Lo smart working, noto anche come lavoro a distanza o lavoro agile, e l’Intelligenza Artificiale (AI) rappresentano due trasformazioni chiave nel mondo del lavoro contemporaneo, che offrono sia opportunità che sfide.
Il primo, ormai una realtà consolidata a livello globale e nazionale (1), è stato adottato con successo da aziende e istituzioni come modello flessibile di organizzazione del lavoro. Se implementato correttamente, come dimostrano gli studi effettuati, può rivoluzionare il modo di lavorare, migliorando l’equilibrio tra vita privata e professionale, aumentando la produttività e l’inclusione e generando benefici ambientali.
L’AI, invece, è un fenomeno più recente e al centro del dibattito sul futuro del lavoro, tra automazione, nuove competenze e impatti organizzativi. Gli studi in corso analizzano il modo in cui l’AI può automatizzare compiti specifici, evidenziando impatti significativi soprattutto sui lavoratori altamente qualificati in mansioni non di routine.
In ogni caso, sia lo Smart working che l’AI richiedono un efficace change management, adeguamenti professionali e lo sviluppo di nuove competenze per affrontare le sfide poste dall’innovazione tecnologica e organizzativa (2).
In questo articolo analizzerò come l’integrazione di queste due innovazioni conduca a nuovi modelli organizzativi, ridefinendo il concetto stesso di lavoro e le modalità di interazione tra uomo e tecnologia e l’azione delle politiche e strategie per un futuro del lavoro più inclusivo, flessibile e sostenibile.
Indice degli argomenti
Smart working: benefici, sfide e necessità di una transizione strategica
Il lavoro a distanza, pur essendo oggi ampiamente riconosciuto per i suoi numerosi benefici, inizialmente ha suscitato dubbi, preoccupazioni e timori. Le principali incertezze riguardavano la gestione del tempo, il confine tra vita privata e professionale e l’impatto sulla produttività. A partire dalla fine degli anni ’80, quando il dibattito sui vantaggi e svantaggi del telelavoro iniziò a svilupparsi a livello globale, diversi studiosi adottarono una visione pessimistica, mettendo in luce le potenziali criticità economiche, sociali e psicologiche.
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Molti di questi autori – che per brevità non verranno citati in questa sede – pur con approcci differenti, condividevano la preoccupazione che il telelavoro potesse avere effetti negativi sulla sicurezza dell’occupazione, sulle relazioni sociali e sulla distribuzione del potere all’interno delle aziende. Anche lavoratori, imprese e parti sociali temevano che la mancanza di interazione fisica potesse compromettere la collaborazione e il benessere organizzativo.
Tuttavia, già negli anni ‘90 la SIT – Società Italiana Telelavoro, associazione no profit fondata nel 1995 da Olivetti Ricerca e da Domenico De Masi, tra gli altri – sosteneva che il Telelavoro, se implementato correttamente, potesse apportare benefici significativi. De Masi, professore di Sociologia del lavoro presso l’Università La Sapienza di Roma ed esperto di mutamenti nel mondo del lavoro, fu un punto di riferimento nello studio e nella diffusione del Telelavoro, ricoprendo la carica di Presidente della SIT, mentre la sottoscritta ne era Direttore generale. Numerosi studi successivi hanno confermato che il Telelavoro prima e lo Smart Working poi hanno avuto e continuano ad avere un impatto positivo sui lavoratori, sulle organizzazioni e sull’ambiente. Tuttavia, come avvertiva la SIT, questi benefici emergono solo quando il Telelavoro è accompagnato da un adeguato adattamento organizzativo e tecnologico, da una formazione specifica per manager e lavoratori, dalla partecipazione volontaria dei dipendenti e dal coinvolgimento delle parti sociali.
