I social network sono spesso accusati di essere causa di disagio mentale, ma forse sarebbe più opportuno osservare meglio l’intreccio delle tante variabili che incidono sulla salute mentale come un insieme di fattori, piuttosto che insistere esclusivamente sulla correlazione tra disagio e social network.
È indubbio, almeno ai miei occhi, che le giovani generazioni di oggi assomiglino più a Telemaco che a Edipo. Esse domandano che qualcosa faccia da padre, che qualcosa torni dal mare, domandano “LEGGE”, che possa riportare un nuovo ordine ed un nuovo orizzonte nel mondo. (M. Recalcati 2013)
Quest’anno, durante la Giornata della Salute Mentale, istituita nel 1992 come occasione per aumentare la consapevolezza di cittadini e governi, la riflessione si è incentrata sugli esiti della pandemia: le difficoltà si sono acuite ed è emersa con forza la necessità di parlare della sofferenza psicologica. Isolamento, ansia, depressione e difficoltà relazionali, sono alcuni dei segnali associati all’esperienza pandemica. E all’esperienza pandemica è associata anche la crescita del tempo trascorso da giovani e non sui social.
Disagio mentale, dito puntato contro i social
Un episodio significativo è la denuncia di Fraces Haugen, dipendente di Facebook, che aveva fornito al Wall Street Journal molto materiale poi finito nelle inchieste del giornale su Facebook.
Nei documenti riservati, consegnati da Haugen, uno, in particolare, mostrava come Facebook, nonostante, avesse ricevuto un rapporto sui disagi psicologici provocati sugli adolescenti da Instagram (social network di proprietà di Facebook), non avesse preso nessuna iniziativa per risolvere il problema. Nell’udienza al Senato, Mark Zuckerberg, al riguardo, avrebbe sostanzialmente glissato, sottolineando come i risultati evidenziassero che, secondo i ragazzi e le ragazze intervistate, l’uso di Instagram contribuisse a farli sentire meglio, durante i “momenti difficili dell’adolescenza”… “Non conosco alcuna azienda tech il cui obiettivo è vendere prodotti che rendano le persone arrabbiate o depresse”.
Gli studi sull’uso dei social e la salute mentale degli adolescenti
Il punto è che le rivelazioni del Wall Street Journal farebbero affidamento su dati autoriferiti, raccolti, esclusivamente, con questionari di autovalutazione relativi al tempo trascorso online e alle percezioni del proprio stato psicologico. Questi dati sono stati considerati alla comunità scientifica di dubbia validità. Gli studi su come l’uso dei social media influiscano sulla salute mentale degli adolescenti si sono accumulati ad un ritmo senza precedenti negli ultimi tempi. In questo quadro alcuni ricercatori, tra cui Valkenburg, Meyer, Beyens, invece di aggiungere un’altra revisione agli studi esistenti, hanno scelto condurre una revisione ombrello, detta anche meta-revisione, che è una sintesi delle revisioni della letteratura esistente. I risultati mostrano come gli indicatori utilizzati non siano univoci né confrontabili, anche in termini metodologici. “[…] in diverse revisioni, sia la salute mentale che il benessere sono stati usati come termini generici che sono rimasti indefiniti, il che a volte ha portato alla discussione di un pot-pourri di risultati cognitivi e affettivi che meritano ciascuno di essere indagati a pieno titolo. La nostra revisione ombrello ha confermato che tipi simili di utilizzo dei social media (SMU) possono portare ad associazioni opposte con diversi esiti sulla salute mentale. Sia l’utilizzo delle piattaforme social che la salute mentale sono costrutti molto complessi.
Per arrivare a una vera comprensione degli effetti della SMU sulla salute mentale, la ricerca futura deve adottare misure più oggettive che catturino le risposte degli adolescenti a specifici contenuti o sulla qualità delle interazioni sui social media. (2022)”.
Salute mentale, le variabili in gioco
Citare le nuove tecnologie come elemento che scatena i disturbi mentali, rischia di non dare il giusto peso alla complessità dei fattori di rischio e delle variabili in gioco. È semplificativo pensare che limitare o vietare la vita online serva a risolvere problemi che sono radicati nel tempo e richiedono cambiamenti strutturali nel mondo offline, è più facile creare un consenso sulla critica ai social, piuttosto che progettare azioni per la promozione della salute mentale da attuare a scuola, al lavoro, nello sport, in famiglia e in tutti i contesti della vita quotidiana.
Inoltre, lo stesso argomento della salute mentale costituisce, a sua volta, un ambito complesso. I cosiddetti disturbi mentali non costituiscono entità reali, oggettivamente presenti in natura, ma rappresentano l’esito finale di un processo, storicamente situato all’interno di un contenitore sociale dotato di forze culturali, economiche, politiche.
