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Smart working: strategie per evitare il burnout e trattenere i lavoratori



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Il lavoro digitale ridefinisce l’esperienza professionale, introducendo flessibilità e autonomia. Emergono però criticità come stress, isolamento e difficoltà di bilanciamento tra vita personale e lavorativa

Pubblicato il 3 dic 2024

Luca Furfaro

esperto di welfare e lavoro



smart working e rischio burnout (1)

La digitalizzazione sta ridefinendo il lavoro, favorendo flessibilità e remotizzazione, ma generando anche nuovi rischi. La “porosità del tempo” rende difficile separare vita personale e professionale, e il lavoro da remoto può aumentare il burnout, spingendo i lavoratori al “presenzialismo digitale” per dimostrare produttività.

Dall’altro lato, settori non remotizzabili come la ristorazione o la manifattura faticano ad attrarre talenti, soprattutto giovani, attratti dalla flessibilità digitale.

Gli scenari aperto dal lavoro digitale

Partiamo da un dato. Digitalizzazione e IA stanno ridefinendo il lavoro, i lavoratori impegnati in attività digitali possono sfruttare appieno meccanismi di remotizzazione del lavoro e di divisione dell’attività lavorativa personalizzata.

Lavorare dove si vuole e quando si vuole.

Questo ci pone, a livello non individualistico, di fronte a diversi scenari.

Porosità del tempo e rischio burnout

Da una parte con la diffusione del lavoro remoto, la distinzione tra tempo lavorativo e tempo personale è diventata più “porosa”. Lavorare da casa o in ambienti diversi dall’ufficio introduce la quasi impossibilità di distinguere nettamente il tempo libero da quello lavorativo. Il lavoro agile ha permesso a molte persone di gestire gli impegni in modo più autonomo e ha reso il tempo lavorativo meno legato a luoghi specifici e rigidi orari ma ha anche evidenziato la necessità di autodisciplinarsi verso la gestione del tempo.

Il rischio di burnout per i lavoratori da remoto è in aumento, nonostante i benefici di flessibilità e autonomia, un utilizzo non corretto delle diverse forme di lavoro da remoto possono fare emergere problematiche latenti. Diversi studi e osservazioni dimostrano che il lavoro da remoto, se non gestito adeguatamente, può esporre i lavoratori a un maggiore stress mentale ed emotivo.

Molti lavoratori, in questo contesto a distanza, sentono la pressione di dimostrare la loro produttività per contrastare il pregiudizio basato su una mancanza di fiducia da parte dei manager. Il “presenzialismo digitale”, può portare a rispondere alle email e a essere attivi sulle piattaforme di lavoro anche oltre l’orario ufficiale, alimentando lo stress e limitando i tempi di recupero.

Lavoro da remoto e partecipazione alla missione aziendale

L’isolamento e la riduzione delle interazioni sociali in ufficio, che spesso contribuiscono a creare un ambiente di supporto emotivo e a favorire pause naturali durante la giornata possono portare a senso di solitudine e a depersonalizzare l’attività lavorativa. Lavorando isolati potremmo lavorare per chiunque, senza provare senso d’appartenenza, empatia e partecipazione verso la missione aziendale.

Buone pratiche per sfruttare gli effetti positivi del lavoro da remoto

Esistono ovviamente una serie di buone pratiche da mettere in campo per diminuire questi rischi e anzi sfruttare gli effetti positivi del lavoro da remoto:

  • Confini chiari tra lavoro e tempo libero.
  • Pause reali con disconnessione dai device.
  • Dosare le videoconferenze e aumentare il contatto anche di tipo sociale.

Flessibilità e attrattività del lavoro

Sono diversi gli studi e le ricerche recenti indicano che la mancanza di opzioni di lavoro da remoto può rendere alcune attività meno attrattive per i lavoratori. Questo ovviamente riguarda quei contesti, come quello nazionale dove lavoro da remoto è ormai visto come uno standard di flessibilità e benessere.

A livello individuale, la scelta tra flessibilità, remotizzazione e settimana corta rispetto a turni rigidi e sfiancanti può sembrare scontata.

Uno studio condotto da McKinsey nel 2022 ha determinato la flessibilità come uno dei principali fattori che influenzano la scelta di un lavoro, soprattutto per le generazioni più giovani. Alcuni settori però, come il retail, la sanità, la logistica e la manifattura, richiedono la presenza fisica dei lavoratori e per tale motivo hanno riscontrato maggiori difficoltà nell’attrarre nuovi talenti rispetto a settori che offrono lavoro da remoto. Il rapporto della Harvard Business Review ha evidenziato che il numero di candidati per posizioni non remotizzabili è significativamente diminuito.

Tale propensione si è tradotta anche in un turnover più elevato, con, secondo i dati FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), circa il 70% delle imprese impegnate nella ristorazione con difficoltà a trovare personale. Tale situazione può essere collegata a condizioni di lavoro impegnative, tra cui turni serali, lavoro nei weekend e festività, retribuzioni non sempre competitive e una generale mancanza di stabilità nei contratti. Inoltre, settori tradizionali, ancora non modernizzati, offrono scarsi e destrutturati piani di carriera potendo offrire ai giovani scarse prospettive di miglioramento.

Strategie per trattenere i talenti nelle aziende non remotizzabili

Le aziende non remotizzabili devono quindi trovare nuove strategie e nuove leve per attrarre e trattenere talenti, come:

  • Benefit e welfare
  • Maggiore empatia, supporto e partecipazione alla cultura aziendale.
  • Prospettive di crescita
  • Retribuzioni adeguate.

L’aumento senza freni del personale alla ricerca di occupazione nel digitale potrà portare ad un progressivo livellamento retributivo in quel settore.

La sfida riguarda sicuramente le aziende rientranti nei settori non remotizzabili, ma anche le politiche nazionali che devono salvaguardare anche l’importanza delle attività con la necessità di presenza.

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