Samrt working: una panoramica degli impatti principali emersi dagli studi più recenti
Ecco una panoramica degli impatti principali emersi dagli studi più recenti (3):
- impatto sui lavoratori – Il lavoro da remoto ha migliorato il benessere e la produttività dei dipendenti, favorendo un migliore equilibrio tra vita professionale e privata. Tuttavia, alcuni studi segnalano anche criticità, come l’isolamento sociale e la difficoltà nel separare gli spazi di lavoro da quelli domestici;
- impatto sulle organizzazioni – Le aziende che hanno adottato il lavoro agile in modo strutturato hanno registrato un aumento delle performance e dell’engagement dei dipendenti. Tuttavia, è emersa la necessità di sviluppare competenze specifiche per la gestione efficace dei team remoti;
- impatto sull’ambiente – Il lavoro a distanza contribuisce in modo significativo alla riduzione delle emissioni di CO₂ grazie alla diminuzione degli spostamenti casa-lavoro. Secondo studi condotti dall’ENEA, ogni giornata di Smart Working può evitare l’emissione di circa 6 kg di CO₂. Nel 2023, un’indagine ha evidenziato che il lavoro a distanza riduce la mobilità quotidiana e i consumi di carburante, con una riduzione annuale delle emissioni pari a circa 600 kg di CO₂ per lavoratore. Inoltre, il volume Smart Working: prospettive di cambiamento per la sostenibilità urbana, pubblicato dall’ENEA, ha analizzato gli effetti del lavoro agile in quattro province italiane, mettendone in luce i potenziali benefici in termini di sostenibilità urbana.
L‘impatto dell’AI sul lavoro: tra timori e prospettive
L’AI e il suo impatto sul mondo del lavoro, com’è noto, sono al centro di un ampio dibattito, con previsioni contrastanti sulle trasformazioni che essa potrebbe determinare. Alcuni studiosi prospettano scenari fortemente negativi, mentre altri adottano un approccio più bilanciato, riconoscendo sia i rischi che le opportunità legate all’automazione spinta e all’AI.
Le visioni pessimistiche
Tra le visioni più pessimistiche e suggestive in materia di politica economica, Martin Ford (4), imprenditore della Silicon Valley, saggista ed esperto degli effetti sociali dell’evoluzione della robotica, divenuto famoso per le sue previsioni secondo cui l’AI e l’automazione spinta potrebbero causare una disoccupazione di massa, accentuando la concentrazione della ricchezza e mettendo a rischio la stabilità economica senza adeguate politiche di redistribuzione del reddito; Kai-Fu Lee, già presidente di Google China e dirigente di Microsoft, SGI e Apple, attualmente presidente e AD di Sinovation Ventures e co-presidente del Consiglio per l’AI del World Economic Forum (5), prevede che fino al 40% dei posti di lavoro attuali potrebbe scomparire nei prossimi 15-20 anni, con gravi conseguenze per le economie meno preparate alla transizione; Josef Stiglitz (6), professore alla Columbia University di New York, ex capo economista della Banca Mondiale e premio Nobel per l’Economia, avverte che l’AI potrebbe ampliare le disuguaglianze economiche, polarizzando ulteriormente il mercato del lavoro tra lavoratori altamente qualificati e coloro a rischio di sostituzione. Secondo un’analisi di Goldman Sachs (7), l’AI potrebbe interessare fino a 300 milioni di posti di lavoro a livello globale, rendendo cruciale l’investimento nella riqualificazione professionale Altri autori evidenziano come l’innovazione tecnologica stia avanzando più rapidamente della capacità della società di adattarsi, con il rischio di una crescente disoccupazione tecnologica (8).
Le analisi più equilibrate
D’altra parte, analisi più equilibrate riconoscono i potenziali rischi ma sottolineano anche le opportunità offerte dall’AI, purché si investa adeguatamente in programmi di formazione continua e di riqualificazione professionale. Il World Economic Forum (9) prevede che entro il 2025 l’AI potrebbe trasformare il 65% delle professioni attuali e che, allo stesso tempo, potranno nascere 97 milioni di nuovi posti di lavoro per permettere a uomini e macchine di lavorare insieme, evidenziando l’importanza di programmi di formazione continua per i lavoratori.
