È certamente vero che i social network ci riempiono di possibili ecochamber in cui rinchiuderci a ripetere le nostre convinzioni con chi già le condivide, ma è anche vero che la rete e gli stessi social media offrono opportunità di aprire, oltre che di chiudere le finestre sulla strada della comunicazione sociale, politica e culturale.
I recenti fatti di Washington con l’assalto al Congresso americano da parte dei sostenitori di Donald Trump possono fornire il segno di come, oggi, i social media rappresentino ormai una parte preponderante delle strategie di comunicazione, su diversi livelli e con forti implicazioni sulla tenuta delle democrazie.
E le prese di posizione delle big tech nei confronti dei messaggi incendiari di Trump sono la dimostrazione che le aziende del web sono convinte di essere in grado di autoregolarsi senza nuovi interventi legislativi. Un quadro complesso e articolato, dunque, in cui fondamentale diventa l’educazione dei cittadini a un uso consapevole del web e dei suoi strumenti di comunicazione.
Proviamo a fare una sintesi, partendo dalla cronaca di quella che già viene considerata una delle giornate più nere della democrazia americana, e proponendo poi una riflessione sulla comunicazione via web uscendo dalla stretta contingenza politica.
La cronaca della giornata sui social
Il 6 gennaio 2021, il Senato americano è stato invaso da gente armata, che si è stravaccata nello studio della portavoce Nancy Pelosi e nella poltrona in cui sedeva il vicepresidente Pence, brandendo bandiere dei Confederati schiavisti, sfasciando arredi, porte, telecamere della stampa, bloccando la procedura di investitura del nuovo presidente e causando 5 vittime e un numero elevato di feriti e arrestati; ebbene, a questo quadro di desolazione che si è abbattuta sulla democrazia americana, vale la pena aggiungere qualche riflessione sul ruolo della comunicazione via web.
I tweet dei protagonisti hanno scandito non solo la cronaca dei media, ma anche le fasi del tentato colpo di stato di Trump e la risposta delle istituzioni e delle forze dell’ordine.
Senza i social continueremo a non sapere che cosa è accaduto veramente a tre delle 4 vittime.
La reazione dei social network, comunque, non si è fatta attendere. Eccone la cronaca, che è praticamente la cronaca del tentato colpo di Stato.
Alle 15.08 del 6 gennaio, Twitter blocca l’account di Trump, costringendolo ad usare quello del suo direttore social media Dan Scavino per inoltrare la prima delle scuse, tra l’altro ancora incendiarie.
Alle 15.17 Nancy Pelosi viene evacuata dall’aula e messa in sicurezza.
Tra le 15.15 e la 15.45, sempre su Twitter, girano le immagini non solo dell’assedio all’entrata del Campidoglio, ma anche quelle dei senatori che si devono rifugiare e chiudere negli uffici, sgombrando l’aula, dove alcuni agenti devono impugnare le armi per tentare di fermare l’irruzione.
Alle 15.47 su Twitter appare l’immagine di uno dei sostenitori di Trump che leva il pugno della vittoria dalla sedia occupata fino a qualche minuto prima da Mike Pence per condurre a compimento l’investitura di Biden.
Alle 16.13 Joe Biden ingiunge Trump a “mantenere il suo giuramento e difendere la Costituzione chiedendo di cessare l’assedio…che non è una protesta ma un’insurrezione”.
Alle 16.20 Trump lancia un videomessaggio su Twitter, dove ripete che le elezioni sono state rubate, ma che la gente deve andare a casa in pace, con un invito fatto apposta per incendiare e non per spegnere gli animi: “Andate dunque a casa, vi amiamo, voi siete molto speciali. Voi avete visto che cosa accade, voi avete visto come sono trattati gli altri che sono così cattivi e malvagi” .
Twitter a questo punto blocca l’aggancio al video di Trump “per motivi di rischio di violenze”, aggiungendo una nota sulla falsità delle accuse di furto delle elezioni.
Alle 16.59 il capo della polizia di Washington DC annuncia il coprifuoco.
Alle 17.45 Facebook rimuove il video di Trump in cui continua ad accusare Biden di furto delle elezioni, motivando la scelta per i rischi di violenza.
Alle 17.59 anche YouTube rimuove il video di Trump.
