nuovi panopticon

Siamo tutti rider. Ecco i danni del “gigacapitalismo” nello stato di diritto

Dalla multa a Glovo per non aver messo in regola i suoi rider all’indagine dell’antitrust Usa sull’acquisizione di iRobot da parte di Amazon, passando per la maxi-multa a Google in Europa. Ecco come democrazia e stato di diritto si affannano a rincorrere le degenerazioni compulsive delle piattaforme

Pubblicato il 28 Set 2022

Lelio Demichelis

Docente di Sociologia economica Dipartimento di Economia- Università degli Studi dell’Insubria

Rider contratto

Multa di 79 milioni di euro, in Spagna nei confronti di Glovo, piattaforma delle consegne a domicilio. La colpa: non aver messo in regola i suoi rider, così aggirando la legge spagnola approvata lo scorso anno e che impone alle società di consegne a domicilio di stipulare contratti di lavoro dipendente con i propri rider, che così cessano di poter essere sfruttati dalla piattaforma che invece li vuole come lavoratori autonomi, su cui poter così scaricare tutti quei rischi e quei costi (come i contributi previdenziali e assicurativi) che un tempo costituivano invece il rischio d’impresa e il dovere sociale del capitale.

I ricchi sono sempre più ricchi e a noi va bene così: il grande inganno del gigacapitalismo

Quello che molti, troppi avevano immaginato essere il “nuovo che avanza e che non si deve fermare” – il capitalismo di piattaforma, appunto, l’uberizzazione del lavoro e della vita umana – si dimostra essere, come era facile prevedere, una delle forme più ciniche e sfruttatrici (oltre che disruptive) di capitalismo. E questo anche o soprattutto grazie alle nuove tecnologie che permettono di fare digitalmente ciò che fisicamente non era possibile fare ieri, come appunto digitalizzare l’impresa e massimizzare sia il pluslavoro delle persone che (quindi) il plusvalore del capitale. E se fosse vivente oggi Friedrich Engels, riscriverebbe molto probabilmente il suo saggio scritto ormai quasi due secoli fa (nel 1844-1845), “La condizione della classe operaia in Inghilterra” e lo intitolerebbe “La condizione della classe operaia nel mondo digitalizzato” – perché appunto siamo sempre fermi a quel modello di capitalismo. Anche se – digitalizzato – sembra nuovo e diverso, mentre è sempre taylorismo.

Rider e non solo: il conflitto tra gigacapitalisti e la legge

Ma torniamo in Spagna, dove si dimostra appunto che molto del capitalismo delle piattaforme (del capitalismo di sempre, da sempre) non ama rispettare la legge, che sempre cerca di resisterle e di aggirarla (o di farla a sua immagine e interesse, a questo servono le lobbies), che sempre cerca di non pagare/eludere le tasse o di pagarne sempre meno, che sempre considera gli uomini come mera forza-lavoro da spremere in tutti i modi, che sempre cerca di mascherare questa sua essenza con un diluvio di retoriche manageriali su lavoro creativo-intellettuale-collaborativo-eccetera.

Dunque, Glovo – che è stata fondata nel 2015 a Barcellona, in Spagna e che nel dicembre del 2021 è stata rilevata dalla multinazionale tedesca Delivery Hero – che avrebbe anche ostacolato le indagini dell’Ispettorato del lavoro spagnolo. Ora la multa salatissima di 79 milioni di euro e, ovviamente, l’obbligo di regolarizzare gli oltre 10mila ciclo-fattorini impiegati da Glovo nelle zone di Barcellona e Valencia. “Siamo di fronte a un vero e proprio atto di falso lavoro autonomo e il peso della legge ricadrà su questa azienda”, ha dichiarato la ministra del Lavoro Yolanda Díaz. “Questa azienda sta facendo ostruzione nei confronti degli ispettori del lavoro, e questo è molto grave in uno Stato sociale, democratico e di diritto, in cui le aziende devono rispettare la legge”. Glovo ha annunciato che farà ricorso contro la decisione, valutandola come “unilaterale” (sic!) ma questa piattaforma era rimasta comunque la sola, in Spagna, a mantenere uno “schema” basato sul lavoro freelance, le altre, alla fine avevano dovuto cedere. Promossa dal governo di sinistra spagnolo, la cosiddetta legge Rider obbliga infatti le piattaforme di digital delivery ad assumere i propri fattorini come dipendenti, partendo dal presupposto che nei fatti i riders sono organizzati, comandati e sorvegliati dalla piattaforma – che è quindi la nuova forma dell’impresa e i cui lavoratori non possono che essere lavoratori dipendenti anche se sono organizzati, comandati e sorvegliati a distanza – quindi con tutte le garanzie e i diritti di ogni altro lavoratore dipendente.

