Lo smart working ha vantaggi spesso sottovalutati dai professionisti che vi ricorrono. Non solo è in grado di massimizzare gli investimenti pregressi, ma perché risultato di un percorso di maturazione del modello organizzativo e di business dello studio professionale.
Di seguito analizziamo i vantaggi della sua adozione e i fattori che al contrario la rallentano.
Smart working: facciamo chiarezza
Erroneamente identificato con il lavoro in mobilità, che ne è parziale attuazione, lo smart working rappresenta sempre più un nuovo modo di lavorare, di gestire le relazioni, di organizzare lo studio, proiettandolo anche in un ambito sociale.
Se il ‘salto’ da compiere non fosse soprattutto di natura culturale, lo smart working avrebbe tassi di diffusione molto più elevati. La sua piena applicazione impatta, infatti, significativamente sull’efficacia lavorativa, sulla produttività e sul grado di autonomia del personale.
‘Smaterializzare’ gli individui, consentendo loro di lavorare ovunque e a qualsiasi ora, individuare spazi e strumenti, anche all’interno dello studio, adeguati alle situazioni – riunioni, brainstorming con i colleghi, necessità di isolarsi per essere più concentrati – significa rivedere alcuni paradigmi tradizionali del concetto di lavoro e del luogo in cui esercitarlo, condividere con il personale le esigenze di conciliazione tra famiglia e professione, alimentando un dialogo non più tra datore di lavoro e dipendente/collaboratore ma tra soggetti che, nel rispetto dei rispettivi ruoli, sono consapevoli di partecipare al raggiungimento di obiettivi comuni. La fiducia tra le parti diventa, quindi, un mattone importante con cui realizzare una nuova idea di studio.
Le 3 prospettive dello smart working
Sono tre le prospettive con cui guardare lo smart working: culturale, digitale, collaborativa. Esaminiamole singolarmente.
Prospettiva culturale – Avviare un progetto di smart working all’interno di uno studio professionale significa aver maturato un’idea di organizzazione diffusa, in cui l’esecuzione del lavoro non necessariamente si esprime in un unico luogo. La relazione con i clienti, attraverso l’attività in mobilità, permette allo studio di rapportarsi con il cliente con nuove modalità di erogazione del servizio: non più faldoni pieni di documenti cartacei durante le visite al cliente, ma dispositivi tecnologici – tablet, PC – per illustrare le informazioni, condivisibili magari anche attraverso il portale dello studio.
L’area culturale – E’ quella che esprime la crescente consapevolezza da parte dello studio – professionisti, collaboratori, dipendenti – in merito alla capacità delle tecnologie di generare valore. Questa non è l’area del saper usare la tecnologia, ma quella del comprendere a cosa serva la tecnologia, calata all’interno della visione elaborata per lo studio.
Il personale, invece, diventa protagonista di un cambiamento nell’esecuzione del lavoro. Si parla davvero di empowerment personale e organizzativo: obiettivi da raggiungere, indicatori di prestazione, verifiche periodiche, sistema premiante. L’intero studio si muove lungo nuovi assi di sviluppo.
Prospettiva tecnologica – Il cloud è la vera tecnologia abilitante per dare sostanza all’idea di smart working, sia all’interno dello studio sia all’esterno, coinvolgendo anche la clientela. Il cloud diventa un fattore di integrazione di servizio e di processi lavorativi. Il cloud consente di realizzare operativamente il disegno strategico basato su un modello organizzativo e di business fondato sulla collaborazione. Gli applicativi più idonei sono quelli che permettono di realizzare, per esempio, interazioni in tempo reale e svincolate dagli orari di ufficio e dai luoghi, tracciabilità delle consultazioni/modifiche effettuate ai documenti… attraverso un nuovo modello di studio e di servizio.
Prospettiva collaborativa – E’un pilastro per avviare progetti di cambiamento e di smart working. Fare smart working e gestire il lavoro in mobilità significa voler realizzare un’idea collaborativa, in cui la relazione non è più di fornitura nei confronti del cliente – inteso nella sua accezione più completa di cliente interno (allo studio) e di cliente esterno (sul mercato) – ma di collaborazione nella costruzione e fruizione dell’output generato. La collaborazione si spinge oltre, quando il modello diventa una leva di gestione del personale, delle sue aspettative e degli equilibri tra vita lavorativa e professionale.
Il lavoro in mobilità negli studi
Vediamo qualche dettaglio sul lavoro in mobilità che, comunque, rappresenta un’azione di livello culturale evoluto e una tessera importante per qualsiasi progetto di smart working. Gli studi multidisciplinari dimostrano una maggior propensione (Fig. 1) al lavoro in mobilità (collegamento dall’esterno al gestionale di studio) tra dipendenti e professionisti rispetto ai colleghi monodisciplinari.
L’elevato livello culturale dei multidisciplinari è ulteriormente avvalorato dal dato, fermo al 12%, che fotografa disinteresse per questa progettualità, fermo al 12%, pari alla metà del valore registrato nelle altre tipologie di studio. Avvocati sugli scudi, invece, per l’adozione presso i professionisti, grazie anche alla specificità professionale (presenze in tribunale), che incoraggia naturalmente il lavoro in mobilità. Avvocati fanalino di coda, invece, rispetto ai dipendenti: fare smart working in questo caso non è una prassi diffusa, anzi.