Per quanto riguarda il nostro Paese, l’Osservatorio AI del Politecnico di Milano analizzando rischi e opportunità dell’AI nel contesto lavorativo, evidenzia come l’adozione dell’AI possa comportare sia vantaggi, come l’automazione di compiti ripetitivi e l’aumento dell’efficienza, sia rischi, tra cui la perdita di posti di lavoro e sottolinea la necessità di una adeguata riqualificazione professionale (10). Nel loro saggio, Federico Butera – sociologo italiano, noto per i suoi studi sulle organizzazioni complesse e per l’innovazione nei modelli organizzativi del lavoro, che purtroppo, ci ha lasciato di recente – e Giorgio De Michelis, studioso e progettista di sistemi digitali, già professore ordinario di Interaction Design e Sistemi per la collaborazione all’Università di Milano-Bicocca (11) analizzano il dibattito sull’impatto dell’AI, confrontando visioni ottimistiche e distopiche. Butera distingue due possibili scenari: uno positivo, in cui l’AI favorisce un’evoluzione sostenibile del lavoro, e uno negativo, caratterizzato da esclusione e disoccupazione e propone l’adozione di “cantieri partecipati” nelle aziende e nelle amministrazioni pubbliche, oltre a politiche mirate e investimenti per garantire un impatto positivo dell’AI. De Michelis amplia il discorso, collocando la rivoluzione digitale all’interno di un quadro più complesso, sottolineando inoltre il ruolo centrale della partecipazione umana nello sviluppo e nell’integrazione delle nuove tecnologie.
Questi studi evidenziano, in estrema sintesi, come l’adozione dell’AI rappresenti un cambiamento profondo per il mondo del lavoro, con potenziali rischi legati alla disoccupazione tecnologica, ma se ci saranno politiche adeguate, anche opportunità per chi saprà – e potrà – adattarsi e acquisire nuove competenze.
L’integrazione di AI e smart working: verso un nuovo modello di lavoro
L’adozione dell’AI nei contesti lavorativi sta trasformando profondamente diversi settori e categorie professionali, influenzando modalità operative e strategie organizzative. Uno studio recente condotto da Anthropic, azienda sviluppatrice della piattaforma Claude (12), ha fornito dati concreti sull’utilizzo dell’AI nel lavoro quotidiano. L’analisi, basata su milioni di conversazioni anonime raccolte sulla piattaforma, offre un quadro dettagliato delle modalità con cui l’AI viene impiegata nei vari ambiti professionali.
Secondo i risultati della ricerca, l’AI è maggiormente utilizzata nei settori informatico e matematico, supportando attività come lo sviluppo software, l’analisi dei dati e la modellazione computazionale. Tuttavia, il suo impiego non si limita agli ambiti tecnico-scientifici: sta guadagnando terreno anche nelle arti, nei media e nell’istruzione, favorendo la creatività, la produzione editoriale e la didattica. Il 57% degli utenti sfrutta l’AI per potenziare le proprie capacità, migliorando efficienza e produttività, mentre il restante 43% la utilizza per automatizzare attività specifiche, riducendo l’intervento umano su compiti ripetitivi o standardizzabili.
L’adozione dell’AI è particolarmente elevata nelle professioni medio-alte, come programmatori, analisti di dati e specialisti IT, che la utilizzano per ottimizzare i processi lavorativi. Al contrario, è meno diffusa nelle occupazioni che richiedono competenze manuali o interazioni umane difficilmente automatizzabili. Questo divario solleva interrogativi importanti sulla distribuzione futura delle opportunità lavorative e sulle possibili conseguenze sociali ed economiche dell’innovazione tecnologica.
Un aspetto cruciale riguarda le implicazioni economiche e sociali dell’integrazione dell’AI. Il dibattito si concentra sul rischio di disoccupazione tecnologica, sulla crescente polarizzazione del mercato del lavoro e sulla sostenibilità dei modelli previdenziali in un contesto di progressiva automazione. Inoltre, esiste la possibilità che il valore economico generato dall’AI si concentri nelle mani di pochi grandi attori del mercato, ampliando le disuguaglianze economiche. Per facilitare ulteriori studi e approfondimenti, Anthropic ha reso pubblici i dati della ricerca, contribuendo a un dibattito più informato e basato su evidenze empiriche (13).
Parallelamente, l’integrazione tra Smart Working e AI sta delineando un nuovo modello lavorativo, in cui flessibilità, automazione e collaborazione uomo-macchina diventano elementi chiave per l’efficienza e la sostenibilità delle organizzazioni.
