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Solid, il senso dell’idea di Tim Berners Lee per re-inventare il Web

Una piattaforma aperta e decentralizzata per gestire i dati sul Web e abilitare consapevolezza e controllo sull’uso dei dati. Tim Berners-Lee prova così a (re)inventare il web. Ma utenti e aziende dovrebbero seguirlo. Vediamo di cosa si tratta

Pubblicato il 02 Ott 2018

Riccardo Zanardelli

Ingegnere | MBA

Tim Berners-Lee

Il World Wide Web ha certamente cambiato la nostra vita. Strada facendo però è diventato qualcosa di infinitamente complesso.

Lo sa bene il suo inventore, Tim Berners-Lee, che tre giorni fa ha avanzato una proposta per cambiarlo. Una proposta che potrebbe modificare anche il modo con cui noi tutti ci relazioniamo nel cyberspazio. La sua idea è affascinante. Cerchiamo di capire dove ci può portare.

Cos’è la piattaforma Solid

La proposta di Tim Berners-Lee ha un obiettivo molto chiaro: abilitare consapevolezza e controllo sull’uso dei dati con approccio tecnologico. Per fare questo utilizza proprio il Web ed i suoi protocolli fondanti, con l’aggiunta di un nuovo ingrediente: Solid.

Solid è una piattaforma aperta e decentralizzata per gestire i dati sul Web, sviluppata presso il MIT di Boston. Grazie a Solid, gli utenti possono “separare i dati dalle applicazioni”, trasferendoli in un Personal Online Datastore (POD). Dal POD i dati sono resi disponibili a qualsiasi applicazione autorizzata dall’utente, senza essere fisicamente duplicati su di esse.

Solid è concepito per gestire tutti i tipi di dati, siano essi anagrafici, sanitari, immagini, testi, commenti online, stream di dati da wearable e da dispositivi IoT, insomma più o meno tutto, senza dover rispettare uno specifico formato.

Dice Berners-Lee: immaginiamo Solid come una chiavetta USB per il Web. Una chiavetta che è al sicuro nelle nostre mani ma che noi possiamo inserire dove desideriamo, ad esempio per attivare un servizio. Semplice e chiaro.

L’impatto di Solid sugli attuali modelli di business

Separando i dati dagli algoritmi e trasferendo al data owner il controllo puntuale di “chi accede a cosa”, Solid può ridefinire il funzionamento stesso delle piattaforme di servizio e forse anche i modelli di business basati sulla monetizzazione del dato.

Questo aspetto è importante perché Solid è un protocollo “permissionless”, ovvero può essere utilizzato senza dover chiedere il permesso a nessuno. Esattamente come avviene con il protocollo HTTP sul World Wide Web, esattamente come è accaduto per alcune disruption degli ultimi 15 anni.

Una piattaforma abilitante

Solid aiuta a fare chiarezza sul ruolo di ciascun partecipante all’ecosistema digitale. La domanda di servizio interagisce con l’offerta attraverso dati, comportamenti e risorse economiche, ma nella completa trasparenza e senza asimmetria informativa. Con Solid, i dati servono per far funzionare le applicazioni, non per altro.

Al tempo stesso, Solid abilita un vero e proprio marketplace di algoritmi pronti da sottoscrivere per ottenere un valore impiegando i propri dati, auspicabilmente pagando un prezzo.

In questo senso Solid rappresenta una grande opportunità per il business e per i developer, non diversamente da ciò che fu il primo App Store per i servizi mobile.

A chi conviene Solid

Fino a che punto può esprimersi il potenziale di Solid se l’adozione è solo dal basso, solo da parte degli utenti? Avere un’auto elettrica non ha senso se non esistono infrastrutture di servizi e di ricarica diffuse. A chi conviene partecipare?

In questo senso Solid rappresenta una piattaforma sulla quale tentare di realizzare una convergenza che altrimenti sembrerebbe impossibile: quella tra gli interessi di pochi e grandi attori del Web e dei suoi tanti utenti che reclamano libertà e trasparenza. Il Web è da sempre un luogo di circolazione del valore che non vieta le concentrazioni, ma che nemmeno era stato progettato per favorirle.

