È sempre vivo e suscita il massimo interesse il dibattito sull’uso delle nuove tecnologie e dei social da parte dei minori, e sui suoi effetti. Tra questi, siamo oramai abituati a considerare solo quelli negativi, e le ragioni che ci spingono a questo atteggiamento sono dettate da diversi studi venuti fuori soprattutto negli ultimi anni, in particolare con l’esplosione del tempo trascorso on line durante la fase più acuta della pandemia. Ma non saremmo onesti, e deontologicamente scorretti, se non dessimo conto di posizioni diverse.
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Tecnologie digitali e benessere degli adolescenti: gli studi
Ad esempio, quella che origina da uno studio del 2019 dei dottori Orben e Przybylski, del Dipartimento di psicologia sperimentale dell’Università di Oxford, dal titolo “L’associazione tra il benessere degli adolescenti e l’uso della tecnologia digitale”.
Secondo Orben e Przybylski, “Le attuali prove empiriche a sostegno (dell’idea che l’uso della tecnologia digitale provochi danni ai minori) si basano in gran parte su analisi secondarie di set di dati sociali su larga scala. Sebbene questi set di dati forniscano una risorsa preziosa per indagini altamente potenti, le loro numerose variabili e osservazioni sono spesso esplorate con una flessibilità analitica che contrassegna i piccoli effetti come statisticamente significativi, portando così a potenziali falsi positivi e risultati contrastanti”.
Nel loro lavoro, essi hanno utilizzato tre set di dati sociali su larga scala per esaminare l’evidenza correlazionale degli effetti della tecnologia digitale sugli adolescenti. “L’associazione che troviamo tra l’uso della tecnologia digitale e il benessere degli adolescenti, scrivono Orben e Przybylski, è negativa ma piccola, spiegando al massimo lo 0,4% della variazione del benessere”.
Il nuovo studio britannico
A distanza di tre anni, i due studiosi e un loro collega si sono cimentati in un nuovo lavoro: Orben, A., Przybylski, AK, Blakemore, SJ., Finestre di sensibilità evolutiva ai social media. L’intento era quello di scendere a un livello di analisi più puntuale – considerando che “La relazione tra l’uso dei social media e la soddisfazione di vita cambia durante lo sviluppo adolescenziale” – prendendo in considerazione due set di dati del Regno Unito comprendenti 84.011 partecipanti (10-80 anni).
Come cambia la “soddisfazione per la vita” in base all’età
Ne viene fuori che “la relazione trasversale tra le stime auto-riferite sull’uso dei social media e le valutazioni della soddisfazione di vita è più negativa negli adolescenti più giovani. Queste finestre si verificano a diverse età per maschi (14–15 e 19 anni) e femmine (11–13 e 19 anni)”.
I ricercatori hanno identificato due distinti periodi di adolescenza in cui l’uso massiccio dei social media ha stimolato valutazioni più basse di “soddisfazione per la vita”: prima intorno alla pubertà – dagli 11 ai 13 anni per le ragazze e 14 anni a 15 per i ragazzi – e poi di nuovo per entrambi i sessi intorno ai 19 anni. Anche questo studio ha rilevato come la correlazione tra l’utilizzo dei social media e il benessere di un adolescente sia piuttosto debole, ma con differenze sostanziali determinate dall’età e, per la fascia dei più piccoli, dal sesso: in sostanza, ci sono alcuni periodi di sviluppo in cui gli adolescenti potrebbero essere più sensibili alla tecnologia. “I legami tra social media e benessere sono differenti nelle diverse età, ha affermato Amy Orben, una delle ricercatrici.