Alle 18.02 Trump tweetta nuovamente difendendo coloro che hanno assalito il Campidoglio: “Vi sono cose ed eventi che accadono quando una così schiacciante sacra vittoria elettorale viene così brutalmente e odiosamente strappata dalle mani di grandi patrioti che sono tati trattati malamente e ingiustamente per tanto tempo”.
Alle 18.39 Twitter rimuove gli ultimi due post di Trump.
Alle 19.00 Twitter blocca l’account di Trump per 12 ore ed esso rimarrà bloccato finché non verranno rimossi diversi tweet. La società annuncia che il suo account sarà rimosso definitivamente se violerà in futuro di nuovo le regole.
Alle 20.00 Facebook annuncia che bloccherà la pagina del presidente Trump per 24 ore a causa di due violazioni delle politiche del social network, e ciò significa che durante questo periodo non potrà aggiungere post.
Continuano, intanto, nel Congresso che ha ripreso i lavori, le contestazioni dei risultati elettorali in alcuni Stati. Esse vengono respinte e finalmente alle 3.44 del mattino del 7 gennaio la riunione congiunta di Camera e Senato viene sciolta, dopo aver confermato 306 a favore di Joe Biden e Kamala Harris e 232 voti per Donald Trump e Mike Pence.
Esiste ancora la saggezza della folla partigiana?
La certezza che i social network siano uno strumento di democrazia è venuta meno: la pongono in discussione coloro che studiano gli effetti degli algoritmi sulle ecochamber e sulle cyberscade. L’algoritmo seleziona gli argomenti graditi e mette in contatto gruppi omogenei che si radicalizzano sulle posizioni più estreme, rifiutando il confronto con altre idee. In questo modo si perde la discussione e il confronto, necessari alla sopravvivenza stessa della democrazia e degli spazi di comunicazione aperta di cui essa ha bisogno.
Così si è passati dall’enfasi sul ruolo democratico dei social network, che si sviluppò durante e dopo le primavere arabe, ma anche nelle rivolte di Hong Kong, ad una visione più pessimistica, in cui i social network divengono spazi per la mistificazione dei fatti, la diffusione delle notizie false etc. In una parola, diventano, secondo questa visione, gli spazi dove si contrasta la democrazia deliberativa, ossia la democrazia che deve scegliere tra proposte diverse tenendo il più possibile aperta la discussione in modo che la qualità delle proposte possa alla fine emergere al di là degli schieramenti partigiani.
Ora, alcuni hanno riproposto il ruolo positivo degli spazi offerti dai social network, sostenendo che la folla partigiana mantiene una sua saggezza, poiché può scegliere comunque, può comunque discutere, al di là degli effetti perversi degli algoritmi.
Riteniamo che questo dibattito, pur assai interessante, debba uscire dalla contingenza politica immediata.
Il ruolo dei social network dopo l’assalto al Senato
Anche la vicenda dell’assalto al Senato USA, che abbiamo riassunto nel paragrafo precedente, solleverà nuovo polverone sul ruolo dei social network:
- verranno trovate forme di istigazione e di organizzazione dell’assalto, che sono sicuramente passate per la rete;
- si troveranno seguaci di QAnon che hanno sicuramente sostenuto e promosso l’assalto e, prima ancora, la delirante politica di Trump di contestare la vittoria di Biden;
- si discuterà sulla legittimità delle decisioni dei social network di bloccare l’account di Trump e di rimuovere le sue dichiarazioni dopo l’esito tragico dell’assalto e della manifestazione da lui promossa, alimentata e guidata.
Sono questioni legittime e che verranno approfondite e discusse in tutte le sedi, politiche, mediatiche, scientifiche.
Ci preme qui indicare che manca, in queste discussioni, una prospettiva adeguata a cogliere la dimensione del problema.
La comunicazione è il web
Queste ultime elezioni hanno segnato un aumento della partecipazione degli elettori di circa il 5% degli aventi diritto. Pur in presenza della comunicazione rumorosissima dei social network, la partecipazione non diminuisce, ma può aumentare. Questa estensione ha riguardato in prevalenza il voto delle minoranze: è questo uno dei motivi di maggiore scandalo per i sostenitori di Trump. Essi hanno toccato con mano che i tradizionali metodi, più o meno legittimi, di tener lontano dal voto le minoranze, non hanno garantito il risultato. Le tradizionali manipolazioni di QAnon e degli altri gruppi di sostegno a Trump, pur nel loro dispiegamento esteso, non sono bastate. Gli “aiutini” di Putin e compagni, che avevano contribuito al suo successo nel confronto con Hillary Clinton, non hanno funzionato o non si sono sufficientemente attivati.
