Le elezioni Usa l’hanno rivelato senza più ombra di dubbio. Nel giro di un decennio, i social network si sono trasformati dal ruolo (vero o apparente) di “agorà elettroniche”, in grado di agevolare la condivisione dei contenuti generati dagli utenti, alla funzione di media strutturati, “arbitri decisori” dello spazio virtuale. Con il compito di reprimere la disinformazione online.
Una metamorfosi rilevante. Anzi: una vera e propria “rivoluzione” – culturale prima ancora che tecnologica – che consente di comprendere la rapida ascesa di queste piattaforme come principali strumenti utilizzati dagli utenti per la stragrande maggioranza delle attività svolte nella vita quotidiana. Lo conferma, in tal senso, il Report “Global Digital 2020”, secondo cui gli utenti dei social media hanno superato la quota di 3,8 miliardi (corrispondente al 49% della penetrazione globale, con un più 9% rispetto all’anno precedente).
Circa la metà del tempo che le persone trascorrono ogni giorno con la connessione di telefoni cellulari viene impiegato tramite app di social e comunicazione (Facebook rappresenta il social network più utilizzato, con una quota di 2,5 miliardi di utenti mensili attivi. Cresce in modo esponenziale anche TikTok, lanciato nel 2016, con un numero di 800 milioni di utenti attivi mensili raggiungendo il sesto posto della classifica generale dei social network più utilizzati, dopo Facebook, YouTube, WhatsApp, Facebook Messenger, WeChat e Instagram).
L’impatto delle elezioni Usa sul futuro dei social
Rispetto a tale scenario, l’impatto delle elezioni americane sembra lasciare un segno indelebile sulla futura evoluzione dei social network, i cui vertici manageriali sono sempre più impegnati nella pianificazione massiva di misure di controllo finalizzate a “filtrare” le informazioni pubblicate dagli utenti.
L’ha scritto bene il New York Times nei giorni scorsi: i social media, per funzionare bene durante le elezioni, hanno scelto di funzionare peggio. Che paradosso. Ossia di limitare quelle che sono sempre state le loro prerogative: macchine di engagement e amplificazione virale dei messaggi, con un’esperienza d’uso che deve apparire quanto più possibile frictionless agli utenti.
E invece, adesso:
- i social sono arrivati a costringere l’utente a fare qualche clic in più prima di aprire post con alert di rischio disinformazione. Twitter è arrivata a costringere ad aprire i link prima di condividere i relativi tweet.
- Twitter e Facebook hanno cominciato a limitare la viralità di certi messaggi. E non più solo quelli flaggati come disinformazione. Adesso hanno adottato strumenti per limitare l’esplosione virale di tutti i contenuti per consentire di controllarli prima che dilaghino.
Le misure messe in campo
È importante notare la novità emersa in queste elezioni. Se prima i social si limitavano a bloccare la disinformazione, flaggare o eliminare i relativi post, a chiudere gruppi a questa votata (interni o collegati a soggetti esteri, russi, cinesi), adesso stanno attuando meccanismi più ad ampio spettro, che entrano nel cuore delle loro macchine. Anche quelle economiche: indirettamente, dato che limitare il loro potere virale può avere certo conseguenze su engagement e quindi clic pubblicitari; direttamente perché nelle elezioni hanno limitato anche la pubblicità politica.
In altre parole, come molti esperti chiedevano loro di fare, stanno limitando i loro super-poteri di macchine automatiche.
Già alla vigilia delle elezioni americane 2020, i principali social network hanno promesso di mettere in capo straordinarie misure di “censura” per combattere le fake news, riducendo il rischio di possibili interferenze manipolative sul voto, anche a costo di ridurre gli introiti economici legati alla sponsorizzazione di annunci pubblicitari e “rallentare” il sistema algoritmico di condivisione dei contenuti diffusi dagli utenti.
Per evitare gli errori del passato, infatti, i vertici dei principali social network, mobilitando un ingente numero di risorse umane ed esperti nell’ambito di un complessivo potenziamento delle proprie strutture organizzative, hanno pianificato svariate misure per monitorare 24 ore su 24 la circolazione di informazioni diffuse all’interno delle relative piattaforme:
- il sistema dei “due click aggiuntivi” per consentire agli utenti la condivisione di post,
- la sospensione temporanea della pubblicità politica durante il periodo di campagna elettorale,
- l’eliminazione di gruppi Facebook costituiti da un consistente numero di seguaci aderenti, ritenuti responsabili di contribuire alla delegittimazione del processo elettorale incentivando la violenza verbale,
- la costituzione di un Centro di informazioni sul voto per aggiornamenti completi e attendibili sulle elezioni in corso,
- il rallentamento dei contenuti pubblicati funzionale ad una preliminare verifica sull’accuratezza e veridicità delle relative fonti (in questo modo, ad esempio, Twitter ha etichettato il 38% dei tweet e retweet di Trump come affermazioni fuorvianti sul processo elettorale), mentre TikTok ha dichiarato di voler potenziare i propri servizi di controllo per monitorare la disinformazione elettorale. Anche YouTube ha utilizzato la sua home page per mostrare alle persone informazioni accurate sulle elezioni.
- Facebook ha anche limitato la viralità dei video Facebook Live a tema elettorale.
Conclusioni
La strada di questo passo sembra segnata. Ormai, il Re è nudo, non si torna più indietro. I social media prima forse potevano ancora mostrarsi come piazze neutrali per la libertà d’espressione; addirittura motori di democrazia nei Paesi meno liberali. Chi si ricorda più della primavera araba?
Un ruolo che a molti è sempre sembrato dubbio, dato che l’algoritmo non è mai stato neutrale, ma sempre orientato a valorizzazione di contenuti più utili alla crescita delle stesse piattaforme.
Le scelte prese adesso contro la disinformazione ha reso innegabile il ruolo di macchine di intermediazione e filtro, algoritmico e umano assieme.
L’algoritmo è diretto e affiancato da scelte umane, dei manager e dei collaboratori dell’azienda, per operare, infatti.
La tendenza vedrà sempre più quindi i social network nella veste “ibrida” di arbitri decisori dello spazio digitale. Un passo avanti si avrà anche con la messa a regime del dell’“Oversight Board” di Facebook, presentato come una sorta di “Corte Suprema”, con il compito di emettere decisioni “definitive” e “vincolanti” sui contenuti consentiti e rimossi e di pronunciarsi su temi delicati e complessi come l’odio l’online, le fake news e il diritto alla privacy, mediante l’elaborazione di linee guida utilizzabili per la moderazione del flusso comunicativo condiviso su Facebook e Instagram).
I social devono abbracciare questo nuovo ruolo, per ora, scegliendo di auto-limitarsi. Sperano ancora così di evitare conseguenze peggiori, che vanno dalla perdita di fiducia da parte dei propri utenti (e quindi la loro desertificazione) fino a interventi regolatori massicci. Anche l’attuale presidente eletto John Biden aveva preso posizioni per una riforma del 230 Decency Act, infatti.
Difficile un pronostico. La politica e, in generale, la nostra società deve ancora individuare un ruolo preciso e corretto per i social media.
L’esito ora più probabile, a guardare il trend, è quello di maggior controllo e limitazione sui social. Soprattutto nei momenti critici (elezioni, pandemia…); ma in generale i limiti saranno più forti rispetto a quanto visto finora.