cambiamento. I contenuti di maggiore successo di piattaforme come Facebook, Twitch, YouTube sono sempre meno globali e sono sempre più circolanti all’interno di specifiche nicchie sociali, accomunate da profili socio-demografici simili o – molto più spesso – da specifici lifestyle di riferimento. Il report annuale di Tiktok per gli Stati Uniti (Tiktok 2023), mostra una serie di video ad altissima circolazione che sono sconosciuti al pubblico globale, ma sono virali all’interno di alcune sottoculture della rete.
Facebook nel suo report sui contenuti ampiamente visualizzati (Meta 2023) ha raccolto una enorme quantità di video e immagini che difficilmente resisteranno al passare del tempo o che possano essere in grado di suscitare nostalgie globali da qui a qualche anno. Persino il Netflix engagement report (Netflix 2023) mostra sicuramente una serie di contenuti ampiamente consumati dagli abbonati dalla piattaforma, ma frammentati in una serie di gusti, interessi caratteristiche e linguaggi che rendono la visione di Netflix più un esperienza glocale che globale.
Popolarità e viralità intese secondo i parametri classici non possono essere più considerate come punti di riferimento: è esplosa la bolla speculativa della popolarità misurata con le logiche dei mass media in un ambiente di social media. La circolazione dei contenuti in socialcasting (ovvero secondo le regole sociotecniche delle piattaforme digitali: Bennato 2011) ha delle proprietà profondamente diverse rispetto al broadcasting.
Echo chambers e cyberbalcanizzazione sociale
Se ciò ancora non bastasse, Wired ha recentemente notato che le piattaforme social stanno diventando sempre più “piccole” e sempre più insidiose (Zuckerman 2024). In pratica le piattaforme restano sempre il campo di battaglia per catturare l’attenzione globale, ma questi eventi digitali e mediali hanno una scala sempre più piccola e sempre meno connessa sia nello spazio digitale che nello spazio mediale tradizionale. L’esempio emblematico è il caso di Donald Trump che dopo essere stato estromesso dalla conversazione globale di Twitter – per via del suo coinvolgimento con i fatti di Capitol Hill – si è rifugiato in una piattaforma come Truth la cui caratteristica più importante è proprio il fatto che ospita la voce dell’ex presidente statunitense.
Giusto per restare a Twitter – o X come vorrebbe il rebranding – è anch’esso diventato una piattaforma ad avere sempre meno una voce globale, e sempre più un orizzonte sociale circoscritto, diventato dopo la cura-Musk territorio per ogni forma di estremismo e intolleranza. Persino Reddit, ormai vittima dell’invasione dei subredditor polarizzati politicamente e socialmente, è stato oggetto di una migrazione di molte delle sue community verso Discord, che da chat per gamer sta diventando forum per le culture geek. In pratica stiamo assistendo ad un processo di cyberbalcanizzazione sociale, in cui le piattaforme diventano espressione di un preciso sistema politico-valoriale. Dalle echo chambers come effetto delle dinamiche sociali di rete all’interno degli spazi social, alle echo chamber platforms, rigidamente monoculturali, in cui entrando in quelle piattaforme si entra a far parte di un preciso orizzonte politico e sociale. Spesso radicalizzato e intollerante.
L’affaticamento da social media e i fattori che lo hanno determinato
Persone che postano meno nei social, la rete incapace di esprimere una cultura globale e vittima della frammentazione, piattaforme che diventano echo chambers: come interpretare sociologicamente questi segni? Stiamo veramente assistendo alla fine dei social media come li abbiamo vissuti finora?
È difficile dare un’interpretazione univoca a tali segnali che sono di diverso ordine e grado. È possibile ipotizzare però che il cambiamento dell’orizzonte sociale possa essere attribuito alla diffusione dell’affaticamento da social media (social media fatigue: Bright, Kleiser, Grau 2015; Liu et al. 2021; Zheng, Ling 2021; Ou et al. 2023; Zolkepli et al. 2023). Secondo questo concetto è possibile identificare una serie di risposte emotive negative all’uso dei social media, come stanchezza, esaurimento, frustrazione e disinteresse verso la comunicazione.
L’affaticamento da social media sicuramente emerge da un uso eccessivo e compulsivo delle piattaforme social, ma questo è solo la punta dell’iceberg di un processo che contempla l’effetto congiunto di una serie di fattori diversi.
