I social stanno disegnando inedite forme comunicative che danno centralità a emozioni e vissuto personale. Che, declinate sul paradigma della condivisione, elaborano un nuovo modello relazionale che reclama nuove dinamiche e pluralità di visioni. Uno scenario che impatta sulle modalità di consumo culturale, di cui gli operatori del settore dovranno tener conto nella costruzione di percorsi museali.
Un ultimo recente esempio è sperimentabile alla mostra di Danilo Eccher al Chiostro del Bramante di Roma.
Quello che mantiene vivo qualsiasi luogo è lo sguardo sensibile delle persone. Questo sguardo indaga e ricerca continuamente fili di racconto da dipanare nel tumulto della realtà che ci circonda.
Sono fili di racconto da riconoscere e da fare propri attraverso pratiche (oggi digitali e social) che hanno il compito di generare emozioni e che diventano occasioni per sentirsi protagonisti, non semplici interpreti. Raccogliere la traccia e mostrare la propria emozione sono parte dello stesso fenomeno: conoscere, emozionarsi, mostrarsi.
La forza dei contenuti marginali
Il pubblico non è per sua natura preparato a riconoscere il significato di tutti i contenuti, ma scambia continuamente ciò che incrocia con il proprio vissuto fatto di contenuti marginali. Ad esempio attraverso i piccoli video di 15 secondi basati sul selfie (Tik Tokers, instagrammers ecc), attraverso i commenti, spostando così l’asse dell’interpretazione di ciò che siamo abituati a riconoscere come operatori culturali.
È quindi importante osservare i pubblici, studiarli e intercettarne i comportamenti per ripensare e reinterpretare il nostro lavoro nella cultura e per riconoscere nuove forme di approccio per questo nostro tempo. Comprendere come intervenire sul meccanismo che genera quel sottile potere dei contenuti marginali di trasformarsi in narrazioni che si affiancano a quelle tradizionali è condizione per mantenere viva un’attenzione verso quello che facciamo.
Conquistare l’empatia con il pubblico
Sapere e conoscere si accompagnano sempre all’emozionarsi. Questo, lo sappiamo da tempo, vale anche per i musei; un luogo molto complesso che suggerisce e attende suggerimenti sul rapporto tra la società e il suo patrimonio culturale mobile e immobile, materiale e immateriale e tra tutto questo e un pubblico che vuole sempre più condividere esperienze.
Stiamo attraversando un periodo molto produttivo di pensieri anche contraddittori, costruiamo contesti che hanno la necessità di coinvolgerci emozionalmente e mentalmente. Siamo attirati da ciò che ci meraviglia, che ci fa vivere e appassionare in prima persona e che ci fa conoscere nuovi mondi.
Come nell’epoca barocca tutto questo si sta trasformando in stile di scrittura, non più semplice attitudine del pubblico; quelle che sono abitudini del pubblico vengono amplificate in potenza drammatica in molti campi della cultura con lo scopo di creare un’empatia tra ciò che produciamo come cultura e lo spettatore, il pubblico: insieme, non più separatamente, (ri)viviamo la grande emozione umana che ogni giorno va in scena.
Intelligenza emotiva e patrimonio culturale
Quanto detto sinteticamente è un vero e proprio codice interpretativo che permea molta della produzione culturale di questi ultimi anni e senza il quale il senso sarebbe inconcepibile ed in alcun modo intelligibile.
La mente, la più potente “tecnologia” che possediamo trova energia nelle emozioni: è grazie a loro che si attivano funzioni importantissime come l’attenzione, la memoria e il ragionamento e che la struttura del nostro cervello si modifica e matura. Imparare a conoscere e comprendere il proprio mondo interiore e le emozioni proprie e altrui è condizione essenziale per il benessere psicologico e relazionale di ogni individuo.
E’ sempre più importante oggi lavorare sull’intelligenza emotiva quando ci occupiamo degli altri anche in relazione al patrimonio culturale.
