I social network si stanno configurando sempre più come grandi archivi digitali in grado di modificare coordinate temporali e narrative. Analizziamo come la permanenza costante dei dati prodotti nell’attuale cultura digitale implichi una serie di riflessioni di natura filosofica, sociologica, psicologica che non può prescindere dagli studi della Digital Death.
Come nasce “Memories” di Facebook
L’11 giugno 2018 Oren Hod, Product Manager di Facebook, annuncia la creazione di Memories – Ricordi – una specifica sezione interna al social network di Zuckerberg dedicata alla nostalgia e al passato. L’emblematica frase “Speriamo che ti faccia piacere rivivere i tuoi ricordi su Facebook, da quelli più recenti a quelli più lontani” ci introduce all’interno di una sorta di timeline parallela, il cui compito consiste nel conservare ordinatamente tutti i post condivisi dal singolo utente nello stesso giorno di tutti gli anni passati[1]. Ricordi sembra, in altre parole, un database interattivo delle memorie personali. L’uso del verbo “rivivere”, con cui viene introdotta questa sezione, è tutt’altro che casuale: ogni utente, infatti, può ricondividere e, dunque, rendere permanentemente attuali i ricordi del proprio passato, attutendo o intensificando l’effetto-nostalgia a seconda dei casi.
L’urgenza di una simile invenzione, come ci spiega Hod nell’articolo All of Your Facebook Memories Are Now in One Place, deriva dalla consapevolezza che ogni giorno più di novanta milioni di utenti fanno uso di Accadde Oggi, lo strumento attivo dalla tarda primavera del 2015 che ci propone in maniera rapsodica un post, un video o una fotografia condivisa su Facebook (o in cui si è stati taggati) lo stesso giorno di uno degli anni precedenti. La creazione di un luogo interno a Facebook adibito esclusivamente alle condivisioni del passato serve, pertanto, a fornire di un ordine razionale la struttura dispersiva di Accadde Oggi, assegnando alla nostalgia collettiva un suo specifico e meditato domicilio.
Le motivazioni a fondamento dello sguardo al passato, gesto diventato di per sé dominante all’interno dei social network nel corso degli ultimi anni, sono state analizzate dal ricercatore Artie Konrad nell’articolo Facebook memories: The research behind the products that connect you with your past. Konrad, in virtù degli studi decennali che ha condotto sul rapporto tra la memoria e le tecnologie digitali, evidenzia le prerogative specificamente narrative acquisite da Facebook man mano che si allontana il giorno della sua nascita.
Social: dialettica fra scrittura e lettura
Tali prerogative modificano in maniera sostanziale la dialettica tra scrittura e lettura a cui siamo abituati. Come osserva Kenneth Goldsmith, «il web funziona sia come luogo di lettura che di scrittura: per gli scrittori è una grande scorta di testo da cui costruire letteratura; i lettori fanno la stessa cosa, tracciando sentieri attraverso questo groviglio di informazioni e finendo per fare anche da filtro»[2]. Le sintassi normativo-descrittive, che connotano in particolare il tipo di scrittura sviluppato man mano dai social network, permettono agli stessi lettori di diventare a loro volta scrittori, trasformando sé stessi da creatori e accumulatori seriali di dati a biografi della propria vita. Essi plasmano, cioè, la propria memoria autobiografica giorno dopo giorno, contribuendo a tratteggiare contemporaneamente il profilo biografico altrui.
All’interno di questo «grande esperimento di autobiografia culturale collettiva»[3], nel quale ciascuno rappresenta un frammento tanto bislacco quanto significativo dell’intera storia dell’universo, un ruolo capitale è ricoperto dalla consultazione compulsiva delle proprie esperienze passate, così come sono state registrate all’interno di Facebook. Per rendere proficuo – in vista del racconto della propria vita – il nostalgico ritorno a ciò che è stato e che può permanentemente essere, Konrad ha ideato una vera e propria “tassonomia dei temi della memoria”, quale strumento necessario per un uso benefico della sezione Ricordi.
A fondamento di questa tassonomia vi è la consapevolezza della metamorfosi in corso dei social network in archivi digitali, da cui deriva la necessità di realizzare uno scopo ben preciso: individuare, cioè, a priori i vocaboli e le espressioni maggiormente utilizzate dagli utenti in modo da fornire a ciascuno di loro, tramite gli algoritmi, il materiale di cui dovrebbe disporre una memoria autobiografica che vuole essere “perfetta”.
Pertanto, sono automaticamente escluse da questo costante revival nostalgico espressioni come “mi manchi”, le quali lasciano supporre la conclusione di una relazione sentimentale o addirittura la morte di una persona amata. In altre parole, la tassonomia dei temi della memoria, su cui si basa la funzionalità tanto dell’Accadde Oggi quanto della sezione Ricordi, sembra in un certo qual modo intenzionata a integrare tra di loro – a tavolino – lo sguardo perennemente rivolto al passato e la “neofilia” che caratterizza da sempre i social network. Vale a dire, la ricerca ossessiva di stimoli sempre inediti, la quale si muove nella direzione di riplasmare la memoria umana eliminando tutti i ricordi disturbanti e negativi. In definitiva, la tassonomia dei temi della memoria sta riplasmando il nostro vissuto per soddisfare le esigenze nostalgiche degli utenti di Facebook, impegnati nel grande esperimento di autobiografia culturale collettiva di cui sopra.
Queste osservazioni, le cui basi poggiano sulla menzionata metamorfosi dei social network in archivi digitali, rappresentano le premesse fondamentali per individuare tre fenomeni inediti, i quali stanno modificando radicalmente la dialettica tra il ricordare e il dimenticare e su cui occorrerà riflettere da qui in avanti.
