Chi viola l’altrui diritto alla disconnessione, probabilmente soffre. Servono compassione e pazienza: è il suggerimento buddhista per far fronte alle sfide della gestione del proprio tempo alla luce della trasformazione digitale, alla ricerca di un equilibrio tra la centrifuga della quotidianità e la necessità, mentale e fisica, della calma. Un’armonia che deve vedersela con aspettative sociali forti. Il tempo, infatti, è un’istituzione alla base dell’organizzazione della nostra società e questo comporta conseguenze non sempre facili per gli individui.
Per capire come cambia la percezione del tempo con la digitalizzazione e come gestire questo contesto iperconnesso in modo sostenibile nel proprio quotidiano abbiamo analizzato l’approccio sociologico al tema e chiesto consigli pratici ai maestri Malvina Savio del centro di buddhismo tibetano Sakya di Trieste e Tetsugen Serra del monastero zen Ensoji di Milano.
Con la tecnologia abbiamo più tempo, ma ci sembra poco
La questione della percezione del tempo è antica come l’uomo e riguarda numerosi ambiti del sapere, dalla filosofia alla storia. In campo sociologico, i dilemmi sul tempo nella nostra attualità assumono una nuova dimensione anche sotto l’influenza della tecnologia. Il digitale ci permette di svolgere le attività impiegando meno tempo, ma questo è tuttavia percepito a livello sociale come non sufficiente. Come spiegava la professoressa Gabriella Paolucci, docente di Sociologia all’Università di Firenze, nel corso Tempo e spazio nelle scienze sociali tenuto presso l’ateneo fiorentino nell’anno accademico 2019-2020, le cui registrazioni sono disponibili pubblicamente online sul sito universitario, si può parlare di un tasso di produzione del tempo, relativamente alla compressione del tempo che ci permette di svolgere le attività in maniera più veloce rispetto al passato
La percezione, spiega la docente tra i cui campi di ricerca ci sono proprio la sociologia del tempo e dello spazio, è che la nostra società risparmi tempo ma sia soggetta a un fenomeno paradossale. Per quanto, infatti, il tempo sia compresso e dunque risparmiato, questo viene percepito come scarso. Il problema va sottolineato che non è globale, ma riguarda le società capitalistiche contemporanee in cui il tempo è uno strumento indispensabile per la regolazione sociale.
L’impatto sugli individui
Chi non si adegua, resta fuori dalla macchina. Paolucci nella sua lezione spiega che questi meccanismi trovano espressione chiaramente nella quotidianità. Ne consegue inevitabilmente una riflessione sugli individui. Niklas Luhmann scrivendo a proposito della mancanza di tempo e dell’imperante potere delle scadenze, con particolare riferimento ai sistemi amministrativi, spiegava che questi meccanismi possono avere impatti negativi sulle persone, avvertendoli tuttavia come meno importanti rispetto ai benefici per l’organizzazione sociale.
È chiaro che in un contesto in cui il valore della rapidità porta con sé aspettative sociali, le persone possono avvertire difficoltà a mantenere il passo e, a volte, sentirsi travolte. Una soluzione per evitare la sopraffazione è alternare alla rapidità la lentezza, come sottolinea Paolo Jedlowski [1], perché nelle pause si fa ordine nella propria esperienza. Un aspetto non esclude per forza l’altro, i due concetti sono affiancati e non contrapposti.
Il diritto alla disconnessione sabotato
Questo pensiero in ambito lavorativo trova riscontro anche a livello giuridico, oltre che psicologico, per esempio nella norma sul diritto alla disconnessione nel contesto dello smart working. In Italia, il diritto è garantito dalla legge numero 81 del 2017, che prevede come nell’accordo individuale siano da considerare i tempi di riposo del lavoratore e tutti gli strumenti e le misure necessarie per assicurare la sua disconnessione. La questione ha ripercussioni sulla salute mentale e fisica dei lavoratori: il riposo aiuta a evitare fenomeni come il burnout e il technostress, che affliggono non solo l’individuo e la sua sfera privata, ma anche la sua resa professionale[2].
Bisogna però constatare un aspetto pratico. Il diritto alla disconnessione in molti contesti trova difficoltà a essere applicato[3] e, quando ci sono tutti i presupposti perché possa essere rispettato, a volte viene comunque sabotato da forze esterne e interne. Quando ad agire sono le prime può capitare che le persone si sentano arrabbiate, disturbate, frustrate, avvertano come leso il proprio diritto. Nel secondo caso si fa riferimento a quando sono proprio gli individui stessi a non riuscire a disconnettersi, a carpire un momento di pausa, sentendosi come mosche avvinghiate nella tela del ragno.