Uso dello smartphone e tassi di depressione, ansia e suicidio
Guardando agli Stati Uniti, nove adolescenti americani su 10 hanno uno smartphone e trascorrono molto tempo guardando video, giocando e comunicando attraverso i social media. Nell’ultimo decennio, le ore di utilizzo giornaliero sono cresciute costantemente, accelerando dopo il 2012 con l’avvento dello smartphone. Nel 2017, un alunno di 17-18 anni ha trascorso più di 6 ore al giorno di tempo libero in sole tre attività sui media digitali (internet, social media e sms). Nel 2018, il 95% degli adolescenti degli Stati Uniti aveva accesso a uno smartphone e il 45% ha dichiarato di essere online “quasi costantemente”. Poiché l’uso dei social media tra gli adolescenti è esploso negli ultimi due decenni, in parallelo coi tassi di depressione, ansia e suicidio, gli scienziati hanno cominciato a domandarsi se tra i fenomeni ci potesse essere una correlazione. Secondo alcuni, i social media possono avere un effetto indiretto sulla felicità in quanto sostitutivi di altre esperienze: interazioni di persona, esercizio fisico, sonno. Tutte attività cruciali per la salute mentale e fisica. In particolare, i ricercatori della Scuola di Psicologia dell’Università di Glasgow – Holly Scott, Stefania M Biello, Heather Cleland Woods – hanno pubblicato, nel 2019, uno studio sull’uso dei social media e i modelli di sonno degli adolescenti. Da esso si evincono “associazioni statisticamente e praticamente significative tra l’uso dei social media e i modelli di sonno, in particolare l’inizio del sonno tardivo. L’educazione al sonno e gli interventi possono concentrarsi sul sostegno ai giovani per bilanciare le interazioni online con un programma di sonno appropriato che consenta loro di dormire a sufficienza durante le notti nel periodo scolastico”.
Tornando al recentissimo lavoro di Orben, Przybylski e Blakemore, “Finestre di sensibilità evolutiva ai social media”, ad avviso di Jeff Hancock, psicologo comportamentale della Stanford University, la particolarità di questo studio è data dalla sua portata. “Sono stati seguiti nel tempo 17.000 adolescenti di età compresa tra 10 e 21 anni, mostrando come il loro consumo sui social media e le valutazioni sulla soddisfazione di vita siano cambiati da un anno all’altro. Gli studi precedenti, inoltre, raggruppavano tutti gli adolescenti insieme; quegli anni, invece, non sono un periodo costante della vita evolutiva e portano rapidi cambiamenti”.
Lo studio ha rilevato che, durante la prima adolescenza, l’uso massiccio dei social media comporta una minore soddisfazione per la vita un anno dopo. Per le ragazze, questo periodo sensibile è compreso tra gli 11 e i 13 anni, per i ragazzi tra i 14 e i 15 anni. Il dottor Orben ha affermato che questa differenza di sesso potrebbe semplicemente essere dovuta al fatto che le ragazze tendono a raggiungere la pubertà prima dei ragazzi. Sia per i ragazzi che per le ragazze, lo studio ha evidenziato il raggiungimento di un secondo periodo di sensibilità ai social media intorno ai 19 anni. Intorno a quell’età, secondo Orben, molte persone attraversano grandi sconvolgimenti sociali – l’università, un nuovo lavoro, vivere in modo indipendente per la prima volta – che potrebbero cambiare il modo in cui interagiscono con i social media.
Le lacune dello studio
Lo studio, ad avviso di altri esperti, presenta tuttavia qualche lacuna, che però non ne inficia la grande valenza. Ad esempio: l’aver fatto trascorrere un anno tra le risposte; i sondaggi hanno chiesto quanto tempo i partecipanti hanno trascorso sui social media, ma non come li hanno usati: parlare con estranei mentre si gioca a un videogioco potrebbe portare a effetti diversi rispetto all’invio di messaggi di testo con un gruppo di amici di scuola.
Conclusioni
In conclusione, i risultati, affiancati a quelli di altre ricerche, suggeriscono che la maggior parte degli adolescenti non è molto influenzata dai social media, ma una piccola percentuale potrebbe essere significativamente danneggiata, anche se è impossibile prevedere i rischi per un singolo bambino.
Forse inaspettato è un diverso elemento scaturito dalla ricerca, e cioè un collegamento nella direzione opposta: per tutte le età, i partecipanti che si sentivano male per la propria vita hanno finito per passare più tempo sui social media un anno dopo. Ciò suggerisce che per alcune persone la tecnologia potrebbe essere un meccanismo di risposta piuttosto che la causa della loro tristezza.
In effetti, i dibattiti sul rapporto tra social media e bambini si concentrano spesso sui rischi connessi al loro utilizzo. Tuttavia, non va sottaciuto che esso, se praticato in modo consapevole e per un tempo ragionevole, può comportare molte cose positive, quali supporto, connessione, creatività e padronanza delle abilità: il rovescio della medaglia, quello che, guardando le cose in modo razionale e senza pregiudizi, dovremmo imparare a considerare sempre e in ogni ambito.