La CNN lo definisce il “massacro del mercoledì notte”. Un evento che rischia di penalizzare molto la libertà della rete e favorire ulteriori involuzioni verso apparati di sorveglianza di massa basati su internet e i nostri dati.
L’evento: mercoledì notte della scorsa settimana sono stati licenziati in tronco i direttori di quattro organizzazioni controllate dall’Agenzia statunitense per i media globali (Usagm): Radio Free Asia, Radio Free Europe/Radio Liberty, Middle East Broadcasting, e l’Open Technology Fund (Otf).
Usagm è una delle agenzie federali di media grandezza che negli anni ha garantito la diffusione degli interessi nazionali americani, declinati in modo un po’ retorico come «democrazia, libertà e trasparenza», attraverso la comunicazione globale.
Deflagrante la recente scelta del direttore operativo leale a Trump, Michel Pack, insediato con l’obiettivo di risollevare l’efficacia dell’agenzia e di renderla funzionale agli interessi del presidente.
Ma ciò che rende incandescente il terreno dello scontro è il tentativo da parte dell’Open Technology Fund di garantirsi nel Congresso un finanziamento autonomo dall’Usagm, per evitare che i fondi finora erogati siano distolti dal programma portato avanti negli ultimi otto anni.
Perché l’Open Technology Fund serve alla libertà della rete (e nostra)
Il “massacro” di cui si parla rischia di riguardare i nostri diritti e libertà.
«Le tecnologie che l’Open Technology Fund finanzia sono alla base di quasi tutti gli strumenti di protezione per le persone che accedono a internet in società chiuse», commenta Seamus Tuohy, direttore della sicurezza informatica di Human Rights Watch. «Otf è un partner credibile, trasparente e affidabile per i sostenitori della libertà su internet a livello globale, e il loro lavoro è fondamentale per il perseguimento dei diritti umani fondamentali nell’era digitale». Il cambio al vertice di questa organizzazione indipendente senza scopo di lucro minaccia di annullare gli invidiabili risultati ottenuti finora.
Otf è il principale finanziatore di tecnologie aperte per la sicurezza e la condivisione su Internet basate su software libero.
«Ma Otf non finanzia solo tecnologie all’avanguardia che supportano gli attivisti per i diritti umani, come il nostro progetto — sostiene Arturo Filastò, direttore del progetto italiano OONI, che è una prima piattaforma che documenta come avviene la censura internet nel modo— supporta anche la community di “Internet Freedom” globale, che è essenziale per far sì che queste soluzioni siano sostenibili a lungo termine».
Rima Sghaier, program manager del Digital Whistleblowing Fund e nominata da The Guardian come uno dei 10 migliori talenti emergenti dell’Africa per guidare la trasformazione digitale del continente africano afferma che l’Otf «ha sempre incoraggiato piccole comunità di programmatori di tutto il mondo, altrimenti marginalizzati e guardati con sospetto dai governi, e non solo quelli totalitari, per dar loro modo di sviluppare al meglio le tecnologie fondamentali per definire una nuova idea di “Internet Freedom” globale».
I software contro la sorveglianza
Progetti come TOR, Signal, LetsEncrypt, Tails e tanti altri, tra cui quelli italiani Globaleaks, OONI e NoScript, senza il finanziamento americano non avrebbero mai raggiunto la maturità.
«Oggi osserviamo un’espansione della sorveglianza statale nella sua forma più perversa. — ha commentato, Mikuláš Peksa, deputato europeo del Partito Pirata — Le persone perdono la loro libertà mentre i loro dati vengono sfruttati da imprese e governi. Il software libero è lo strumento cruciale per garantire l’autodeterminazione digitale, la pietra angolare della democrazia e dei diritti individuali nel XXI secolo».
Il fatto queste comunità finanziate dall’Otf sono attente agli aspetti di privacy e autonomia, e non solo perché è «software libero», che rende queste tecnologie le più efficaci per la promozione della libertà dovunque nel mondo. Anche negli Stati Uniti.
