La sorveglianza e il controllo non nascono certo oggi ma sono strutturali al capitalismo e alla tecnica quali forme di organizzazione della vita.
Nella odierna società tecno-capitalista ci sono tuttavia differenze importanti rispetto al passato e che vanno evidenziate:
- la prima è che oggi non sono più gli Stati a controllare e profilare gli individui, ma le società private (dalla Fiat a Facebook).
- La seconda è che la tecnologia ha abilitato il passaggio da una sorveglianza mirata, e quindi limitata, ad una generalizzata e per di più volontaria, anche se indotta da un modello di business creato per farci credere di essere liberi quanto più condividiamo tutti gli aspetti delle nostre vite (pensiamo a tutto quello che volontariamente postiamo sui social).
La forma perfetta di controllo si è realizzata, insomma, grazie alle nuove tecnologie.
Il Panopticon di Bentham e la costruzione dell’uomo docile
Per parlare di rete, di controllo, di perdita della privacy e arrivare al recente The Age of Surveillance Capitalism di Shoshana Zuboff potremmo o dovremmo infaati risalire (banale, ma necessario) al Panopticon di Jeremy Bentham, opera del 1791; e a Michel Foucault che ne fa uno degli elementi cardine della sua analisi su sorvegliare e punire, sulla nascita della prigione moderna, delle discipline e quindi del capitalismo.
Struttura carceraria, il Panopticon di Bentham, ma modello appunto anche per fabbriche, ospedali e scuole. Composto da una torre di sorveglianza centrale con attorno un anello periferico in cui sono sistemati coloro che devono essere controllati. Scopo del Panopticon era di permettere a un solo sorvegliante – questa la sua grande efficienza, o detto altrimenti: la razionalità strumentale del sistema ideato dall’utilitarista Bentham – di controllare una moltitudine di persone, osservando (opticon) ogni soggetto (pan) da sorvegliare, ridotto a oggetto del controllo da parte del potere.
Prigioni, fabbriche, uffici, lo stato con i servizi segreti e le polizie segrete e oggi la rete con social e Big Data fino a Cambridge Analytica e oltre – tutto si rifà a quel modello.
Un meccanismo di potere che produce un dispositivo di sorveglianza e di controllo, ma anche – in chi deve essere osservato – una sorta di auto-sorveglianza e di auto-controllo, nel dubbio se essere o meno osservato dalla torre. Che è un modo quasi perfetto per costruire uomini docili e soprattutto auto-docilizzati. E quindi utili e produttivi. Produttivi di lavoro nella fabbrica-fordista, di dati nella fabbrica-rete.
La rinuncia volontaria (ma indotta) alla privacy
Un meccanismo di potere sull’uomo diverso ma molto simile a quello che si genera tra servo e padrone; vicino alla servitù volontaria di La Boètie; che sfrutta abilmente la voglia di conformismo e di fuga dalla libertà dell’uomo (secondo Erich Fromm[1]); realizzandosi attraverso quello che oggi definiremmo un soft power il cui sapere/potere è quello di essere capace di far rimuovere negli individui il confine o la parete tra pubblico e privato, tra dentro e fuori se stessi; e che oggi si replica e si aggrava con la perdita volontaria (ma indotta) di quella privacy[2] che era invece la base costitutiva della libertà dell’individuo moderno[3], ciascuno auto-imprigionandosi nel Panopticon della rete – perché rinunciare alla privacy significa rinunciare alla propria soggettività e quindi alla propria libertà/autonomia.
Ed è, di nuovo, la forma più perfetta di controllo, per cui nessuno vuole fuggire o evadere dal controllo e resta felicemente prigioniero nella cella (oggi piena di amici, di like e di app) che si è costruito attorno (che il potere gli ha costruito attorno illudendolo della massima libertà individuale e della massima socievolezza) – restando prigioniero, secondo Anders, anche qualora potesse uscire dalla cella[4].