Quando le emozioni non sono soltanto la più semplice consolazione per il pubblico ci aiutano realmente a comprendere il mondo. Lo sanno bene i narratori. La forma racconto, attraverso i suoi personaggi, recapita al lettore non solo emozioni, ma anche pensieri e testimonianze dei contesti all’interno dei quali il racconto stesso si è sviluppato..
Andare per musei è come scivolare dentro un universo di racconti. Spesso mancano le chiavi per attivarli, per iniziare a comprendere le storie che non sempre si sono svolte nel passato. Il museo sta imparando a sua volta ad ascoltare il racconto del suo pubblico, sta imparando a cambiare il proprio modo di scrivere per entrare meglio in contatto con esso.
Mettere in scena la meraviglia
Testimonianza di quanto detto fino a qui è la terza mostra a tema organizzata da Danilo Eccher al Chiostro del Bramante di Roma in quanto direttore e curatore. La qualità del suo lavoro è testimoniata dall’intervista che gli fa Sara d’Alessandro nelle pagine di Artribune:
Dall’intervista: “Dream è la terza parte di una trilogia sull’uomo che è iniziata due anni fa con la mostra Love ed è proseguita lo scorso anno con Enjoy. Il tema è il sogno, ma declinato secondo una specifica lettura, quella del viaggio ‒ così come l’amore in Love era letto sul piano dell’ambiguità e il divertimento in Enjoy attraverso i meccanismi della partecipazione. Non si tratta quindi di una mostra specifica sull’idea di sogno, ma di una sua rappresentazione che tocca le idee di spirito, emozione, incanto. Il percorso si snoda fra le opere di venti artisti, a partire da una spiritualità terrestre, fatta di elementi fisici e naturali, per elevarsi via via a una spiritualità pura, di colore puro”.
Una mostra immersiva composta da artisti assolutamente riconosciuti (tra gli altri Christian Boltanski, Anish Kapoor, Mario Merz, Giovanni Anselmo, Wolfgang Laib, Ettore Spalletti, Doris Salcedo, Luigi Ontani, Bill Viola, Kate McGwire e Henrik Håkansson, Tsuyoshi Tane, Ryoji Ikeda e James Turrell); la visione è accompagnata da racconti inediti scritti per l’occasione da Roberto Cotroneo e interpretati da altrettante voci di attori noti del panorama italiano. Come diceva Jorge Louis Borges: “La letteratura, del resto, non è che un sogno guidato.”
Il “dispositivo” del viaggio
La cosa che si riallaccia a quanto scritto, riguarda il fatto che è la terza di una serie di mostre a tema molto coinvolgenti e molto seguite dal pubblico. Sapientemente misurata tra ragione e sentimento, insieme a Love ed Enjoy testimonia la ricerca del coinvolgimento del pubblico attraverso quelle che in ambito musicale si chiamavano gli “affetti” o le “passioni”.
Oggi le chiamiamo “emozioni” e nell’insieme hanno la grande forza di “commuovere gli animi” per prepararli ad una esperienza fatta anche di conoscenza, non solo di meraviglia. Lo spettatore, attraverso il dispositivo del viaggio, è coinvolto all’interno di una mostra immersiva, che coinvolge il suo corpo e la sua attenzione nell’ascoltare le trame narrative. Il viaggio è un potente dispositivo, desiderato che ci pone in attesa: ci pone aperti verso il mondo.
Ancora una volta abbiamo la testimonianza di come il museo sia uno spazio sempre più centrale per la costruzione di un nuovo modo di fare e consumare cultura, di produrre nuove forme di lavoro e di prendere consapevolezza di narrazioni marginali attraverso i social. Importante è mantenere l’attenzione e averne consapevolezza. Sfidare e quindi coinvolgere un pubblico sulle intelligenze al plurale, sulle sue differenti forme, è forse il compito del museo a fianco di quelli tradizionali.