Molte aziende stanno già adottando strumenti basati su AI per ottimizzare il lavoro da remoto, dalla gestione automatizzata dei flussi di lavoro all’analisi predittiva delle performance, fino ai chatbot per il supporto interno e ai sistemi di assistenza virtuale per la collaborazione. L’AI permette anche di monitorare il benessere dei dipendenti, analizzando pattern di produttività e suggerendo strategie per migliorare l’equilibrio tra vita privata e lavoro.
Politiche europee e nazionali in materia di Smart working e AI
Le politiche europee e nazionali in materia di smart working e AI mirano a creare un ambiente lavorativo più inclusivo, flessibile e sostenibile, promuovendo la riqualificazione professionale e la tutela dei lavoratori, nonché l’adozione di tecnologie sostenibili.
L’UE, con il Green Deal Europeo e il Quadro Europeo sul Telelavoro (2002), e l’Italia, attraverso la Legge n. 191/1998, il D.P.R. n. 70/1999 e la Legge n. 81/2017, hanno incentivato il lavoro da remoto per migliorare l’equilibrio vita-lavoro e ridurre l’impatto ambientale, soprattutto in seguito all’emergenza COVID-19. Parallelamente, il Regolamento AI Act, entrato in vigore nel 2024 con le prime disposizioni dal 2 febbraio 2025, adotta un approccio basato sul rischio, classificando i sistemi di AI – da quelli a rischio inaccettabile (vietati) a quelli ad alto rischio – e imponendo obblighi specifici, inclusi divieti (ad esempio, il riconoscimento biometrico remoto in spazi pubblici) e sanzioni fino a 35 milioni di euro o il 7% del fatturato globale.
Le scadenze previste per agosto 2025 e agosto 2026 rafforzano, inoltre, l’obbligo di alfabetizzazione sull’AI e il monitoraggio continuo, garantendo un’armonizzazione normativa in Europa e una maggiore fiducia nell’innovazione tecnologica, in linea con i diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE.
Le normative sullo Smart working e sull’AI mostrano un parallelo significativo nell’approccio europeo alla trasformazione digitale del lavoro, evidenziando una visione integrata che coniuga innovazione e tutela dei diritti. Entrambe le regolamentazioni, che spaziano dal Quadro Europeo sul Telelavoro (2002) e le successive norme italiane (Legge n. 191/1998, D.P.R. n. 70/1999, Legge n. 81/2017) al Regolamento AI Act entrato in vigore nel 2024, mirano a creare ambienti di lavoro più inclusivi, flessibili e sostenibili.
Da un lato, le misure per lo Smart working favoriscono la digitalizzazione e il benessere dei lavoratori, incentivando modalità di lavoro a basso impatto ambientale e garantendo diritti quali la disconnessione e la sicurezza; dall’altro, il Regolamento AI Act adotta un approccio basato sul rischio, classificando le applicazioni di AI e imponendo obblighi specifici – come la formazione sul tema e severe sanzioni per pratiche a rischio – per assicurare un uso etico e sicuro della tecnologia. In entrambi i casi, l’UE e gli Stati membri perseguono l’obiettivo di armonizzare le normative, ridurre le frammentazioni e creare un quadro normativo che possa sostenere l’innovazione, proteggendo allo stesso tempo i diritti fondamentali sanciti, ad esempio, dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
Il Regolamento AI Act, in particolare, non solo mira a garantire che i sistemi di AI vengano utilizzati in modo sicuro, ma anche a promuovere la fiducia del pubblico, evitando abusi e applicazioni non etiche.
A gennaio 2025, la Commissione UE ha rilasciato delle Linee guida interpretative sul Regolamento, che stabiliscono criteri specifici per determinare quali sistemi rientrano nell’ambito dell’AI Act, ponendo particolare attenzione ai rischi associati alla capacità di adattamento dei sistemi AI e alla loro autonomia.
A fine aprile 2025, è prevista l’introduzione di un Codice di Condotta per garantire la conformità dei sistemi di AI a questi nuovi requisiti.