Tecnologia e perdita della libertà
Scriveva Foucault: «Il Panopticon è una macchina per dissociare la coppia vedere-essere visti: nell’anello periferico si è totalmente visti, senza mai vedere [il sorvegliante]; nella torre centrale si vede tutto, senza mai essere visti. Dispositivo importante perché automatizza e de-individualizza il potere (…) Il Panopticon è una macchina meravigliosa che, partendo dai desideri più diversi, fabbrica effetti omogenei di potere»[5].
Modellando i comportamenti umani, omologandoli, regolarizzandoli e normalizzandoli. Non solo: «Bentham si meravigliava che le istituzioni panoptiche potessero essere così lievi…. Colui che è sottoposto a un campo di visibilità, e che lo sa, prende a proprio conto le costrizioni del potere; le fa giocare spontaneamente su se stesso; inscrive in se stesso il rapporto di potere nel quale gioca simultaneamente i due ruoli, diviene il principio del proprio assoggettamento».
O della propria auto-amministrazione nella società amministrata secondo i francofortesi: «un sistema che determina a priori il prodotto dell’apparato non meno che le operazioni necessarie per alimentarlo ed espanderlo. (…) In tal modo esso dissolve l’opposizione tra esistenza privata ed esistenza pubblica (…). La tecnologia serve per istituire nuove forme di controllo sociale e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli»[6] scriveva Marcuse, ben comprendendo che «la società tecnologica è un sistema di dominio che prende ad operare sin dal momento in cui le tecniche sono concepite ed elaborate», ovvero tecnica e controllo sono una cosa sola, tecnica e perdita della libertà (e quindi, alienazione[7]) dell’uomo sono in una relazione stretta e necessaria.
Il tecno-capitalismo e (è) il controllo
Il sistema tecnico diventa (è) totalitario (e/o religioso[8]), perché è nella natura di ogni sistema totalitario e di ogni organizzazione che tenda al monismo e all’olismo, di voler conoscere tutto di tutti, di controllare, registrare, incasellare, limitare la libertà individuale – perché, come scriveva Hannah Arendt: «a causa della loro capacità di pensare, gli uomini sono sospetti per definizione e l’ombra non può essere dissipata da un contegno esemplare, perché la capacità umana di pensare implica altresì la capacità di cambiare opinione»[9].
Continuava Foucault: «In effetti anche il potere esterno può alleggerirsi delle sue pesantezze fisiche, tendere all’incorporeo» (oggi diremmo: al virtuale); «e più si avvicina a questo limite» (ormai lo abbiamo superato), «più i suoi effetti sono costanti, profondi, acquisiti una volta per tutte, incessantemente ricondotti: perpetua vittoria che evita ogni scontro fisico e che è sempre giocata in anticipo».
E il Panopticon «è polivalente nelle sue applicazioni», ma è anche sempre uguale nella sua logica di controllo. E la sorveglianza passa oggi attraverso i dati che ciascuno di noi liberamente lascia in rete dopo che Mark Zuckerberg ci ha convinti che la privacy è cosa del passato, inutile nella società della rete – affinché noi condividessimo tutto della nostra vita e delle nostre relazioni sociali perché potesse poi, profittevolmente per sé, estrarne valore.
Facebook è infatti un’impresa privata che mira al profitto per sé e a niente altro; e definirsi social è la grande abilità del capitalismo di sfruttare la vita intera di ciascuno anche attraverso la sua produzione di dati personali, dopo avere sfruttato prima il suo lavoro di produzione e poi il suo lavoro di consumo. Vita e privacy da cui liberamente ci siamo alienati diventando altro da noi, accettando di comportarci come il sorvegliante-Zuckerberg voleva ci comportassimo (è un classico esempio di eteronoma socializzazione di ruolo-funzione) – complice l’industria culturale del Grande Fratello che ha legittimato il piacere perverso di guardare gli altri, spiandoli di nascosto: un processo pedagogico utile per contribuire alla rimozione della stessa privacy intesa quale ostacolo alla profilazione di tutti e di ciascuno, entrando fin dentro la camera da letto.
