le responsabilità

Social e minori, Garante Infanzia: “Servono regole e educazione, anche per gli adulti”

Vietare ai giovani l’uso del web significherebbe comprimere il loro diritto di esprimersi, di informarsi, di giocare, di apprendere, di socializzare. E qui entra in gioco la responsabilità degli adulti, dei gestori delle piattaforme, della scuola, di modo che la vita online dei minori non ne comprometta lo sviluppo armonico

Pubblicato il 10 Feb 2021

Carla Garlatti

Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza

buonanotte bedtime stories

Le notizie sul rapporto tra social e minori rischiano di trasformarsi in una galleria degli orrori. Sfide estreme, istigazioni all’autolesionismo, adescamenti online, pedopornografia, risse, cyberbullismo e altro ancora. La reazione potrebbe essere quella di dire “chiudiamo internet”. Questo non è possibile, però si può e si deve intervenire: sul fronte delle regole e su quello dell’educazione, anche degli adulti.

Internet e minori: la responsabilità degli adulti

La rete è un mezzo di comunicazione e, insieme, uno spazio sociale il cui valore è dato dalle relazioni e dai contenuti, spesso prodotti dagli utenti. Vietare ai giovani l’uso del web significherebbe comprimere il loro diritto di esprimersi, di informarsi, di giocare, di apprendere, di socializzare. Occorre prendere atto che i ragazzi sono nati in un mondo nel quale internet “c’era già” ed è naturale, allora, che lo considerino un pezzo della loro vita. Una vita che devono imparare a vivere liberamente sviluppando armonicamente la loro identità, senza mettere a rischio l’integrità psico-fisica, affettiva e di relazione. E qui entra in gioco la responsabilità degli adulti.

Innanzitutto, cominciamo a vedere i minorenni come individui che sono dotati di un’identità autonoma e di propri diritti. Poi soffermiamoci a pensare che sono uno diverso dall’altro e non solo per le differenti condizioni personali, familiari e sociali, ma in termini generali un bambino non è come un adolescente anche nell’approccio a web, social e app. Dai 14 anni – l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza aveva caldamente suggerito che il limite fosse elevato a 16 anni – i ragazzi possono prestare il consenso al trattamento dei propri dati personali quando si iscrivono a un social o a un gioco online o chiedere l’oscuramento di contenuti, in entrambi i casi senza l’intervento dei genitori.

Di fatto accade che i più piccoli accedano ugualmente alle applicazioni perché aggirano i limiti o sono lasciati da soli con smartphone e periferiche connesse. Allo stesso modo i minorenni possono entrare in contatto con contenuti riservati a chi ha più di 18 anni.

Per fronteggiare tale fenomeno occorre intervenire sì sul piano legale, ma prima ancora su quello educativo e culturale. Viviamo in una società nella quale si coltivano la sovraesposizione, l’apparire in rete come “prova di esistenza”, la competizione e la spinta a essere vincenti, che innescano meccanismi in grado di portare una generazione iperconnessa a sfide estreme, narcisismo, senso di inadeguatezza e frustrazione, ritiro sociale, sexting, revenge porn, cyberbullismo e dipendenze. Tutti fenomeni che interpellano il mondo degli adulti come fornitori di servizi online, come genitori e come educatori.

La responsabilità delle piattaforme

I gestori delle piattaforme online devono essere messi di fronte alla responsabilità di accertare effettivamente l’età degli utenti: se dichiarano i loro servizi utilizzabili a partire da una data età devono poi assicurare che non avvenga il contrario. Se l’iscrizione richiede il consenso del genitore, come è per legge sotto i 14 anni, dovrebbero accertarne l’autenticità. Non basta un documento o un’autodichiarazione, ma vanno attivati sistemi che la tecnologia consente già di utilizzare. È inoltre fondamentale che i fornitori dei servizi online collaborino con le forze di polizia e la magistratura – nei limiti delle garanzie costituzionali di libertà e dignità individuale – per la prevenzione e repressione dell’adescamento online dei minorenni e per la lotta nella pedopornografia.