È probabilmente vero che la folla partigiana può trovare la strada per farsi idee articolate, meditate e documentate sui fatti e sulle proposte politiche, non cadendo sic et simpliciter in una cybercascade, dove tutti ripetono, esagerandoli, gli slogan più estremisti. Ma è comunque lì, nella comunicazione web, che la battaglia si svolge.
Se questo è vero, allora i problemi, veri e gravi, delle fake news, degli attacchi cyber, dell’estremismo impunito sulla rete, della violenza organizzata in rete etc, vanno affrontati sia sul versante delle difese democratiche, sia sul versante dell’educazione degli utenti.
Le difese democratiche sono quelle fornite da un sistema di monitoraggio e contrasto degli attacchi cyber (della malavita o degli Stati nemici), da una giustizia rapida e certa, da investimenti in professionalità e tecnologie da parte dell’amministrazione pubblica e delle imprese.
Si riapre la partita sulla regolazione delle Big Tech?
Le saracinesche dei social network si sono chiuse, temporaneamente, sul tentato colpo di stato di Trump. Big Tech ha cercato di non partire con il piede sbagliato sotto il mandato di Biden. Ma la cronaca ci dice anche che il presidente più ostile ai social network e agli OTT, non ha fatto altro che utilizzarli sistematicamente per la sua comunicazione politica e perfino istituzionale. Ha sostanzialmente guidato l’attacco al Campidoglio tramite i social media.
L’azione delle Big Tech durante l’attacco al Senato da parte di Trump, dimostra che esse vogliono asserire di essere capaci di autoregolarsi, senza bisogno di interventi legislativi. Questa è la nuova partita che si apre, ma ricordiamoci che essa si apre su un terreno che non è nuovo, se non per la sua pervasività nel bene e nel male: quello dell’inevitabile, dell’indispensabile ruolo della comunicazione sociale per fini politici e istituzionali.
La battaglia ci sarà, non solo negli USA di Joe Biden il quale, assai più che Kamala Harris proveniente dalla California e vicina al mondo Big Tech, ritiene che i giganti del web non facciano abbastanza per moderare il contenuto dei social media.
Trump, da privato cittadino, avrà in futuro qualche difficoltà in più ad usare i social media come cassa di risonanza dei suoi messaggi agli elettori: le saracinesche abbassate quando era ancora al potere gli restringeranno gli accessi, ma non potrà più brandire il bastone del comando come era uso fare da presidente.
Il cyber-empowerment della società
Se la regolazione è il terreno in cui si combatteranno le prossime battaglie intorno allo strapotere delle Big Tech, dobbiamo convincerci che, quale che ne sia l’esito, l’educazione degli utenti è necessaria per due motivi.
Il primo è che lo sviluppo delle capacità di difesa del sistema dipendono essenzialmente dalla disponibilità di competenze professionali di alto livello per le aziende, le pubbliche amministrazioni, la ricerca e la scuola. Si tratta quindi della formazione specialistica, quella cosiddetta vocazionale (pre-universitaria) e quella accademica vera e propria. Ma vi è un’altra e forse preliminare attività formativa che va fatta nelle scuole e nei media: creare la cognizione dell’importanza centrale che l’uso della rete consapevole, critico, creativo, ha per lo sviluppo delle capacità professionali e civiche dei giovani.
La storia delle istituzioni democratiche è tutt’altro che lineare: la loro robustezza dipende non tanto da un modello unico ed ottimale, ma da come il bilanciamento dei poteri, la neutralità dell’amministrazione, la imparzialità e credibilità della giustizia, la trasparenza dell’amministrazione e della politica riescono a convivere e ad alimentarsi reciprocamente, sotto gli occhi di una opinione pubblica capace di valutare e controllare l’operato delle istituzioni e del sistema politico.
Questa capacità è la chiave del buon funzionamento della democrazia. Questa capacità deve essere al centro di qualunque programma di riattivazione della scuola dopo il lockdown, di ampliamento dei percorsi di studio, di estensione del tempo e della durata dello studio, di premio alle capacità che meritano, così da spingere il più possibile verso una scolarizzazione più estesa, più lunga, più attraente, più utile per il lavoro e per l’esercizio dei diritti.