Il 2 febbraio 2025 ha segnato una data fondamentale per l’AI Act, con l’entrata in vigore delle prime disposizioni del Regolamento. A partire da questa data le aziende e le organizzazioni che operano nel settore dell’AI devono rispettare due principali obblighi. Il primo riguarda il divieto di pratiche di AI a Rischio inaccettabile. Inoltre, sono vietate specifiche pratiche considerate ad Rischio alto, tra cui manipolazione subliminale, sfruttamento delle vulnerabilità di gruppi vulnerabili, sistemi di social scoring, riconoscimento biometrico remoto in tempo reale in spazi pubblici, e raccolta di dati biometrici non consensuali per creare banche dati di riconoscimento facciale. Chi viola questi divieti può incorrere in sanzioni fino a 35 milioni di euro o il 7% del fatturato globale, a seconda di quale somma sia maggiore.
L’altro punto cruciale riguarda l’obbligo di alfabetizzazione introdotto dall’articolo 4, che impone alle società e alle pubbliche amministrazioni di garantire che il proprio personale possieda una conoscenza adeguata sull’AI. Questo obbligo si applica anche ai soggetti che non operano nel settore tecnologico, ma che utilizzano comunque tecnologie di AI. La formazione del personale è il primo passo verso una corretta adozione dell’AI, consentendo ai dipendenti di comprendere le opportunità e i rischi legati a queste tecnologie. Inoltre, le organizzazioni devono dotarsi di linee guida interne per un uso responsabile dell’AI e informare i dipendenti sui potenziali impatti etici e legali derivanti dall’uso di queste tecnologie.
Le scadenze future per l’adozione graduale delle disposizioni dell’AI Act prevedono l’entrata in vigore delle norme sulla governance e gli obblighi per i modelli di AI di uso generale (Agosto 2025), in cui i destinatari devono documentare i test e lo sviluppo dei loro sistemi AI, seguire procedure standardizzate per garantirne la sicurezza durante tutto il ciclo di vita e effettuare valutazioni periodiche; l’entrata in vigore dell’applicazione completa dell’AI Act per tutti i sistemi di AI, compresi quelli ad alto rischio (Agosto 2026), con l’implicazione della necessità di condurre valutazioni di impatto e monitoraggi continui per identificare e ridurre i rischi associati all’uso dell’AI.
Queste disposizioni contribuiscono a regolamentare in modo sistematico e progressivo l’uso delle tecnologie di AI, cercando di bilanciare l’innovazione con la protezione dei diritti fondamentali e, al tempo stesso, promuovere la fiducia nei sistemi di AI in Europa.
Smart working e AI: rischi emergenti per la salute e sicurezza sul lavoro
Il tema della salute e sicurezza sul lavoro è sempre più influenzato dalla digitalizzazione, con l’introduzione di nuove tecnologie come le piattaforme di lavoro digitali per lo Smart working, l’AI, i Big Data, la Robotica collaborativa, l’Internet delle Cose (IoT), gli Algoritmi. Tali innovazioni offrono opportunità ma anche rischi per i lavoratori, in particolare quelli coinvolti in modalità di lavoro a distanza o in ambienti altamente digitalizzati.
L’Agenzia europea Occupational Safety and Health Administration (OSHA) ha evidenziato già da tempo i rischi emergenti legati all’ICT e alla digitalizzazione, sottolineando la necessità di nuove tutele per i lavoratori (14). L’OSHA ha condotto un progetto di ricerca previsionale per valutare gli impatti che le tecnologie ICT e la digitalizzazione stanno avendo sulla sicurezza e salute dei lavoratori. Il progetto ha preso in considerazione le sfide emergenti, prevedendo scenari fino al 2025, che riflettono come i cambiamenti nei luoghi di lavoro, in particolare nel contesto del mercato unico digitale dell’Unione Europea, possano influire su salute e sicurezza. L’adozione di Lavoro a distanza, ad esempio, sta cambiando la struttura tradizionale del posto di lavoro, spingendo verso forme più flessibili ma anche più vulnerabili dal punto di vista dei rischi per i lavoratori.
Uno degli aspetti rilevanti dello studio riguarda il rischio di stress psicosociale derivante dal Lavoro a distanza. Sebbene il lavoro a distanza offra vantaggi in termini di flessibilità, esso solleva preoccupazioni relative alla gestione dei lavoratori a distanza, alle difficoltà nel mantenere l’equilibrio tra vita privata e professionale e ai problemi di isolamento sociale.