Il controllo e l’economia
Non solo: il Panopticon – ancora Foucault – permette di perfezionare e di maggiorare/potenziare l’esercizio del potere e di farlo in molti modi: riducendo il numero di coloro che lo esercitano ma allo stesso tempo moltiplicando il numero di soggetti/oggetti sui quali si esercita; intervenendo incessantemente (oggi, il nostro dover essere sempre connessi) perché la sua forza è di esercitarsi spontaneamente (dalla morte della privacy che abbiamo accettato come cosa ormai normale, alla vetrinizzazione di sé secondo Vanni Codeluppi[10] e del proprio capitale umano) e senza rumore (gli algoritmi sono silenziosi); divenendo un meccanismo i cui effetti si concatenano gli uni agli altri (oggi diremmo: si connettono – accettando il Panopticon della rete, forma perfettissima di concatenazione, connessione, integrazione, monismo/olismo). Creando una società tutta attraversata e penetrata da meccanismi disciplinari[11] e arrivando alla società della sorveglianza di oggi, ma già definita ad esempio da David Lyon nel 2001[12].
Una società in cui alcuni soggetti (oggi soprattutto le imprese) dispongono di un archivio dettagliatissimo dei nostri dati personali, da quelli anagrafici ai gusti alle disposizioni a malattie, permettendo un controllo anche più invasivo di quello immaginato da Bentham e poi da Orwell in 1984. E come scriveva Bentham stesso, il panoptismo è capace di riformare la morale, preservare la salute, rinvigorire l’industria (e oggi appunto si dice che i dati sono il nuovo petrolio, con la differenza che i dati sono illimitati mentre il petrolio finirà). E altro ancora.
L’architettura del potere
Tutto grazie ad una idea architettonica fisica – il Panopticon – che è anche una architettura del potere, una (usando Foucault) microfisica di saperi/poteri di controllo e di induzione all’autocontrollo. Che oggi ha la forma della rete. Facendoci passare da una sorveglianza mirata e quindi limitata ad una generalizzata grazie alla tecnica che lo permette.
Rinunciando appunto alla privacy, la Silicon Valley facendoci credere che la sua difesa era (è) nell’interesse solo di chi ha qualcosa da nascondere. Non dovremmo invece dimenticare che l’integrale trasparenza di ciascuno rispetto ad un potere non visibile postula un uomo di vetro, ma l’uomo di vetro era metafora nazista, come ricordava Stefano Rodotà, oggi applicata e normalizzata dal tecno-capitalismo.
Sempre confermandosi il principio per cui (ancora Hannah Arendt) quanto più un potere è in vista, tanta meno autorità possiede, mentre meno è conosciuto e riconoscibile tanto più potente diventa[13]. Il timore, espresso allora da Rodotà nella sua Prefazione al libro di Lyon – che cioè la società della sorveglianza si risolvesse nel controllo autoritario, nella discriminazione, in nuove stratificazioni sociali, nel dominio pieno della logica del mercato[14] – ormai (in meno di vent’anni) è diventato realtà quotidiana, ma l’abbiamo accettata con la massima naturalezza e disponibilità, con il massimo di asservimento volontario, con il massimo di incosciente felicità (tanto, navigare in rete è gratis…).
Tutti convinti con Bentham – tutti attivati in modo eteronomo a credere – che non ci fossero rischi che l’accrescimento del potere della macchina panoptica potesse degenerare in tirannia (semmai, si diceva, avrebbe garantito sicurezza e libertà), in quanto il meccanismo disciplinare sarebbe stato controllato democraticamente perché accessibile in ogni momento – come scriveva appunto Bentham – al grande comitato del tribunale del mondo. Ovvero, la macchina per vedere sarebbe divenuta un edificio trasparente dove l’esercizio del potere sarebbe stato controllabile dall’intera società. Sintetizzava invece Foucault: «Lo schema panoptico, senza attenuarsi né perdere alcuna delle sue proprietà, è destinato a diffondersi nel corpo sociale; la sua vocazione è divenirvi funzione generalizzata»[15].
In realtà, e diversamente da Bentham, il controllo sugli individui è capillare e pervasivo, mentre il controllo sul controllo e su chi/cosa controlla è praticamente pari a zero. Perché, appunto, questa è la logica del potere.