La comprensione di questo atteggiamento può essere analizzata in un piano diverso, perché trova riferimento nell’umanità stessa. Seneca, che di certo non aveva a disposizione uno smartphone, eppure riceveva puntualmente gli strali dei tre imperatori che, in vita sua, lo avevano tanto odiato, nella prima lettera a Lucilio riflette con il suo approccio stoico sul concetto del tempo come preziosa proprietà dell’individuo. Invita l’amico a rivendicare sé stesso e a raccogliere e mettere da parte il tempo che fino a quel momento gli era stato sottratto. Alcuni momenti infatti, racconta Seneca, ci vengono portati via, sono rubati, o scorrono via. Eppure, le persone non se ne rendono conto. Seneca invita l’amico a non procrastinare, perché mentre si rinviano le cose da fare, la vita passa. Nulla ci appartiene se non il tempo, spiega.
Gestione del tempo nell’era digitale: tre consigli dai maestri buddhisti
La difficoltà quotidiana sta nel conciliare questa verità, cioè che il tempo è nostro, con il tempo sociale, come istituzione di una società complessa. Numerose discipline, studi e metodologie, come il time management, hanno indagato come gestire al meglio il tempo in un’ottica di sostenibilità e produttività. Un approccio interessante, antico e saggio ma estremamente pratico e diretto, si trova al di fuori degli ambienti accademici e aziendali: il pensiero buddhista. Per capire come superare le sfide fin qui presentate, vengono in nostro aiuto le parole di due maestri.
Equilibrio e calma per sfruttare meglio il tempo
La tecnologia che ognuno utilizza ogni giorno “è utile, non bisogna disprezzarla ma saperla usare trovando un equilibrio, servirsene senza attaccamento, per non essere sommersi”, commenta la maestra di buddhismo tibetano Malvina Savio. Bisogna trovare armonia: “Dobbiamo scegliere un sentiero che ci porti a vivere con equilibrio, individuando in noi amore e compassione, verso tutto e verso tutti, così ci si assicura di vivere in una dimensione diversa”.
L’importante, infatti, è “mantenere la calma in ogni momento della nostra vita, qualsiasi cosa stiamo facendo. Il tempo è molto prezioso: non sappiamo quanto ne abbiamo a disposizione, dobbiamo saperlo gestire nel miglior modo possibile. Se abbiamo una mente pacifica, possiamo lavorare meglio e in modo più fruttuoso. Una mente agitata non lavora bene”, aggiunge la maestra.
Raffreddare la mente per non essere sopraffatti dall’iper-connessione
A proposito della sensazione di essere travolti, il maestro Tetsugen Serra, che ha a lungo studiato lo zen in Giappone ed è abate di cinque monasteri in Italia, constata che “al giorno d’oggi qualcosa ti spinge in uno stato di completa sopraffazione, la nostra tranquillità è continuamente interrotta da strumenti, notifiche, e-mail, social media non puoi concentrarti sul tuo lavoro. Sembra tutto impossibile. Anche qualcosa di semplice come la relazione in presenza con una persona può sembrare un compito insormontabile, il caos è diventato la norma”.
Una tecnica pratica per far fronte a questi momenti invita alla calma: “Sperimenta del tempo di inattività quando ti sposti da un compito all’altro: puoi fermarti anche solo trenta secondi a respirare profondamente, bere un sorso d’acqua, non fare nulla – raccomanda il maestro -, raffredda la mente. Si tratta di un ottimo modo per resettarsi e essere più lucidi sul prossimo compito. Inizialmente ti sembrerà impossibile, ma se ci riesci almeno una volta è fatta”.
Pazienza verso chi viola il diritto alla disconnessione
Disconnettersi nei momenti di riposo è sano: “Siamo proprio sicuri che quelle chiamate o mail siano proprio necessarie a quell’ora, in quel momento? La disconnessione non è solo una questione di lavoro”, spiega il maestro Tetsugen Serra, non solo disconnessione dal mondo “ma anche quella interiore è un meccanismo che può darci consapevolezza sul vero valore di ciò che facciamo. Per questo disconnetterci la notte o quando siamo in ferie non solo è un diritto approvato ma è una sana medicina per la mente”.
Quando il diritto alla disconnessione viene violato “non mi resta che avere molta pazienza, calma e comprensione per chi lo ha violato, ma anche per me che non sono riuscito a disconnettermi. Devo essere consapevole che disconnettermi con il mondo è connettermi più profondamente con me stesso”, aggiunge il maestro.
Ci vuole compassione: “Pensiamo che la persona che ha violato il nostro diritto alla disconnessione sta soffrendo, perché si sta distruggendo per arrivare a qualche obiettivo non certo e sta provando insoddisfazione”, spiega la maestra Malvina Savio.
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Note
- P. Jedlowski, “Il fascino ambiguo della velocità”, in “Cronofagia” a cura di Gabriella Paolucci, Guerini Studio, 2003 Milano ↑
- La Torre G, Esposito A, Sciarra I, Chiappetta M., “Definition, symptoms and risk of techno-stress: a systematic review”. Int Arch Occup Environ Health. ↑
- Heather Taylor, Melanie Wilkes & Andrew Pakes, “Digital Boundaries and Disconnection at Work A GUIDE FOR EMPLOYERS” di Prospect e del think tank Work Foundation della Lancaster university ↑