La tecnologia può ora supportare la sicurezza e l’autonomia degli anziani. E’ la risposta a un bisogno profondo. Ogni persona infatti ha un desiderio: vivere il più a lungo possibile nel proprio contesto abitativo, a contatto con la propria rete di prossimità, ovvero tutte le relazioni – con il panettiere sotto casa, il giornalaio, i vicini, il medico e il farmacista – e gli spazi – il bar, la piazza e le vie – che hanno caratterizzato la sua vita.
Ma la vita in indipendenza, soprattutto avanti con gli anni, rappresenta una condizione critica per la famiglia. Questa criticità è rappresentata dalla violazione di uno dei bisogni fondamentali della persona: la sicurezza. Secondo la teoria della gerarchia dei bisogni proposta dallo psicologo Abraham Harold Maslow nel 1954, il bisogno di sicurezza è al secondo posto in ordine di importanza, preceduto solo dal bisogno di stare fisiologicamente bene.
(fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Bisogno)
Cos’è la tranquillità reciproca
La tranquillità reciproca è la condizione nella quale sia la persona che i famigliari soddisfano il loro contemporaneo bisogno di sicurezza. In genere, la persona anziana che vive in modo indipendente tende a mascherare e sopravvalutare la propria condizione (“il mio passo è sempre più incerto; oggi sono scivolato ma, per fortuna, non mi sono fatto nulla; e se fossi rimasto per terra, chi se ne sarebbe accorto?”) mentre la famiglia tende a sottovalutare le capacità della persona stessa (“non siamo tranquilli perché non sappiamo dov’è e cosa fa. Mangerà a sufficienza e nel modo corretto? Prenderà le medicine come ha prescritto il medico?”). L’attuale reazione della famiglia all’aumentare dello stato di insicurezza è quella di adottare soluzioni costose e invasive, che privano l’anziano della sua autonomia: l’inserimento nel contesto abitativo di una figura di supporto, per esempio un/a badante, oppure forzando l’abbandono della abitazione attuale in favore di una sistemazione più controllata, a contatto con la famiglia o, infine, il trasferimento in una residenza.
In che modo la tecnologia supporta l’autonomia
Come è possibile rimandare o eliminare interventi di questo tipo? La tecnologia può supportare l’autonomia? Qualche nostro caso di studio, sperimentale, suggerisce una possibile soluzione: attrezzare la casa di sensori, per avere un “occhio” discreto e vigile, nella vita della persona. Abbiamo sviluppato un sistema costituito da una infrastruttura sensorizzata all’interno dell’appartamento, un canale di comunicazione verso il cloud (dove sono conservati i dati), un insieme di algoritmi per elaborare i dati estraendo l’informazione necessaria ad un insieme di regole (denominati “processori”) che hanno lo scopo di verificare come è strutturata la quotidianità e come essa si sviluppa nel tempo. In altre parole, una soluzione che impara a conoscere la persona e che la monitora costantemente.
Per vigilare servono dei sensori. Ma quali tipi? E cosa fanno? Per contenere i costi, il sistema utilizza della componentistica hardware facilmente reperibile sul mercato e wireless, in modo da poter adattare la soluzione senza dover intervenire sulla casa e sugli impianti esistenti. In particolare, la soluzione sperimentata utilizza dei sensori con protocollo Z-Wave, adottati negli impianti di allarme: sensori infrarossi, di prossimità, di apertura e chiusura, etc. Ciascuna tipologia è dedicata a quello che serve rilevare. Per esempio, la presenza o la permanenza in una zona della casa, l’utilizzo di un elettrodomestico, l’accesso ad un armadio, al frigorifero o alla dispensa.
Come funzionano i sensori
Focalizziamo per un attimo l’attenzione sui sensori di presenza, quelli che evidenziano la posizione di una persona in una area. Questi sensori sono posizionati nell’appartamento in modo da rilevare la posizione corrente della persona in un ambiente; se necessario, è anche possibile suddividere ulteriormente le stanze con lo scopo di differenziare le varie aree in base alla “attività”. La zona salotto, in questo modo, potrebbe essere composta da una zona relax, adibita alla visione della televisione o alla lettura di un libro, ed una di passaggio. In questo modo è possibile capire se la persona si sta intrattenendo troppo a lungo nella zona di passaggio, e quindi supporre una situazione di criticità, oppure se si sta rilassando.
