A meno di otto anni, già social baby star: il fenomeno ha esempi eclatanti su YouTube ma è presente anche su Instagram e TikTok. I bambini fino a 13 anni non potrebbero nemmeno avere un profilo social, ma da YouTube a Instagram ne esistono a centinaia. Per quanto possa essere pericolosa questa tendenza, tanti genitori si sono accorti che uno dei temi che più piace agli utenti è quello inerente i propri figli e così si sono trasformati in manager impegnati a massimizzare i profitti delle social baby star tramite video che ricevono milioni di visualizzazioni.
Con la diffusione dei social network e il loro successo planetario sempre più investimenti pubblicitari passano per le piattaforme digitali. Eravamo abituati al fenomeno degli influencer che incarnano il marketing online, un po’ meno ai baby-influencer e alle social baby star.
Baby YouTubers, tra opportunità e sfruttamento economico: zone grigie e domande da porsi
Social baby star: chi sono e perché guadagnano
Ryan Kaji, oggi il più ricco di YouTube, è un bambino texano di 9 anni con 27 milioni di follower, 12 miliardi di visualizzazioni e un fatturato di 29,5 milioni di dollari. Ryan ha avuto i suoi problemi con la Truth in Advertising e con la Federal Trade Commission, per dei video sponsorizzati non dichiarati come pubblicitari.
Anastasia Radzinskaya, che di anni ne ha 6, è nata in Russia con paralisi cerebrale: i suoi medici temevano che non sarebbe mai stata in grado di parlare. Per documentare il suo sviluppo attraverso i trattamenti, i genitori hanno cominciato a pubblicare video di lei su YouTube, e presto i follower sono aumentati in tutto il mondo. Grazie anche ai video in sette lingue, il suo fatturato, nel 2019, ha raggiunto i 18 milioni di dollari.
Boram, 6 anni della Corea, ha 31 milioni di follower e, all’inizio del 2019, ha comprato un grattacielo da otto milioni di dollari nell’esclusivo quartiere di Gangnam a Seul.
Questi bambini si sono fatti conoscere grazie al loro canale che ha raggiunto miliardi di visualizzazioni: chi riesce a raccoglierne il maggior numero, è in grado anche di raggiungere un elevato livello di profitti. Di fatto, qualsiasi cosa veda un bambino come protagonista, attira visualizzazioni, e di conseguenza guadagni. Secondo uno studio del “Pew Research Center” i video con bambini, in media, raccolgono tre volte più visualizzazioni rispetto ad altri tipi di video. Il contenuto dei filmati punta a un target giovanissimo: c’è chi gioca al parco, chi si veste da grande, chi scarta i regali, chi inventa le peggiori smorfie per non mangiare, chi recensisce giocattoli e si esibisce in balletti e sketch divertenti, chi pubblica video formativi per ragazzi.
In generale, non appena gli/le influencer raggiungono un certo livello di riconoscimento, diventano interessanti per l’industria pubblicitaria: in pratica diventano una pagina pubblicitaria vivente.
Il meccanismo della pubblicità non cambia, solo che i bambini sono ancora più interessanti per il marketing e il mondo digitale: fanno gola perché influenzano le decisioni di acquisto di tutta la famiglia. D’altro canto, nonostante YouTube sia stato accusato di aver violato le regole del “Children’s Online Privacy Protection Act”, è il contenitore privilegiato di ciò che amano vedere bimbi e adolescenti. Ecco perché Google lo ha comprato: ha capito che siamo di fronte a un fenomeno significativo.
Oltre alle considerazioni generali, per cui anche in televisione e sui giornali ci sono bambini che vengono utilizzati dalla pubblicità, va detto che nel caso della rete il fenomeno è molto meno regolamentato rispetto ai media più tradizionali.
Quali sono i rischi per i baby influencer e i baby utenti
I rischi sono indubbi. Le social baby star sono a volte spinte a mettere da parte le attività proprie della loro età, dalla scuola alle amicizie, guadagnano cifre da capogiro senza comprendere totalmente il valore del denaro: il denaro è un tema gestito dai genitori, la famiglia si trasforma in una agenzia con il pericolo che il ruolo di educatori lasci il passo alle attività di gestione d’impresa.