Conservare le tracce della propria esistenza
Quasi prossimo al suo sedicesimo compleanno, precisamente il 4 febbraio, Facebook comprende utenti molto attivi in grado di condividere al suo interno anche più di novanta post al mese. Ciò significa che un utente che si è iscritto a Facebook nel 2007 o 2008 è “proprietario” di un account personale contenente più di diecimila documenti: riflessioni scritte sulla propria vita, immagini fotografiche, gif, video, storie e migliaia di link che testimoniano i fenomeni culturali e politici degli ultimi quindici/dieci anni. Lutti, matrimoni, lauree, successi e insuccessi raccolti e centrifugati insieme. A ciò si aggiungono i documenti in cui l’utente è stato taggato dai suoi contatti, nonché tutte le impronte disseminate tanto negli account altrui quanto nelle pagine e nei gruppi pubblici dedicati a specifici argomenti di suo interesse. Questo materiale, già di per sé immenso, va sommato a quello accumulato in tutti gli altri luoghi frequentati online: dai social network come Twitter, Instagram, Tik Tok, ecc. ai blog personali. Ne deriva che ciascuno degli oltre due miliardi di individui iscritti a Facebook può disporre in teoria di un numero di memorie personali che non ha precedenti nella storia, con le quali tratteggiare in maniera precisa il profilo della propria esistenza.
La registrazione oggettiva dei nostri dati all’interno dei social network come Facebook comporta una complessa indistinzione tra il presente che passa e il passato che resta, tra la fugacità di ogni singolo istante e l’attualità permanente di tutti gli istanti registrati. Ciò non può che enfatizzare le prerogative tradizionalmente nostalgiche delle persone, abituate a idealizzare – man mano che gli anni passano – ciò che è stato.
L’operazione di rimozione dei lutti
Ancor di più oggi, in un’epoca storica segnata dal terrore nei confronti dei futuri scenari politici, sociali e ambientali. Il trionfo della nostalgia social intercetta e seduce l’incapacità individuale a elaborare i propri lutti, rimarcando l’abitudine a sottrarre al nostro modo di vivere la possibilità costante del morire. La permanenza del passato, a causa della registrazione, impedisce – cioè – di accettare che le persone muoiono, che le relazioni terminano, che i singoli avvenimenti passano. In altre parole, la registrazione di un numero di memorie tali da delineare con precisione i contorni biografici delle persone si integra con il bisogno individuale di mantenere vivo in eterno il proprio passato.
Questo smette di essere qualcosa che non esiste realmente, come sostiene – per esempio – Jonathan Gottschall ne L’istinto di narrare: «Il passato – scrive Gottschall – è realmente accaduto, ma, per come ce lo rappresentiamo mentalmente, è anch’esso una simulazione prodotta dalla mente. I nostri ricordi non sono registrazioni esatte di ciò che è davvero avvenuto, bensì ricostruzioni di ciò che è avvenuto»[4]. La registrazione trasforma la simulazione prodotta dalla mente in un dato oggettivo, permanentemente a disposizione e pertanto, a suo modo, “immortale”.
L’emancipazione del passato dal presente
La metamorfosi del passato da simulazione della mente a dato oggettivo e permanentemente attuale va considerata alla luce della duplice natura che contraddistingue i profili social. Ogni profilo coincide, da una parte, con l’insieme di tracce, informazioni e dati che costituisce un archivio digitale dei nostri ricordi. Ma, dall’altra, anche con una delle innumerevoli identità digitali in cui abbiamo moltiplicato la nostra unica presenza psicofisica.
L’integrazione assodata tra la dimensione online e quella offline in una realtà onlife, per usare i termini noti di Luciano Floridi, ha reso l’essere umano un’entità multi-identitaria o post-individuale: ogni individuo, cioè, sviluppa più identità digitali o “anime informazionali” le quali possono essere intese tanto come un prolungamento della nostra presenza psicofisica quanto come una sua vera e propria sostituzione. Questa ambiguità, unita alla coincidenza tra passato e presente, rappresenta un’occasione imperdibile per emancipare le identità digitali da quella biologica. Come evidenziano gli studi nel campo della Digital Death, il fatto che non vi sia corrispondenza tra la morte biologica di un individuo e la sua morte digitale, in quanto è possibile un’interazione postuma dei suoi dati nella dimensione online, permette ai nostri ricordi di sostituirci, di fare a meno di noi, vivendo quella specie di vita autonoma agognata dai fautori del transumanesimo[5].
Questi fenomeni, strettamente collegati tra loro, rappresentano un punto di partenza fondamentale per ripensare la dialettica tra il ricordare e il dimenticare nell’attuale epoca delle tecnologie digitali. In questo senso sono centrali gli studi sulla “morte digitale”: mentre riportano all’attenzione delle persone il ruolo della morte all’interno della vita, offrono gli spunti necessari per capire questa generale tendenza nostalgica del presente e per rendere l’autonomia dei ricordi il meno traumatica possibile.
Note
- Ho approfondito il tema in oggetto nel libro Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio, Bollati Boringhieri, Torino 2020
- K. Goldsmith, CTRL+C, CTRL+V – scrittura non creativa, Nero, Roma 2019, p. 187
- K. Goldsmith, Perdere tempo su Internet, Einaudi, Torino 2017, p. 63
- J. Gottschall, L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani, Bollati Boringhieri, Torino 2014, pp. 182-183
- D. Sisto, La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale, Bollati Boringhieri, Torino 2018