I numeri ci dicono che l’uso delle piattaforme social, la loro diffusione massiva, è difficilmente riconducibile ad una situazione emergenziale, infatti tale attività occupa una parte sempre crescente della vita quotidiana della quasi totalità degli adolescenti: il 90,4% dei giovani si connette ad Internet, l’ 84,4% lo fa tutti i giorni, il 73% almeno 1 ora al giorno (Rapporto Censis UCSI su comunicazione promosso da 3 Italia, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia presentato l’11 ottobre 2022 alla Camera dei Deputati). Non possiamo nasconderci che Instagram, Tik Tok etc. sono il mezzo d’elezione, la porta attraverso cui ragazze e ragazzi entrano nel mondo: sia nel loro microcosmo di amicizie e relazioni, sia in quello degli adulti. Sono lo specchio in cui si guardano per ritrovarsi o costruire la propria identità. Sono lo schermo che fissano per ore.
Social media e condivisione delle fragilità
Si è già detto come le piattaforme social, siano le prime imputate nel processo di formazione del malessere di adolescenti e ventenni, e questa accusa è rinforzata anche dal fatto che il disagio stesso è diventato un tema dilagante in rete tra i giovani. I ragazzi di oggi non sembrano subire il tabù della salute mentale. Il fatto che sia diventato un tema di cui si parla apertamente sui social media significa che le persone condividono le proprie fragilità, affrontano lo stigma sulla salute mentale. Fino a poco meno di un decennio fa la psicoterapia, il dolore, gli inciampi della vita giovane erano vissuti come uno stigma. Oggi si racconta il malessere senza filtri. Le difficoltà non sono più nascoste, ma condivise. “Sharing is caring”, «condividere è prendersi cura», è uno slogan che esprimono in rete.
L’elemento positivo della condivisione non ci deve far dimenticare che tali piattaforme sono orientate al mercato e al successo della comunicazione pubblicitaria e in quanto tali esposte a conflitti di interesse.
A riguardo, un articolo del Washington Post (2020) afferma che la spesa, solo per gli annunci su Facebook, da parte di marchi farmaceutici, rivolti al disagio mentale, abbia raggiunto circa un miliardo di dollari (2019), quasi triplicando in due anni.
La campagna “Insieme per la salute mentale”
Non è un caso che la campagna “Insieme per la salute mentale”, promossa in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, sia stata diffusa largamente su queste piattaforme, dove, in occasione della pandemia, sono state create alcune pagine di sensibilizzazione, gestite da multinazionali produttrici di farmaci psichiatrici che hanno un grande potere nell’influenzare la ricerca e grandi interessi nell’ampliamento del bacino di consumatori. Non è un segreto che queste ricorrenze costituiscano un’occasione importantissima all’interno delle strategie di marketing per molti grandi attori privati.
Come, già ampiamente accaduto in molte altre situazioni simili, molte delle associazioni, sia professionali, che di pazienti, hanno partecipato all’iniziativa, diffondendola e amplificandola. È doveroso mettere in guardia sulla possibilità che, tali campagne di sensibilizzazione, inducano le persone a confondere erroneamente le informazioni relative alle malattie, con i benefici dei farmaci, alimentando il rischio di sovradiagnosi e sovratrattamento.
Va tutto bene, purché se ne parli?
Insomma, se è un bene che se ne parli, il modo, e le motivazioni in cui questo avviene, è spesso importante almeno quanto il parlarne. E la consapevolezza dei meccanismi sottesi, ancor di più. Le grandi piattaforme social hanno trasformato la rete in un Wallet garden, un giardino recintato, le notizie non si cercano, ma si finisce per trovarle già pronte in base a ciò che viene considerato affine o commercialmente utile all’utente.
Questo vale soprattutto per i giovani, si ricorda che l’adolescenza è la fase della vita in cui il benessere mostra le maggiori fluttuazioni, in cui l’assunzione di rischi è al suo apice, c’è la tendenza ad unirsi in comunità dubbie e interagire con estranei, c’è una sfasatura tra la potenza del cervello emotivo e una carenza di competenze regolative proprie del cervello cognitivo. È fondamentale che i giovani possano accedere ad informazioni diversificate per formarsi una opinione critica un utilizzo consapevole, quindi sviluppare il “sapere” e il “saper fare” , allo stesso tempo è altrettanto importante sviluppare l’educazione emotiva, il “ saper essere” che non può ridursi all’esternalizzazione di affetto con un’emoticon, ma è un ingrediente che va sviluppato attraverso la comprensione e la gestione delle emozioni, in modo da aiutare lo sviluppo armonico del pensiero e delle capacità sociali e interpersonali.
Molti adolescenti attraversano questa fase di transizione, dalla dipendenza dell’infanzia all’autonomia dell’età adulta, con relativa facilità. Ma lo sviluppo è un processo estremamente complesso rappresentabile attraverso un complicato insieme di traiettorie che sono un riflesso delle molteplici risposte fornite dall’individuo agli eventi biologici, collettivi e individuali. Le qualità dell’ambiente relazionale, le vicende evolutive si intrecciano, modificandosi reciprocamente, in funzione del bilanciamento di fattori di protezione e di rischio. L’adolescenza è comunque un periodo di forte crisi in cui possono manifestarsi “comportamenti a rischio” che possono compromettere nell’immediato o a lungo termine il benessere fisico, psicologico e sociale dell’individuo.