Come abbiamo sin qui sostenuto, gli utenti della rete sono sempre più attratti dalle immagini che ritraggono il mondo dei bambini. Ma quest’ultimi sono consapevoli di ciò che accade?
C’è da interrogarsi sia sui bambini che sono protagonisti nei social sia sui piccoli utenti che li seguono.
In che modo interagisce un video di YouTube sullo sviluppo mentale ed emotivo di un bambino? Lo psicologo Jean Piaget ci ricorda che la mente del bambino per sua natura è ancora informe, non razionale, non sensibile alla contraddizione o alla assurdità logica: è una mente in divenire, dove una struttura più semplice si viene sviluppando e trasformando in una mente più complessa. Durante la fase del pensiero preoperatorio, all’incirca dai due ai sette anni i bambini percepiscono un prodotto, solo per come appare, credono che eventi e personaggi immaginari possano essere reali. Babbo Natale che arriva con la slitta piena di doni per i bambini è reale a questa età.
Ai bambini piccoli piace guardare la stessa cosa più e più volte, quindi guardano ripetutamente un video per riuscire a capire ed assimilare bene. La rete consente la reiterazione: così, ogni video viene visto dai bambini molte volte e ciò ha un forte impatto sull’incremento del numero di visualizzazioni.
Lo sviluppo cognitivo immaturo limita la capacità dei bambini, con età inferiore agli 8 anni, di cogliere l’intento persuasivo di contenuti pubblicitari. Solo tra gli 8 e gli 11 anni i bambini cominciano ad avere un approccio più realistico e a cogliere che l’intento dei messaggi pubblicitari è quello di vendere.
Insomma i dispositivi digitali esistono e sono estremamente affascinanti per i bambini. Tocca ai genitori occuparsi di mettere in sicurezza la vita online dei propri figli. Il massmediologo Paolo Ferri, docente di teorie e tecniche dei nuovi media all’Università Bicocca di Milano e direttore dell’Osservatorio “Nuovi Media” dello stesso ateneo, suggerisce di non lasciare soli i bambini nella cameretta di fronte a YouTube ma che i genitori stiano con loro e discutano di quanto viene visto. Utile inserire il parental control e soprattutto occorre che l’utilizzo di questi media entri a far parte del lessico familiare. Di fatto è necessario educare i bambini a un uso non banale di cellulari e tablet. Come si insegna ai ragazzi a non passare con il rosso, così è indispensabile indirizzarli a un corretto impiego di strumenti che marcano con forza la loro vita.
I media digitali sono onnipresenti nel mondo di oggi, anche per i piccoli. I bambini percepiscono il modo in cui gli adulti usano Internet per comunicare, informarsi e intrattenersi con i media digitali. Al contempo essi stessi consumano già contenuti online, sia nel tempo libero, sia per la scuola. Per questo i genitori si pongono molte domande sull’utilizzo dei media. Una cosa è certa: per imparare a utilizzare i media digitali in modo sicuro e responsabile, i bambini hanno bisogno di accompagnamento e sostegno, ma anche della possibilità di fare le proprie esperienze e di mettersi alla prova in un ambiente protetto.
Siamo immersi nel mondo delle tecnologie, l’importante è capire come non subirle, parlare con i figli dei meccanismi che sono utilizzati nella pubblicità e nell’autopromozione, sapere quali influencer seguono. Chiedersi insieme a loro se un prodotto è veramente bellissimo e indispensabile, controllare se è solo un messaggio pubblicitario. Insegnare loro a guardare dietro le quinte per vedere quanto sia faticoso vivere da influencer rinunciando alla vita sociale.
Mantenere i piedi per terra, spiegare che questa visibilità non è infinita perché si cambia sia fisicamente, sia caratterialmente. Mantenere i piedi per terra li aiuta ad attutire quella caduta, che tanto prima o poi arriverà.
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Bibliografia
Sandra L. Calvert, “Children as Consumers: Advertising and Marketing”
Guido Petter, “Lo sviluppo mentale nelle ricerche di Jean Piaget”, ed. Giunti Barbèra, 1961