Le tutele della direttiva Ue sui servizi dei media audiovisivi

A tal proposito risulta indispensabile recepire in Italia la direttiva europea sui servizi dei media audiovisivi (direttiva (UE) 2018/1808), che prevede l’introduzione di sistemi di verifica dell’età e sistemi di parental control affidati alla vigilanza dei genitori. Inoltre, lo stesso provvedimento introduce misure per assicurare un’adeguata tutela dei diritti dei minorenni a proposito di audio e video, anche generati dagli utenti, per contrastare le fake news e per regolamentare le comunicazioni commerciali online.

I bambini e i ragazzi non possono essere lasciati completamente soli quando entrano in contatto con la rete. I genitori hanno la responsabilità di educarli, accompagnarli e vigilare sul loro comportamento in rete e fuori dalla rete. Per farlo hanno bisogno di aiuto, perché l’evoluzione delle piattaforme online e della cultura digitale è troppo rapida, anche per i più giovani tra di essi. Devono essere offerte loro adeguate opportunità di educazione digitale e di consapevolezza delle conseguenze della cultura della sovraesposizione in cui si trovano a crescere i figli. Troppo spesso i bambini sono fotografati, postati, condivisi sui social dai genitori fin dalla più tenera età e senza neanche chiedersi se questo può o potrà metterli a disagio. Gli adulti non dovrebbero tenere comportamenti online che siano un esempio negativo. In compenso dovrebbero conoscere gli ambienti digitali frequentati dai figli, così da poterne fare occasione di confronto e conversazione e permettere loro di aprirsi e chiedere aiuto se in difficoltà.

Le responsabilità della scuola

Se si parla di educazione è inevitabile che la scuola sia coinvolta sin dai primi anni, visto che l’approccio alla rete avviene sempre più prematuramente. Sarebbe opportuno, comunque, che bambini e ragazzi approdassero all’online in maniera adeguata alla loro età e, soprattutto, alla loro maturità. Anche un ultraquattordicenne, benché la legge glielo consenta, potrebbe non essere in condizioni di valutare consapevolmente le conseguenze e i rischi del proprio comportamento in rete. Per questo serve più educazione digitale, anche prima della scuola secondaria.

Gli strumenti ci sono e occorre attivarli in maniera ancor più efficace: la legge sull’educazione civica (la n. 92 del 2019) prevede infatti che siano svolte attività di educazione alla cittadinanza digitale. Occorre investire su questo fronte per diffondere il corretto uso del digitale e una maggiore consapevolezza. L’Autorità garante può contribuire perché chiamata a designare un componente della Consulta dei diritti e dei doveri del bambino e dell’adolescente digitale come previsto dalla legge sull’educazione civica.

Il piano di prevenzione e contrasto del cyberbullismo

Di particolare importanza risulta anche l’adozione del piano di prevenzione e contrasto del cyberbullismo, attività affidata al tavolo tecnico istituito dalla legge n. 71 del 2017 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e coordinato dal Ministero dell’istruzione, al quale siede anche l’Autorità garante. Questo compito si pone in linea con l’attività di educazione che l’Autorità porta avanti partecipando a Generazioni Connesse – Safer Internet Centre Italia (SIC III), progetto, coordinato dal Ministero dell’istruzione, che vede la partecipazione oltre che della Polizia postale anche di numerosi soggetti istituzionali e no.

Conclusioni

In conclusione, la rete e i social rappresentano un’opportunità per bambini e adolescenti per esercitare alcuni loro diritti. È però necessario che la loro vita online si svolga in maniera tale da non comprometterne l’armonico sviluppo. I gestori delle piattaforme vanno messi di fronte alle loro responsabilità e indotti a controllare attivamente quanto accade online, a partire dall’accertamento dell’età degli utenti. La scuola rappresenta un’importante risorsa da attivare perché i bambini e i ragazzi facciano ingresso anche nel mondo online con gli adeguati strumenti culturali. È importante, infine, che i ragazzi e i loro genitori comprendano che esistenza virtuale ed esistenza reale non vanno confuse: non è necessario apparire per esistere.

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