Inoltre, l’automazione tramite l’uso di Robot collaborativi (Cobot) e l’introduzione dell’AI presenta anche rischi legati alla privacy, alla cyber-sicurezza e alla possibilità di dequalificazione professionale. Sebbene l’automazione migliori la sicurezza in alcuni settori, l’aumento della presenza dell’AI e Cobot potrebbe generare effetti negativi sulla salute mentale dei lavoratori, costretti a mantenere il passo con tecnologie avanzate.
Rischi derivanti dall’uso dell’IA sul lavoro
L’AI Act dedica una parte significativa della sua attenzione ai rischi derivanti dall’uso dell’IA sul lavoro, sebbene non tratti in modo esplicito e dettagliato tutti i possibili rischi, la sua struttura basata sul rischio pone particolare enfasi sulla protezione dei diritti fondamentali, tra cui la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, specialmente nelle categorie di applicazioni ad alto rischio. Ecco alcuni punti chiave in relazione al lavoro e alla protezione dei lavoratori:
- applicazioni ad alto rischio: come anticipato, i sistemi di AI utilizzati in settori come la selezione del personale, ma anche nella gestione della sicurezza sul lavoro, l’assistenza sanitaria e nel monitoraggio dei lavoratori sono classificati come Rischio alto. Questi sistemi devono rispettare rigorosi requisiti di trasparenza, valutazioni di conformità e monitoraggio umano. Per esempio, se l’AI viene utilizzata per monitorare la performance dei lavoratori o per prendere decisioni in merito alla loro salute e sicurezza, ci sono normative severe che ne limitano l’uso e impongono un monitoraggio continuo;
- trasparenza e informazione: l’AI Act obbliga le organizzazioni ad assicurarsi che i lavoratori siano informati su come vengono utilizzati i sistemi di IA che potrebbero influenzare il loro lavoro o la loro salute. Questo può includere l’uso di AI in ambiti di sorveglianza o per valutazioni delle prestazioni;
- rischi psicosociali e fisici: l’uso dell’AI sul lavoro può comportare rischi ad esempio nel caso di tecnologie utilizzate per il monitoraggio delle performance o in ambienti di lavoro ad alta intensità. L’AI Act, pur non entrando nei dettagli, garantisce che tali applicazioni vengano sottoposte a valutazioni di impatto e che venga garantita la sicurezza dei lavoratori;
- obbligo di valutazione dei rischi: i soggetti responsabili dell’uso di sistemi di Rischio alto devono valutare i rischi associati all’uso dell’AI, inclusi quelli che riguardano la salute e la sicurezza dei lavoratori. Queste valutazioni devono essere continuamente aggiornate, per garantire che i sistemi siano sempre conformi e non danneggino la salute dei lavoratori;
- misure di protezione: se i sistemi di AI vengono utilizzati per il monitoraggio e la valutazione dei lavoratori, l’AI Act prevede che siano adottate misure per mitigare i rischi e per proteggere la privacy e il benessere dei dipendenti. Inoltre, sono richieste misure per evitare discriminazioni e per garantire un uso etico e giusto dei dati.
In generale, pur non entrando nei dettagli specifici dei rischi derivanti dall’uso dell’AI nella salute e sicurezza dei lavoratori, il Regolamento stabilisce una struttura di governance che prevede il coinvolgimento delle organizzazioni nell’attuare misure per garantire la protezione della forza lavoro. Questo include l’adozione di programmi di formazione e di linee guida interne per l’uso responsabile dell’IA, facendo sì che i lavoratori siano sempre informati e protetti.
Prospettive dello smart working basato sull’AI
In prospettiva, lo Smart Working basato sull’AI potrebbe evolversi in un modello più personalizzato e adattivo. Gli algoritmi di Machine Learning potrebbero ottimizzare la distribuzione delle attività, suggerendo le fasce orarie più produttive per ciascun lavoratore, mentre strumenti di realtà virtuale e aumentata potrebbero permettere interazioni immersive tra colleghi, riducendo l’isolamento tipico del lavoro remoto. Inoltre, l’AI avrà un ruolo centrale nel reskilling e nell’upskilling dei lavoratori, fornendo percorsi formativi personalizzati in base alle competenze richieste dal mercato.
