Meta e non solo

Social senza freni: che cambia con la svolta pro-Trump



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Meta abbandona il fact checking o quasi. Musk su X l’ha già fatto. Il liberi tutti sostenuto dal nuovo presidente Usa Donald Trump per i contenuti social viene in realtà da lontano, dall’anima sregolata delle big tech e ci porteranno in un nuovo scenario. Ecco come

Pubblicato il 10 gen 2025

Antonino Mallamaci

avvocato, Co.re.com. Calabria



social media (1)

La reazione di Donald Trump all’annuncio di Mark Zuckerberg sulla cancellazione del fact checking per i suoi social? “Hanno fatto molta strada”.

E quando gli è stato chiesto se pensava che i cambiamenti fossero una risposta alle sue minacce ha risposto “Probabilmente”.

Dalla quasi totalità degli osservatori la mossa del ceo di Meta è stata interpretata come un ulteriore passo per accreditarsi verso i nuovi padroni degli Stati Uniti, appunto il presidente prossimo all’insediamento e il suo sodale Elon Musk.

È vero, ma c’è chi indica anche altri motivi che vedremo più avanti. In sostanza, Zuckerberg non ha mai amato il controllo sugli utenti, e ora è potuto venire allo scoperto in modo eclatante e repentino.

Stile Musk. Della rivoluzione erano già stati avvisati i funzionari di Trump, secondo fonti interne a Meta. “L’annuncio del fact-checking” ha coinciso con un’ospitata sulla Fox del nuovo responsabile delle politiche globali di Meta Joel Kaplan, uno dei pochi repubblicani al servizio di Zuckerberg: c’è “troppa parzialità politica” nel programma di fact-checking di Meta, ha dichiarato.

Meta non ha mai amato i controlli

Tornando indietro nel tempo, si può verificare quanto il fondatore di Facebook fosse allergico ai controlli, come d’altra parte tutti i suoi colleghi dirigenti e proprietari di social media. Nel 2019, intervenendo alla Georgetown University, aveva sostenuto che “la libertà di espressione è stata la forza trainante del progresso nella società americana e in tutto il mondo e che inibire la parola, per quanto ben intenzionate siano le ragioni per farlo, spesso rafforza le istituzioni e le strutture di potere esistenti invece di dare potere alle persone. Alcuni credono che dare voce a più persone stia alimentando la divisione, credono che raggiungere i risultati politici che ritengono importanti sia più importante che dare voce a ogni persona. Penso che sia pericoloso”. 

Oggi afferma che le “recenti elezioni” sono un “punto di svolta culturale per tornare a dare priorità alla parola”. Una “nuova era” in cui l’azienda può tornare “alle proprie radici” e “concentrarsi sul ripristino della libertà di espressione” piuttosto che cercare di ridurre i contenuti falsi, dannosi o offensivi.

Zuckerberg ha precisato che la misura anti fact checking avrà, per ora, validità solo negli USA.

Meta trae profitto da contenuti impropri

Questo è un argomento delicato, che concerne i problemi che la piattaforma dovrà affrontare in tutto il mondo, in particolare nella UE. Proprio in questi giorni, un rapporto del gruppo di ricerca europeo senza scopo di lucro AI Forensics ha rivelato che 3.316 annunci pubblicitari con immagini e video espliciti per adulti sono comparsi nell’ultimo anno su Facebook e altre piattaforme Meta in Europa, raggiungendo 8 milioni di utenti.

Gli annunci, molti dei quali presentano atti sessuali espliciti, sono stati mostrati principalmente a uomini di età superiore ai 44 anni, grazie ai sistemi di targeting pubblicitario dell’azienda.

Quando i ricercatori hanno tentato di pubblicare le stesse immagini e video su Facebook e Instagram, essi sono stati rapidamente rimossi. Secondo i ricercatori ciò evidenzia un “doppio standard” in base al quale Meta sta traendo profitto da materiale che le sue politiche vietano e solleva dubbi sulla conformità dell’azienda alle normative europee.

Documenti interni di Meta inoltre, rivelati dal FT, dicono che l’azienda ha esonerato dai controlli i grandi investitori pubblicitari.

Ai sensi del Digital Services Act, le maggiori piattaforme online devono divulgare gli aspetti chiave delle loro pratiche di moderazione dei contenuti, eseguire valutazioni del rischio dei potenziali danni che potrebbero verificarsi sulle loro piattaforme e adottare misure per mitigare tali danni.

