lavoro agile

Smart working, servono nuove norme per abbattere vecchi retaggi

In Italia resistono modelli lavorativi nati in era analogica: la presenza fisica in ufficio è avvertita come un elemento fondamentale nello svolgimento dell’attività. Per l’affermazione dello smart working servono pertanto una nuova cultura manageriale e una normativa giuslavoristica al passo coi tempi. L’esempio delle tlc

Pubblicato il 26 Feb 2019

Laura Di Raimondo

direttore Asstel

smart-working

La filiera delle telecomunicazioni è all’avanguardia nell’implementazione dello smart working, i cui vantaggi sono stati sperimentati con successo nel corso dell’ultimo decennio. Ma affinché il lavoro agile possa diffondersi su larga scala occorre un cambio di mentalità – in Italia c’è un retaggio “analogico” difficile da scalfire – e una normativa giuslavoristica adeguata ai tempi.

Prima di entrare nello specifico dell’esperienza maturata nel settore delle tlc, proviamo quindi a capire quali sono i motivi principali che rendono lo smart working una formula contrattuale attrattiva che sta prendendo sempre più piede sia a livello europeo che italiano.

Cos’è lo smart working

Lo smart working è uno strumento che, sfruttando le nuove tecnologie, punta a ripensare e superare i vecchi modelli organizzativi, avvicinandoli ai contesti internazionali e adattandoli alle esigenze di aziende e lavoratori.

Il “lavoro agile” è prima di tutto un nuovo approccio manageriale che inaugura un nuovo patto tra datore di lavoro e collaboratori basato sulla chiarezza e su una maggiore responsabilizzazione di entrambi. I principi di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti garantiscono benefici che vanno a vantaggio sia delle aziende, in virtù di una gestione più efficiente delle attività e dei costi, sia dei lavoratori in termini di miglioramento del work-life balance e hanno un effetto positivo sulla sostenibilità ambientale delle nostre città.

Una tendenza che riflette la progressiva smaterializzazione del workplace a vantaggio di soluzioni sempre più in condivisione: infatti, la sharing economy ha ormai abilitato il co-working come centro strategico di network creativi e professionali molto efficaci.

Inoltre, questa modalità di lavoro, che assicura la libertà di scegliere il luogo in cui lavorare e gli strumenti con cui si ha più familiarità – “anywhere, anytime” and “on your own device” – è la principale chiave di attrattività per le aziende nei confronti dei giovani, che hanno fatto propri questi concetti nel modo di studiare, di lavorare e di organizzare la propria vita.

Una sfida culturale

La vera sfida, però, sta nell’abbattere il vecchio retaggio culturale italiano. Qui da noi la presenza fisica in ufficio è avvertita ancora come un elemento fondamentale nello svolgimento dell’attività lavorativa, colpa di modelli lavorativi nati e cresciuti in una cultura del lavoro analogica.

Mettere il lavoratore al centro dell’organizzazione, offrendogli una maggiore flessibilità e un migliore equilibrio vita-lavoro, porta a uno scenario di tipo win-win a cui non possiamo più rinunciare, avendo la consapevolezza che l’attivazione di questi processi richiede un grande investimento in formazione, anche delle strutture di management, perché cambia il modello di relazione gerarchico nell’organizzazione aziendale.

Lo smart working e il tema della leadership

Lo smart working richiede, infatti, un nuovo tipo di leadership. I responsabili devono essere interconnessi e sempre online, devono avere capacità di definizione e valutazione delle proprie risorse su obiettivi condivisi, devono saper elaborare strategie di gruppo, incontrare le esigenze dei propri collaboratori e stabilire canali definiti di comunicazione interna. Allo stesso modo diventa fondamentale la responsabilizzazione del lavoratore nel gestire la giornata lavorativa, nel raggiungimento degli obiettivi e nel relazionarsi con capo e colleghi.

Per queste ragioni, ma non solo, lo smart working rappresenta una delle sfide del momento anche per le relazioni industriali e la contrattazione collettiva, per consolidare un modello nuovo che gioca d’anticipo, pronto a confrontarsi con l’innovazione e contemperando allo stesso tempo le esigenze dei lavoratori e quelle aziendali.

Lo smart working nella filiera tlc

In Italia c’è chi prova a stimolare questo genere di evoluzione. Un esempio è sicuramente l’industria delle telecomunicazioni, che è stata all’avanguardia nell’implementazione dello smart working e che ha visto una crescita significativa e costante delle esperienze negli ultimi anni.

La filiera tlc ha avviato, nell’ultimo decennio, numerose sperimentazioni di successo. Nell’ultimo quinquennio gli esperimenti di lavoro agile nelle aziende associate di Asstel – Associazione che rappresenta le Telecomunicazioni nel Sistema Confindustria – hanno registrato una crescita sia della quota di lavoratori coinvolti (che in alcune imprese interessano ad oggi ben il 70% circa), sia dei tassi di adesione da parte dei lavoratori (che in alcuni casi hanno superato quota 80%), sia del numero di giorni mensili lavorati in regime di smart working (in media 2-3 gg/mese).

Dai risultati è emerso un giudizio fortemente positivo nei confronti delle modalità previste dal lavoro agile, sia da parte dei dipendenti che dei responsabili aziendali.

I primi hanno manifestato una grande maturità nei confronti del lavoro a distanza, evidenziando buone capacità di gestione degli strumenti digitali per svolgere il proprio lavoro in autonomia.

I secondi hanno espresso un parere generalmente favorevole nei confronti dell’organizzazione del lavoro da remoto, riscontrando un effetto positivo sulla produttività dei collaboratori. Parliamo di passi incoraggianti, lungo un percorso sempre più consolidato, tanto che la filiera tlc può essere, già oggi ma sicuramente in futuro, un riferimento importante sul tema dello smart working.

La condizione necessaria per il successo del lavoro agile è, però, che ognuno faccia la propria parte: è importante che la normativa giuslavoristica tenga il passo di una società che evolve rapidamente, è necessario il cambio di mentalità tra le fila delle classi manageriali a cui si è accennato, è indispensabile accogliere la spinta della trasformazione digitale sostenendola a tutti i livelli. Un fronte che vede il decisore pubblico chiamato a svolgere un ruolo centrale per colmare il ritardo del nostro sistema-paese a livello europeo, e che non può assolutamente prescindere da un confronto e una collaborazione continua tra tutti i protagonisti del tessuto produttivo del Paese.

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