Tuttavia, questo scenario comporta anche sfide significative. Sarà necessario bilanciare il ruolo dell’AI per evitare una gestione eccessivamente algoritmica del lavoro e garantire che l’interazione umana rimanga un elemento imprescindibile nelle dinamiche aziendali. Inoltre, la regolamentazione dovrà evolversi per proteggere i lavoratori da rischi legati alla sorveglianza digitale e alla valutazione automatizzata delle performance. Se gestita con un approccio etico e strategico, l’integrazione tra Smart Working e AI non solo potrà migliorare la produttività e il benessere organizzativo, ma anche ridurre l’impatto ambientale e promuovere un modello di lavoro più sostenibile e inclusivo.
L’introduzione dell’AI comporta una trasformazione dei profili professionali e delle competenze richieste. Questo processo richiede una risposta tempestiva, sia in termini di strategie aziendali che di politiche attive del lavoro. Per garantire un futuro del lavoro equo, sicuro e sostenibile, è fondamentale adottare politiche che promuovano un equilibrio tra innovazione tecnologica e la protezione dei diritti dei lavoratori. La transizione verso un’economia digitale deve essere accompagnata da misure che incentivino l’inclusione sociale, riducano le disuguaglianze e favoriscano la formazione continua, affinché i lavoratori siano preparati ad affrontare le sfide derivanti dalle nuove tecnologie, in particolare dall’AI e dalla digitalizzazione.
La formazione 5.0 gioca un ruolo cruciale in questo contesto. È necessario sviluppare programmi formativi adatti a diverse categorie di lavoratori, che rispondano ai rapidi cambiamenti tecnologici e alle nuove competenze richieste. Le politiche formative devono essere inclusive, rivolgendosi tanto ai giovani, i più vulnerabili ai cambiamenti del mercato del lavoro, quanto ai lavoratori più esperti, che rischiano la dequalificazione professionale. Inoltre, è fondamentale che la formazione non si limiti alle competenze tecniche, ma comprenda anche competenze trasversali, come la capacità di adattamento e la gestione dello stress, che diventano sempre più rilevanti in un contesto di lavoro altamente digitalizzato e automatizzato.
Le figure professionali coinvolte nella formazione sono molteplici: dai lavoratori direttamente impattati dall’introduzione delle nuove tecnologie, ai manager e dirigenti chiamati a gestire i processi di innovazione e la sicurezza sul lavoro. Particolare attenzione va dedicata ai professionisti della salute e sicurezza, che dovranno acquisire nuove competenze per affrontare i rischi legati alle tecnologie emergenti, come quelli psicosociali derivanti dal lavoro remoto e dall’uso di tecnologie invasive. Inoltre, i professionisti della protezione dei dati e della sicurezza cibernetica devono essere adeguatamente formati per gestire le sfide relative alla privacy e alla sicurezza dei lavoratori.
Le politiche necessarie dovrebbero coprire vari ambiti. In primo luogo, è essenziale una regolamentazione chiara riguardo all’uso dell’AI e delle nuove tecnologie nei luoghi di lavoro, che garantisca non solo la sicurezza, ma anche il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori. L’Europa dovrebbe rafforzare gli strumenti per una transizione digitale equa, promuovendo l’innovazione senza compromettere la protezione sociale. Le politiche italiane, in particolare, dovrebbero incentivare le imprese a investire nella formazione continua e a promuovere modelli di lavoro inclusivi e sostenibili.
Infine, è cruciale un’azione coordinata tra le istituzioni europee, nazionali e locali, i sindacati, le associazioni dei datori di lavoro e le parti sociali, per costruire un ecosistema lavorativo che sfrutti le opportunità della digitalizzazione e dell’automazione senza escludere nessuno. Solo con un approccio inclusivo e multidisciplinare sarà possibile affrontare le sfide del futuro del lavoro e promuovere un’economia digitale veramente sostenibile, che tuteli i diritti di tutti i lavoratori.
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