Nelle sue valutazioni del rischio per Facebook e Instagram, Meta ha riferito di “esaminare in modo proattivo tutti gli annunci pubblicitari prima che possano essere pubblicati sulle piattaforme di Meta”. Cosa succederà ora?  Zuckerberg ha criticato l’Europa per le numerose leggi che “rendono difficile costruire qualcosa di innovativo da quelle parti”. E già questo è indicativo.

L’Europa

Secondo Thierry Breton, ex commissario Ue e principale artefice dell’adozione del Dsa (intervistato da Repubblica) “L’Europa deve garantire le regole sulle piattaforme digitali e la sua sovranità nelle infrastrutture di telecomunicazioni. Gli strumenti per proteggere le nostre democrazie ci sono, è importante applicarli”.

Su Elon Musk, Breton è chiaro: egli “ha il diritto di esprimere le proprie opinioni. Se interviene con un articolo su un giornale come Die Welt si tratta di libertà di espressione. Diverso è quando le stesse opinioni di Musk vengono diffuse sul suo social X, sottoposto alle regole del Dsa. In questo caso, l’Europa ha il dovere di vigilare per evitare manipolazioni di contenuti”.

“Politico” riporta l’appello del ministro francese Jean-Noël Barrot, il quale ha “invitato la Commissione europea in diverse occasioni a sfruttare in modo molto più vigoroso gli strumenti a sua disposizione per dissuadere tale comportamento (di Musk)” e ad avviare un’azione contro Musk e X ai sensi del Digital Services Act.

Fin qui alcune prese di posizione dell’Europa. A questo proposito, vi è tuttavia da rilevare che molti partiti e governi a guida sovranista potrebbero, nel breve o medio termine, determinare un cambiamento dell’atteggiamento nei confronti dell’”onda americana”, con sviluppi non prevedibili.

Meta va dove va il vento politico

Per tornare alle ragioni che hanno indotto Zuckerberg alla svolta radicale annunciata, vi è da premettere che il padre di Facebook non è mai stato insensibile rispetto alle mutazioni dello scenario politico.

Le politiche sulla libertà d’espressione dell’azienda nel corso degli anni sono cambiate insieme ai venti politici prevalenti. Nel 2017, l’azienda ha risposto alla rabbia per le interferenze elettorali russe e la disinformazione assumendo migliaia di moderatori e lanciando un programma di verifica dei fatti, ma ha in gran parte esentato Trump da quelle politiche. L’impunità del tycoon è durata però meno di 24 ore dopo l’elezione di Biden.

Il 7 gennaio 2021 Facebook si è unito ad altri giganti della tecnologia nel sospendere l’account di Trump per il suo ruolo nei fatti del giorno precedente a Capitol Hill. Durante il mandato di Biden, con le minacce normative incombenti, l’azienda ha lavorato per reprimere bufale e teorie del complotto, in particolare sulla pandemia di covid e sui vaccini. Un’attività costosa, sia in termini di risorse necessarie per un’efficace moderazione, sia per l’esposizione contro la Destra.

I repubblicani hanno avviato indagini sulla “censura” delle Big Tech e i procuratori generali degli Stati repubblicani hanno citato in giudizio l’amministrazione Biden, accusandola di collusione con Facebook per sopprimere le opinioni conservatrici. Nel gennaio 2023, con i repubblicani che avevano preso il controllo della Camera dei Rappresentanti e Trump che puntava a un’altra corsa alla presidenza, Facebook e altre piattaforme tecnologiche lo hanno reintegrato. Ora Zuckerberg si sta affrettando a mettersi dalla parte buona per ingraziarsi un soggetto che prende la politica sul piano personale e non ha mostrato scrupoli nell’usare i propri poteri per perseguire le aziende che lo ostacolano.

Nel suo primo mandato, Trump ha cercato due volte di annullare la Sezione 230, e la sua Federal Trade Commission ha intentato una causa antitrust contro Facebook che è ancora in tribunale. La presidente uscente della FTC, Lina Khan, ritiene che Meta e Amazon potrebbero essersi avvicinate a Trump nella speranza di un accordo nei rispettivi casi antitrust.

Nel frattempo, Trump sta esortando la Corte Suprema a ritardare il divieto di TikTok in modo che possa decidere personalmente il destino del principale concorrente di Meta. E la presidente della Federal Communications Commission, Brendan Carr (trumpiana), ha avvertito formalmente Meta e altre Big Tech che un fact-checking troppo zelante potrebbe costare loro le protezioni della Sezione 230 che ricadono sotto la sua supervisione. 