Le differenze, in sintesi, risiedono: nelle tipicità operative (avvocati maggiori utilizzatori), nel grado di cultura più o meno orientata alle tre prospettive sopra esaminate (avvocati meno disposti al lavoro di squadra con i dipendenti, studi multidisciplinari meno restii all’adozione futura), negli aspetti organizzativi (gli studi multidisciplinari, proprio per la trasversalità delle attività svolte, frutto anche di aggregazioni intervenute in periodi successivi, sono più portati ‘geneticamente’ all’integrazione e alla collaborazione, pima all’interno della struttura poi anche all’esterno con la clientela).
Smart working, un lento decollo
Alla domanda “Nello studio ci sono dipendenti che lavorano regolarmente da casa?” tutti gli studi, indistintamente, tendono ad appiattirsi sulle medesime basse percentuali (Fig. 2). Anche gli studi multidisciplinari crollano, rispetto a quanto di positivo visto per il lavoro in mobilità. È evidente che il salto culturale si è interrotto quando gli schemi più consolidati sono messi in discussione.
Quali situazioni troviamo, invece, presso l’esigua minoranza di studi (4%-6%), che hanno attivato questa espressione dello smart working? Le principali aree di miglioramento segnalate dagli studi professionali riguardano, nell’ordine (Fig. 3), l’efficacia lavorativa (34%), la produttività (33%) e il livello di autonomia (29%).
Visto che i peggioramenti registrati su questi temi raggiungono al massimo l’1% dei casi, significa che attraverso lo smart working cresce la responsabilizzazione delle persone e anche la loro capacità di raggiungere gli obiettivi assegnati con livelli di efficienza superiori.
In termini generali è lecito affermare che lo smart working genera di gran lunga più benefici che danni nelle diverse declinazioni dell’efficienza, dell’efficacia, della collaborazione e dell’utilizzo della tecnologia. Unica eccezione le distrazioni extra lavoro (15% vs 2%). Tuttavia, le ampie positività già sottolineate più che compensano questo unico elemento negativo.
Rapporto fiduciario chiave di volta
Dal lavoro in mobilità allo smart working il passo può apparire breve ma non sempre è così. Se il primo rappresenta una tappa evolutiva di un sistema organizzativo che propone, attraverso la digitalizzazione, una modalità di lavoro con confini fisici e temporali più laschi, con riflessi anche sulle modalità di erogazione del servizio alla clientela, il secondo è una modalità gestionale più ampia, che contiene anche la prima, ma che riguarda il ridisegno delle modalità lavorative, degli spazi fisici e della responsabilizzazione dell’intera organizzazione, toccando anche la sfera di natura sociale.
I paradigmi su cui si fonda lo smart working sono diversi da quelli tipici dei sistemi tradizionali, perché si recupera la centralità degli individui e dei valori tipici dell’organizzazione, utilizzando la tecnologia come strumento abilitante una nuova concezione di lavoro e di motivazione al lavoro. I livelli di coesione e coinvolgimento del personale tendono a crescere perché la relazione dipendente-datore di lavoro evolve verso una collaborazione più spinta, in cui i reciproci obiettivi trovano un maggiore equilibrio, indirizzandosi verso una relazione win-win.
Il rapporto fiduciario, da entrambe le parti, è ancora più elevato. Da un lato, il datore di lavoro consente lo svolgimento delle attività e il conseguente utilizzo di informazioni e documenti al di fuori dello studio, dall’altro, chi usufruisce di questa possibilità, sa di poter conciliare le esigenze personali con quelle professionali, dovendo garantire prestazioni inalterate rispetto a prima. Sono caratteristiche importanti, che necessitano, però, di regole e meccanismi di controllo, di valutazione e di ricompensa, per salvaguardare la sicurezza, la privacy, la qualità del servizio erogato dallo studio in tutte le sue declinazioni (puntualità e affidabilità in primis).
Non è però un caso che proprio in termini di efficacia, produttività e autonomia lo smart working produca, a detta degli studi che lo applicano compiutamente, i benefici più importanti.
Uno studio più “leggero”
Smart working non significa, però, ‘dimenticare’ fisicamente una persona. Tra i meccanismi di integrazione – utili a mantenere il senso di appartenenza e la collegialità – vale la pena evidenziare le riunioni periodiche o alcuni momenti formativi congiunti, che diventano un valido strumento per non alterare gli equilibri della squadra.
Dallo smart working possono derivare nuove concezioni di studio, più leggero in termini di infrastrutture fisiche (gli spazi) o tecnologiche (cloud based). Esaminato con un’ottica grandangolare, lo smart working produce benefici che si riverberano anche sulla mobilità e sulla gestione del tempo libero: meno tempo trascorso nei trasferimenti e, quindi, meno inquinamento, ma anche maggiore tempestività nella fruizione del proprio tempo libero, proprio perché già al netto dei viaggi casa-studio-casa.
Una prassi adatta, allora, a chiunque? Potenzialmente sì, anche se i presupposti fiduciari e di visione per un concetto nuovo di organizzazione sono i pilastri fondamentali su cui costruire una nuova idea di studio. La ‘dematerializzazione’ del lavoratore, così come per i documenti, non da tutti viene immediatamente accettata. L’abitudine alla vista della persona in un posto fisico adibito ad ospitarla, non è così facilmente superabile, esattamente come quando si parla di documenti e cloud. La ‘sparizione’ dell’oggetto – il server, il documento di carta – ci fa perdere alcune certezze, esattamente come accade quando ‘perdiamo’ il controllo visivo immediato sulla persona. Non a caso il grado di diffusione dello smart working scende significativamente rispetto al lavoro in mobilità, anche presso quelle strutture che si sono dimostrate più attente a introdurre l’innovazione per modificare i modelli organizzativi e di business.