A questo si aggiunge un altro conflitto tra piattaforme e gigacapitalisti (richiamando il bel libro di Riccardo Staglianò), da un lato e legge dall’altro. E riguarda ancora una volta Amazon, monopolista che vuole diventare ancora più monopolista, contraddicendo ancora una volta tutti i sacri testi del capitalismo, cioè la concorrenza. Parola retorica e falsa come poche altre e che copre, da sempre, ben altri interessi, perché – come ha detto recentemente l’economista Stefano Zamagni nella sua Lectio al FestivalFilosofia di Carpi-Modena-Sassuolo – “l’argomento smithiano della mano invisibile postula che i mercati siano vicini all’ideale della libera concorrenza, in cui non vi sono né monopoli né oligopoli, né asimmetrie informative. Ma tutti sanno che le condizioni per avere mercati di concorrenza perfetta mai sono state soddisfatte nella realtà e mai lo saranno”. Perché appunto la mano invisibile è in realtà la mano visibilissima del capitale che muove il mercato come meglio persegue i propri interessi, così come è il capitale (l’offerta) a produrre la domanda dei consumatori – via marketing, pubblicità e industria della felicità e la falsa illusione di essere un consumatore sovrano del mercato, libero (sic!) di scegliere tra ciò che gli offre il capitale per il proprio profitto, che quindi attiva/produce i suoi (falsi) bisogni e soprattutto i suoi (falsi) desideri del consumatore.

Dunque, ancora Amazon: la Federal Trade Commission sta infatti indagando sull’acquisizione da 1,7 miliardi che l’azienda di Jeff Bezos vorrebbe raggiungere nei confronti di iRobot, la società che produce la gamma di aspirapolvere intelligenti Roomba (intelligenti per chi li produce, producendo dati sulle nostre case e sui nostri modi di vivere, un altro modo per ottenere la nostra profilazione/spionaggio commerciale) – e Roomba si integrerebbe perfettamente con gli altri prodotti di sorveglianza di Amazon, come l’assistente virtuale Alexa. L’indagine della Fed è partita all’inizio di settembre e valuterà la proposta di acquisizione sia in termini di rispetto del principio della concorrenza, sia le possibilità-rischi che l’accordo produrrebbe in termini di illegale ulteriore ampliamento della quota di mercato da parte di Amazon.

Il Panopticon capitalistico

Ed è la seconda indagine in un mese da parte dell’FTC sul colosso di Bezos. L’altra coinvolge infatti, oltre ad Amazon, One Medical, la società di assistenza sanitaria di base che Bezos vorrebbe acquisire per 3,9 miliardi di dollari: un’altra operazione dove tutto si gioca ancora una volta sul possedere/controllare/sfruttare i dati (questa volta sanitari) – cioè la vita biologica – delle persone, nella logica del Panopticon capitalistico, della massimizzazione della sorveglianza (Zuboff), il capitalismo facendo oggi per fini di profitto privato ciò che i totalitarismi del ‘900 facevano per profitto politico, appunto organizzare, comandare e soprattutto sorvegliare la vita di miliardi di persone, ormai totalitariamente datizzate e quindi mercificate/reificate/alienate (è un’altra forma di pluslavoro di tutti, per il massimo plusvalore del solo capitale), perché questa ricchezza crescente di pochi non produce alcun reale benessere per i molti. One Medical opera infatti in 25 mercati statunitensi e moltissime grandi aziende come Google offrono One Medical ai propri dipendenti. Ghiotta occasione , dunque, per Amazon, quella di avere il possesso, il controllo e il comando su questi dati, cioè sulla vita di milioni di persone.

Con la differenza che ieri si esecrava/condannava – in nome del diritto alla libertà dell’individuo e della democrazia – il Panopticon politico/totalitario del ‘900 e tutti invece accettiamo il Panopticon capitalistico/mono-oligopolistico totalitario di oggi.

E poi Google

Ultimo esempio, Google – e siamo sempre nell’oligopolio di monopoli della Silicon Valley. La Corte di giustizia dell’UE ha infatti confermato nelle scorse settimane la multa miliardaria inflitta dalla Commissione europea a Google.  L’accusa era quella di aver sfruttato il suo sistema operativo Android per consolidare la propria posizione di predominio nel segmento delle ricerche online e della pubblicità – di nuovo la tendenza al monopolio anche o soprattutto del/nel capitalismo digitale/di piattaforma. I giudici europei si sono limitati a ritoccare leggermente al ribasso – domanda: perché non invece al rialzo? – quella che è ad oggi comunque la sanzione più elevata mai comminata dall’Antitrust europeo a un colosso capitalistico, riducendola dai 4,343 miliardi indicati dalla Commissione nel 2018, ai 4,125 miliardi di oggi.

Riassumeva la vicenda Luca Zurloni su Wired: “Il caso fa riferimento a una procedura di infrazione, avviata contro Google dalla Commissione il 15 aprile 2015. Nel mirino, per l’appunto, il ruolo predominante di Big G e del suo sistema operativo, Android, con cui, dati di Bruxelles, nel 2018 era equipaggiato l’80% degli smartphone in circolazione all’interno dell’Unione. Dopo tre anni di indagini, il 18 luglio 2018, l’Ufficio per la concorrenza della Commissione europea, capitanato dalla commissaria Vestager, giunge alla conclusione che per Google si configura un abuso di posizione dominante. Ossia che il colosso beneficia del suo predominio sul mercato attraverso strategie aziendali e condizioni imposte a utenti e fornitori che ne consolidano ulteriormente il primato”.

Conclusioni

È sempre capitalismo, quindi. Contro il quale la democrazia e lo stato di diritto si affannano a rincorrere le sue degenerazioni compulsive (sempre ex post, mai riuscendo a impedirle ex ante). Che non sono tuttavia degenerazioni ma ne rappresentano piuttosto l’essenza e la tendenza, nella più perfetta espressione della sua (ir)razionalità strumentale/calcolante-industriale.

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