Un grosso risparmio

Allinearsi con Trump comporta l’ulteriore attrattiva di far risparmiare a Meta cifre enormi. Per essa, creare un software che connetta i propri utenti più o meno senza soluzione di continuità e li tenga agganciati ai contenuti degli altri è la parte più facile. Un singolo prodotto può servire miliardi di persone, il che rende i giganti di Internet molto più redditizi rispetto, ad esempio, alle società di media che pagano professionisti per produrre i loro contenuti.

È invece molto costoso e generatore di problemi vari assumersi una certa responsabilità per i contenuti generati dagli utenti. Moderare richiede di addentrarsi in spinose questioni legali e morali, con probabili rimostranze anche se fatto bene. E farlo bene, su scala globale, è estremamente costoso. Una strategia molto più economica è quella di intervenire in modo selettivo, scadente o non farlo affatto, chiamando il risultato conseguito “libertà di parola”. Zuckerberg ha criticato aspramente le pratiche di moderazione dei contenuti della sua azienda, definendo i suoi fact-checker “di parte” e denunciando la “censura” risultante.

Il rischio economico

C’è però un rovescio della medaglia. Allentando le regole sull’hate speech, per consentire agli utenti di definire l’omosessualità una malattia e le donne come proprietà, Meta rischia di allontanare alcuni utenti e inserzionisti, come avvenuto su X che ha dimezzato i ricavi pubblicitari da quando c’è Musk (2024 vs 2021).

Ciò può avere inoltre conseguenze nel mondo reale per i gruppi vulnerabili. Ora che Trump è tornato al potere, sembra che sia un sacrificio che Meta è disposta a fare.

Le critiche dei fact checker alla scelta Meta

Carlos Hernández-Echevarría, direttore associato della piattaforma spagnola indipendente di fact-checking Maldita.es., sottolinea: “Basta vedere i festeggiamenti sui canali di noti attori della disinformazione per sapere che questa è una cattiva notizia per gli utenti di Meta”, aggiungendo che i fact-checker “non hanno censurato nessuno e non hanno mai chiesto a Meta di rimuovere nulla di legale”.

Egli si aspetta inoltre che le leggi dell’UE vengano applicate “indipendentemente dalla pressione politica proveniente dagli Stati Uniti. È il momento di essere coraggiosi e di non cedere alle intimidazioni”.

Alexios Mantzarlis fondatore dell’international fact-checking network (ifcn), la coalizione globale di progetti di fact-checking, ha esercitato la sua professionalità sull’annuncio di Zuckerberg.

Secondo lo studioso, nelle 96 parole della parte del suo annuncio  che concernono la smobilitazione dei fact checkers c’è così tanta malafede  da non sapere da  dove cominciare.

Zuckerberg ha scelto di ignorare la ricerca che mostra che gli interventi politicamente asimmetrici contro la disinformazione possono derivare dalla condivisione politicamente asimmetrica di disinformazione. In sostanza, i conservatori americani tendevano a condividere più da siti Web di notizie false su Twitter anche quando la definizione di “notizie false” era lasciata al voto di un gruppo bipartisan di utenti piuttosto che di fact-checker professionisti. 

Ancora: il codice di principi dell’International Fact-Checking Network (IFCN)  ha rigorosi requisiti di trasparenza che vengono esaminati annualmente da un valutatore esterno, e perciò Zuckerberg si affidò a quello.

Il codice è stato apprezzato persino della rivista conservatrice The Weekly Standard, e lo stesso CEO di Meta ha dichiarato al Congresso USA che  l’IFCN aveva “uno standard rigoroso per svolgere il ruolo di fact-checker”.

Egli oggi non dice che una grossa fetta dei contenuti che i fact-checker hanno segnalato non ha a che fare con la politica. Si tratta di clickbait spam di bassa qualità che le piattaforme Meta hanno mercificato. PolitiFact raccoglie tutte le falsità che ha etichettato: solo il 21% riguarda post politicamente sensibili e il 45% non riguarda la politica.

Zuckerberg giustifica la chiusura del programma come una difesa della libertà di parola, ma  le etichette di fact-checking non hanno portato alla rimozione dei post, ma solo alla riduzione della loro visibilità; non ha impedito agli utenti di continuare ad accedervi.

Il programma di fact-checking non era perfetto e i fact-checker hanno senza dubbio sbagliato in una certa percentuale nell’apposizione delle etichette. Il report sulla trasparenza di Meta  suggerisce che  questo tasso di errore nell’UE potrebbe essere del 3%, inferiore al tasso di errore per altri contenuti declassati. Mantzarlis prende quindi in esame l’alternativa proposta da Zuckerberg ai fact-checker, rilevando in primis come sia insolito vedere un CEO affermare che imiterà il prodotto di un’altra piattaforma.