In primo luogo fattori individuali che possono peggiorare la percezione di fatica cognitiva come la preoccupazione per la privacy, la gestione delle impressioni e l’uso eccessivo dei social. Poi ci sono da considerare i fattori relazionali, in primo luogo il sovraccarico da social media (social media overload) che viene considerato come un fattore chiave nell’indurre l’affaticamento. Infine fattori ambientali come la complessità del sistema tecnologico, il cambiamento nel ritmo del sistema e la rilevanza delle informazioni (Bright, Kleiser, Grau 2015; Zheng, Ling 2021; Ou et al. 2023).
Il ruolo del covid e l’overload informativo
In questo modello multifattoriale, è centrale il ruolo del sovraccarico delle informazioni nel creare lo stato di ansia che porta all’affaticamento da social media. Per comprendere meglio questo ruolo, è stato utilizzato come riferimento il modello della capacità limitata, nato per spiegare come vengono elaborati i messaggi veicolati dalla televisione (Bright, Kleiser, Grau 2015). Secondo questo modello che si ispira a concetti della psicologia cognitiva, sono tre i processi alla base dell’elaborazione dei messaggi: la codifica ovvero la trasformazione degli stimoli esterni in rappresentazioni mentali, la memorizzazione che è concepita come la creazione di collegamenti tra nuove rappresentazioni mentali e quelle esistenti, e il recupero che consiste nel processo di riattivazione di una rappresentazione mentale memorizzata (Lang 2000). La social media fatigue è conosciuta da diversi anni ed è sempre stata ritenuta come affliggente particolari categorie sociali che si sono trovate nella condizione di un uso eccessivo delle piattaforme.
Ma come mai questo fenomeno ha cominciato ad avere una diffusione così sistematica da impattare sull’utilizzo dei social, tanto da considerarsi come un vero e proprio modello d’uso? Ancora la ricerca non ha dato una risposta univoca a questa domanda, ma a giudicare da una serie di studi un’ipotesi plausibile potrebbe essere che la diffusione di tale comportamento sia stato causato dall’uso eccessivo dei social durante il periodo pandemico (Liu et al. 2021; Zolkepli et al. 2023). Secondo queste ricerche, il sovraccarico di informazioni relative al Covid-19 attraverso i social media ha aumentato sia la fatica nell’uso delle piattaforme che la paura della condizione pandemica, portando ad una maggiore propensione degli utenti a valutare di interrompere l’uso dei social media. Ciò che ha rallentato la fuga dai media digitali durante (e dopo) la pandemia è stato l’effetto FOMO (Fear of missing out) ovvero il timore che abbandonando i social le conseguenze sarebbero state di disconnessione culturale e isolamento sociale.
Questa condizione però ha fatto sì che escludendo le piattaforme di connettività sociale, la messaggistica istantanea come Whatsapp e Telegram, e i servizi di messaggistica presenti nelle piattaforme, come i DM di Instagram o Facebook Messenger, i social media sono stati utilizzati prevalentemente come sistemi di intrattenimento, creando una profonda separazione fra i produttori di contenuti e i fruitori di contenuti. L’affaticamento da social media, già esistente all’apparire dei primi servizi del Web 2.0, a causa dell’overload informativo avvenuto durante la pandemia, ha creato una situazione per cui gli utenti hanno interrotto l’interazione sociale che avveniva attraverso pratiche di lifestreaming, limitando la connessione sociale a dinamiche più controllate e circoscritte (messaggistica), disaccoppiando le piattaforme social dall’ambiguità tra content sharing e content creation.
Il declino del prosumer nei social media
In pratica la social media fatigue post pandemica sta probabilmente ponendo la parole fine al prosumer.
Questa ovviamente è solo un’ipotesi che deve essere ulteriormente verificata, ma ci sembra una interpretazione sufficientemente articolata per spiegare perché i social non sono più quelli di una volta.
Bibliografia
Bennato, D. (2011), Sociologia dei media digitali, Laterza, Roma-Bari.
Bright, L. F., Kleiser, S. B., Grau, S. L. (2015), Too much Facebook? An exploratory examination of social media fatigue, “Computers in Human Behavior”, 44, 148-155.
James, C. (2023), We Aren’t Posting on Social Media as Much Anymore. Will We Ever?, “The Wall Street Journal”, December 2023, https://www.wsj.com/tech/personal-tech/social-media-nobody-posting-f6c2fd3e.
Lang, A. (2000), The limited capacity model of mediated message processing, “Journal of communication”, 50(1), 46-70.
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Zuckerman, E. (2024), Social Media Is Getting Smaller—and More Treacherous, “Wired”, January 24, https://www.wired.com/story/social-media-is-getting-smaller-and-more-treacherous/.