Poiché i sensori forniscono solo informazioni parziali, il sistema integra i dati tra loro, aumentando il livello di conoscenza e di visibilità dello stato e dell’attività della persona. Sempre facendo riferimento allo scenario del salotto, la rilevazione della potenza assorbita dalla televisione (dato reperibile dai sensori di consumo energetico) unita a quella di presenza nella zona del salotto segnala l’attività “guardare la televisione”.
Sensori vs. telecamere
Una caratteristica fondamentale della soluzione proposta è la “non intrusività” e l’assenza di telecamere. Non intrusivo significa che la rilevazione non richiede che l’utente indossi un bracciale o qualche altro sensore. Il principio alla base è quello di evitare che la persona anziana abbia la responsabilità di manutenere l’oggetto indossabile (per esempio, ricaricarlo) o debba ricordarsi di indossarlo. Perché non utilizzare delle telecamere, allora? La ragione è che le telecamere, anche quando non trasmettono alcun dato o anche quando sono utilizzate per la sola estrazione di informazioni senza alcuna visualizzazione, sono percepite come una violazione della privacy. Una analisi fatta attraverso vari focus group, che ha visto coinvolti diversi gruppi di potenziali utenti, ha messo in evidenza che le telecamere non sono facilmente accettate mentre altri tipi di sensori vengono meglio tollerati.
E come si relaziona l’insieme dei dati alla condizione della persona? I dati raccolti vengono aggregati in base alla zona e agli orari con lo scopo di rilevare le “attività giornaliere”: una rilevazione in cucina, ad esempio, con conseguente apertura del frigorifero e utilizzo della dispensa in un intervallo di tempo compreso fra le 11.30 e le 13.30 determina l’individuazione di un’attività giornaliera classificata come “pranzo”. In base a un insieme di regole definite per l’utente e con l’utente, l’attività giornaliera è riconosciuta come “normale” o “anomala” (con alcuni livelli di criticità, in base al tipo di attività e alla violazione della regola).
Mediante un’app specifica, queste informazioni sono poi rese visibili alla famiglia: se non ci sono violazioni e le attività sono in un livello di tolleranza, allora la situazione è nella norma. Sempre mediante l’app, è possibile avere una visione riassuntiva di quello che è accaduto in un dato periodo di tempo: è possibile sapere quali sono gli spazi che la persona ha utilizzato nel corso della giornata e per quanto tempo. La visualizzazione di questi aspetti è gestita graficamente mediante l’utilizzo di cerchi, centrati nelle stanze, il cui raggio è proporzionale al tempo trascorso nella stanza.
Identificazione automatica delle anomalie
E se succede qualcosa? Una delle caratteristiche della soluzione proposta è quella di rendere possibile l’identificazione automatica delle “anomalie” ad alta criticità e la trasmissione di messaggi di allarme. In questi casi vengono inoltrate ripetutamente delle notifiche alla famiglia che le prende in carico e interviene. La rilevazione prolungata in corridoio, ad esempio, potrebbe essere riconducibile ad una caduta, e quindi la famiglia viene immediatamente allertata in modo tale da dare l’opportunità ai familiari di intervenire nel modo che reputano più opportuno.
Regole e soluzioni personalizzate
E le regole? Da dove vengono? Le regole sono il frutto di un accordo tra la famiglia e la persona, ovviamente con il nostro contributo. Non esistono regole predefinite, attuabili in ogni situazione, come non ci sono neppure soluzioni predefinite. Tutto è personalizzato sulla casa, sulla persona e sulla esigenza della famiglia. Il numero di sensori, la loro posizione e la tipologia determinano la capacità del sistema di “vedere” e, di conseguenza, la possibilità di fornire informazioni alla famiglia.
Il risultato finale è il frutto di una relazione complessa tra la tecnologia e le persone, e non va mai dimenticato che la persona è il centro e la tecnologia una comodità e un supporto che non sostituisce, e non sostituirà mai, il bisogno naturale di socialità di ogni essere umano.