Quanto al rimedio, egli cita una ricerca secondo la quale gli utenti di Community Notes sono motivati da partigianeria. Inoltre, il 90% delle Community Notes non vengono mai visualizzate su X. Conclude affermando di non essere contrario in linea di principio al fact-checking basato sull’intervento degli utenti, ma dubita che Meta abbia in mente di incentivarlo in modo da rendere il sistema efficace.

Le critiche al fact checking

Ci sono anche studi discordanti su validità del fact checking. Molti dei quali pubblicati da Walter Quattrociocchi, direttore del Centro di Data Science and Complexity for Society (CDCS) della Sapienza. La sua idea, nelle evidenze raccolte, è che il fact-checking non funziona. E spesso peggiora le cose, rafforzando la polarizzazione e consolidando le echo chamber”.

“Il problema è che siamo intrappolati in un modello di business che premia l’engagement, non l’accuratezza. Le piattaforme amplificano ciò che divide ed emoziona, perché questo genera interazioni. Nel frattempo, fenomeni come il confirmation bias – che ci porta a cercare solo informazioni che confermano le nostre convinzioni – e le echo chamber – che rinforzano narrative univoche isolando il confronto – prosperano senza alcun freno”.

“Inoltre, le dinamiche di interazione, come il discorso d’odio, sono sorprendentemente indipendenti dalla piattaforma. Lo abbiamo dimostrato nel nostro studio pubblicato su Nature, dove abbiamo analizzato la persistenza dei pattern di interazione sociale attraverso diverse piattaforme. Questo significa che i problemi non possono essere risolti semplicemente cambiando uno strumento o una policy”.

Come diventeranno Facebook-Instagram-Threads

Alcuni esperti avvertono che le modifiche a Facebook, Threads e Instagram consentiranno alla disinformazione, alla misinformazione, ai discorsi estremi e persino all’incitamento all’odio di prosperare sui siti. Allo stesso tempo, affermano che consentire alle persone di segnalare i post problematici in tempo reale potrebbe funzionare bene solo se incentivato a dovere.

Secondo Kate Ruane, direttrice del Center for Democracy and Technology’s Free Expression Project, che sostiene la libertà di espressione e la libertà di parola, “il nuovo processo potrebbe sostituire le verifiche dei fatti più lente con qualcosa di più simile a Wikipedia, che ha più fiducia nel pubblico rispetto alle testate giornalistiche tradizionali.

È positivo che Meta stia cercando soluzioni scalabili che, si spera, miglioreranno la fiducia e il sostegno alla libertà di parola allo stesso tempo”. Zuckerberg ha anche intenzione di ridurre le barriere intorno al discorso sulle donne, l’identità di genere e i migranti, e di cambiare l’algoritmo per rendere più difficile vedere nuove informazioni. “Tutto ciò potrebbe isolare le persone nelle proprie comunità, in modo che gli utenti siano più propensi a fare eco – piuttosto che sfidare – i punti di vista” secondo Laura Edelson, ex funzionario del Dipartimento di Giustizia ed esperta di algoritmi presso la Northeastern University. “Avremo “tane del coniglio” più estreme”, avverte.

Maximillian Potter, giornalista di Protect Democracy, gruppo anti-autoritario, sottolinea che i giornalisti stessi sono impegnati a riportare i fatti e ad aiutare le persone a comprenderli. Ma il loro lavoro diventerà molto più difficile se ci sarà una pressione dall’alto. “Stiamo assistendo a questo impulso alla resa in tutta la società americana”, avverte Jonathan Last, editore del gruppo mediatico di centro-destra Bulwark.

Tutto questo – un panorama mediatico in difficoltà, e quello dei social media più selvaggio – potrebbe rendere più difficile per chiunque usare la libertà di parola, dicono gli esperti. “Sono preoccupato per l’uso del concetto di libertà di parola come randello per mettere a tacere le persone che non sono d’accordo con il governo”, rileva un portavoce del Center for Democracy and Technology’s Free Expression Project. Questo non è solo una possibilità: Trump e i suoi alleati hanno detto apertamente di voler perseguire oppositori e giornalisti, e persino di voler incarcerare ex membri del Congresso.

In conclusione, sembra che la rivoluzione conservatrice e sovranista abbia disinibito anche Big Tech. Se qualche tentativo c’era stato negli USA per limitare lo strapotere dei giganti della tecnologia, l’avvento del duo delle meraviglie Trump – Musk (o viceversa) ha scatenato la voglia di rifiutare ogni regola. In questo frangente, la Vecchia Europa potrebbe rappresentare un argine. Ma fino a quando? E, in ogni caso, con quale forza?  Lo sapremo presto.

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