Le grandi piattaforme di servizio digitale hanno quindi una grande opportunità: abbracciare un concept che il popolo del Web stava aspettando, ma che nessuno sembrava avere la forza di proporre.

Cosa potrebbe esserci all’orizzonte

Un modello di data ownership robusto è necessario per proseguire nell’evoluzione della società e della cittadinanza digitale, per accelerare in più direzioni.

Per gli individui

Una ritrovata fiducia nel Web può favorire una partecipazione alla data economy con maggiore intensità e frequenza. Finalmente sollevati dalla preoccupazione di perdere il controllo sui dati personali, ciascuno di noi non può che scegliere la propria ricetta di adesione al cyberspazio con un beneficio individuale e collettivo abilitato da un marketplace di applicazioni in continua evoluzione.

Per il business

La possibilità di offrire la data ownership come valore contrattuale garantito da un protocollo open source può essere valore competitivo. Sposta la scelta di un consumatore? Oggi forse sì.

Per i developer

Con gli utenti che rendono disponibile il proprio patrimonio informativo attraverso un data store personale, non ci sono limiti alla creatività ed all’immaginazione. Benvenute start-up! I servizi digitali possono diventare dei mattoncini LEGO da comporre a piacere per elaborare i dati ed ottenere qualcosa in cambio. Serve però un framework economico-organizzativo che sembra non sia incluso in Solid. Questa è un’altra opportunità!

Per i policy makers

Con un protocollo a garantire trasparenza e consapevolezza sull’uso dei dati, è finalmente possibile concentrarsi sulla costruzione di incentivi per la data economy e sulla formazione della cittadinanza alla partecipazione responsabile alla vita digitale. C’è un nuovo modello di “educazione civica digitale” da progettare e richiede uno sforzo imponente. Bisogna che chi ha conoscenze e strumenti per avviare questo processo abbia anche le condizioni tecnologiche per farlo. Forse questa è una buona occasione.

Dopo Solid c’è ancora qualcosa da inventare?

Sì, probabilmente sí. Per esempio Solid non affronta ancora fino in fondo il problema del data sharing. Concentrare i dati e regolarne l’accesso in maniera programmatica non risolve alla radice il rischio di duplicazione del dato. Solid può essere compatibile con Opal, un altro framework concepito sempre da MIT e che si propone di risolvere questo problema? Forse sí.

Dati personali, una piattaforma neutrale per utenti e aziende: Opal

Un altro aspetto da sviluppare è quello economico-organizzativo: quale sarà il sistema di incentivi per chi investe nella tecnologia Solid come provider di POD? Come si integreranno questi incentivi con le logiche delle piattaforme di servizio digitale esistenti? Queste domande se le sono poste anche i promotori dei protocolli blockchain. Anche Solid dovrà farlo, nelle vesti della sua community ed attraverso la libera iniziativa (individuale o business).

Solid è dichiaratamente all’inizio di un percorso evolutivo che sarà probabilmente ampio e profondo. Solid è una straordinaria partenza, non un arrivo. Prendiamone atto.

In conclusione

Con Solid, Tim Berners-Lee forse ha inventato il Web una seconda volta, ma a differenza di quanto è avvenuto nel 1989, ora il Web è talmente grande e concentrato che è difficile prevedere se questo modello di data ownership verrà adottato dalla massa e dove ci porterà.

Una cosa è certa: per avere speranza di fare un suo percorso, questo modello ha bisogno di individui ed aziende coraggiosi che facciano un primo passo nella stessa direzione, non per etica o morale, ma per una ragionevole speranza di beneficio e profitto.

Non è un caso se insieme a Solid rilasciato in modalità open source, Tim Berners-Lee ha fondato anche un’azienda, Inrupt, con l’obiettivo di far evolvere Solid. Insomma: il Web, per mezzo dei suoi utenti, ha bisogno di essere aiutato a progettare una transizione. Chi lo aiuterà?

In altre parole: fatto il protocollo, ora bisogna farlo adottare dagli individui e costruire le applicazioni. Come sempre è un po’ il cane che si morde la coda. Ce la farà Tim Berners-Lee? Ma soprattutto: ce la faremo noi?

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