Infatti mentre le agenzie di intelligence americane hanno avuto gioco facile a convincere i produttori proprietari di introdurre accessi di servizio ai loro software per permettere indagini e attività di spionaggio, nel caso di questi strumenti open source non hanno potuto mai ottenere questi risultati. L’uso di tecnologie crittografiche solide e l’adozione di approcci aperti e condivisi, non permettono aree di opacità e rendono quindi impossibile l’introduzione di backdoor.
Per queste comunità, le idee di privacy e libertà sono obiettivi senza compromessi che appaiono in contrasto con quelli dell’attuale amministrazione americana e probabilmente dei governi di tutto il mondo, si pensi solo a quanto fatto dal governo italiano con i trojan messi a disposizione degli inquirenti.
Nello scontro per l’indipendenza, l’amministratore delegato dell’Open Technology Fund, Libby Liu, aveva già rassegnato le dimissioni con effetto dai primi di luglio, proprio perché è venuta a conoscenza del tentativo di distogliere i fondi dal finanziamento dell’open source per dedicarli a servizi commerciali. Neppure questo però le ha risparmiato il licenziamento in tronco della notte di mercoledì scorso.
C’è un aspetto di questa storia che riguarda direttamente il nostro paese perché, grazie ai finanziamenti dell’Otf, alcuni progetti nati e cresciuti in Italia sono riusciti a costruire realtà solide e riconoscibili a livello internazionale.
Globaleaks
Il più noto è Globaleaks, il software di whistleblowing adottato tra gli altri anche dall’Autorità anticorruzione italiana (Anac), ma anche dal Tribunale Internazionale Permanente dell’Aia, da Amnesty nel Medio Oriente, Transparency International, da Le Monde e altre centinaia di altre organizzazioni e media riconosciuti in tutto il mondo. Grazie a Globaleaks, in partnership con Transparency, è recentemente nata in Italia una piattaforma aperta chiamata WhistleblowingPA, che permette ad ogni ente o amministrazione locale di creare, praticamente senza costi, il proprio sistema di whistleblowing secondo le regole stabilite da ANAC.
«Senza mezzi termini, il finanziamento di Otf, nelle fasi seminali del progetto, è stato determinante — dice Fabio Pietrosanti, presidente dell’Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights, e promotore del progetto Globaleaks— per raggiungere quel livello di qualità che ci ha permesso di offrire un progetto maturo e conquistare un ruolo, ormai indiscusso in questo settore».
Davide Del Monte, executive director di Transparency International in Italia, «grazie a Globaleaks abbiamo avuto la possibilità di sviluppare ALAC – Allerta Anticorruzione, il primo servizio di aiuto gratuito per i whistleblower italiani, che ha aperto la strada alle varie iniziative legislative sul tema e che è capostipite delle successive piattaforme di whistleblowing, tra cui quella dell’Autorità Anticorruzione italiana, realizzata qualche anno dopo».
Finanziato da Otf ed italiano anche NoScript, addon per evitare il tracciamento degli utenti. «L’aspetto che dimostra in modo lampante la lungimiranza delle idee del direttore dell’Otf con i suoi finanziamenti mirati — dice Giorgio Maone, fondatore di NoScript — è stata proprio la capacità di investire in piccole comunità che si sono impegnate nella realizzazione di strumenti che le aziende dominate da una logica di profitto non avrebbero mai messo in cantiere e che invece oggi restano, grazie alla loro caratteristica di essere pubbliche e aperte, a disposizione di tutti e sono state integrate in sistemi che complessivamente sarebbero stati impossibili da realizzare altrimenti».
Il tentativo di Otf di conquistare l’indipendenza finanziaria, per continuare la sua opera di «esportare la democrazia» ben oltre le parole della retorica a stelle e strisce e, una volta tanto, senza l’uso di armi e militari, è stata la causa principale dello scontro nell’Usagm, finito per ora con la decapitazione di tutta la linea dei direttori.
Save Internet Freedom sta guidando su Internet una mobilitazione internazionale, per chiedere ai delegati del Congresso americano, a mantenere il finanziamento sul software libero dell’Otf. E i progetti italiani sono, ovviamente, in prima linea. È possibile firmare all’indirizzo http://saveinternetfreedom.tech.