Gli adolescenti odierni sono identificati con le fragilità degli adulti, sono stati abituati fin da piccoli a non frequentare cortili e parchi dove avrebbero potuto farsi male. Sono stati iperstimolati sin da piccoli. Per questo si sono inventati piazze virtuali, in cui sperimentare la propria identità nascente. Gli adulti hanno obiettato che non andava bene, che erano diventati dipendenti da internet. Poi internet si è rivelato indispensabile e la mancata accensione della telecamera è stata considerata assenza dalla scuola, il cui portone era in realtà chiuso, come se fossero gli adolescenti il motore della diffusione del male. Gli adolescenti non sono più trasgressivi, può accadere che manifestino comportamenti violenti legati alla mancata regolazione emotiva, a volte non hanno contezza degli effetti prodotti dalle loro azioni, ma la maggior parte di loro si trova di fronte ad adulti confusi che provano ogni giorno a voler bene ai loro ragazzi e ragazze.
L’importanza della formazione
È immaginabile che genitori, responsabili politici e ricercatori vogliano comprendere gli effetti dei social network sulla mente degli adolescenti. E quindi è utile finanziare ricerche collaborative che reclutino ampi e rappresentativi gruppi di partecipanti, che siano condotte secondo i metodi condivisi dalla comunità scientifica, che siano trasparenti nelle diverse fasi di realizzazione e nell’accesso ai dati e che forniscano indicazioni su come le tecnologie digitali possano essere meglio adattate e fruite.
La famiglia e la scuola hanno bisogno di politiche di sostegno da parte dello Stato Sociale e della società tutta. La formazione deve diventare una priorità delle politiche economiche ed educative, anche per rinforzare i servizi dedicati all’individuazione precoce del disagio, affinché si possa intervenire in tempo per rinforzare quelle capacità che le traiettorie evolutive hanno reso deficitarie.
L’altra strada è promuovere specifiche campagne di educazione all’uso dei social media (proprio come si insegna ad affrontare i pericoli della vita offline) e di sensibilizzazione sulla salute mentale: se per protagonisti sono gli stessi adolescenti, esse saranno molto più efficaci.
La Peer&Media Education (PME)
A riguardo si segnala una metodologia: la Peer&Media Education (PME) che nasce all’intersezione tra due differenti ambiti disciplinari: la Peer Education (letteralmente “Educazione tra Pari”) che indentifica una strategia educativa, volta ad attivare un processo spontaneo di passaggio di conoscenze, emozioni ed esperienze da parte di alcuni membri di un gruppo ad altri membri di pari status, e la Media Education è invece un’attività educativa e didattica, finalizzata a sviluppare, in particolare nei giovani, un’informazione e comprensione critica circa la natura e le categorie dei media, le tecniche da loro impiegate per costruire messaggi e produrre senso, generi e linguaggi specifici. La PME offre un modello di prevenzione e intervento socio-educativo basato su una metodologia attiva che integra metodi e tecniche della Peer Education con gli approcci della Media Education al fine di favorire l’empowerment dei soggetti coinvolti nei processi e in funzione dello sviluppo di consapevolezza critica e responsabilità. Il risultato è una forma di presenza educativa e di prevenzione che riconosce nelle tecnologie digitali uno spazio e uno strumento di intervento grazie all’attivazione di competenze sociali diffuse, nella prospettiva di un superamento della dicotomia tra vita in presenza e vita digitale.
Conclusioni
Per concludere, i social network potrebbero anche essere assolti dall’accusa di essere la prima causa del disagio mentale, ma di fatto ne sono la vetrina. È quindi importante rivedere la modalità con cui accompagniamo, sosteniamo le vite dei nostri figli dentro il territorio dell’online e certamente abbiamo tutti bisogno, sia noi adulti che i nostri figli, di molta consapevolezza digitale, per sapere vivere la dimensione on line senza esserne sopraffatti. Rimanendo saldi nella convinzione che la salute mentale nella vita in presenza si affronta con il coinvolgimento di diversi settori: istruzione, welfare e sanità.
Bibliografia e sitografia
Patti M. Valkenburg, Adrian Meier, Ine Beyens “Social media use and its impact on adolescent mental health”: An umbrella review of the evidence”, 2022
Tiziana Metitieri, Valigia Blu 2023
Alberto Pellai, Barbara Tamborini, L’età dello tsunami, De agostini, 2017
Lello Savonardo, Rosanna Marino Adolescenti always on, Franco Angeli
Matteo Lancini, L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti, Raffaello Cortina Editore, 2021