Dalle schedature alla Fiat al Big data
Facciamo ora un salto temporale di circa due secoli e da Bentham arriviamo alle schedature della Fiat, non senza avere prima ricordato – tra i molti esempi possibili – la Sezione sociologica creata da Ford nel 1914 (un anno dopo l’introduzione della catena di montaggio), con lo scopo di valutare – e oggi diremmo: profilare – i propri dipendenti al di fuori del lavoro di fabbrica, ovvero nella loro vita intera, familiare e personale, entrando persino in camera da letto[16].
E senza dimenticare che anche il vecchio controllo dei tempi e metodi era una forma di Panopticon, come lo era tutta l’organizzazione scientifica del lavoro, così arrivando al management algoritmico odierno e al management empatico/motivante: dove il controllo si ricombina, ulteriormente – potenziando l’auto-asservimento, l’auto-sorveglianza e la modellizzazione di ciascuno sulle esigenze del sistema tecno-capitalista – con quell’altra forma di potere moderno sugli uomini che Foucault chiamava potere pastorale, dove ciascuna anima del gregge – sia esso organizzato dall’impresa, dal marketing, dalla rete-social – si fa guidare da un pastore che guida il gregge ma che allo stesso tempo (l’una cosa è impossibile senza l’altra), sa tutto di ciascuna anima del gregge.
Sulle schedature in Fiat – una pratica antica e globale quanto il capitalismo industriale e tecnico – aveva scritto un libro Bianca Guidetti Serra nel 1984, intitolato Le schedature Fiat. Un libro fastidioso, come scriveva Gian Giacomo Migone nella sua recensione uscita su L’Indice di quell’anno. In Fiat vennero infatti sequestrate 354.077 schede personali, che documentavano una ventennale attività di informazione e di spionaggio/profilazione, con lo scopo di valutare le opinioni politiche (oltre che la vita privata) dei lavoratori (e gravissimo era essere iscritti alla Fiom).
Le analogie tra ieri e oggi sono del tutto evidenti. Proviamo ad evidenziarne alcune. Ricordando che per Foucault, «nella misura in cui l’apparato di produzione diviene più importate e più complesso, nella misura in cui aumentano il numero degli operai e la divisione del lavoro, i compiti di controllo divengono più necessari e più difficili. Sorvegliare diventa allora una funzione precisa, ma che deve essere parte integrante del processo di produzione; lo deve doppiare in tutta la sua lunghezza»[17]. Grazie alla sorveglianza, «il potere disciplinare diventa un sistema integrato, legato dall’interno all’economia e ai fini del dispositivo in cui si esercita (…). Il suo funzionamento è quello di una rete di relazioni. Questa rete fa ‘tenere’ l’insieme e lo attraversa integralmente con effetti di potere che si appoggiano gli uni sugli altri»[18].
La rete, appunto. Una rete fatta oggi di condivisione, social, selfie, like, sharing economy/capitalismo delle piattaforme e, su tutto: algoritmi, cioè dati. Legata all’economia e al profitto capitalistico (estrazione di valore dalla vita degli individui e dalle loro relazioni indotte dal sistema – il dover condividere, il dover essere connessi – invece della ‘vecchia’ produzione di valore). Un potere assolutamente indiscreto, ma che è allo stesso tempo un potere discreto, poiché funziona in permanenza e, come detto, in silenzio.
Dalla sorveglianza di Stato a quella delle imprese private
Dunque, primo elemento di riflessione: se ieri erano comunque soprattutto gli stati a controllare/profilare su larga scala, massimamente i totalitarismi politici del ‘900 – la polizia segreta staliniana aveva per ciascun abitante un dossier segreto, in cui annotava diligentemente le molteplici relazioni che lo legavano ad altre persone, dalle conoscenze casuali ai rapporti di amicizia, ai vincoli familiari (Hannah Arendt[19]) e analogamente accadeva con il nazismo e il fascismo come oggi accade per il Big Data – oggi lo sono imprese private, dove le 350mila schedature della Fiat sono nulla a confronto con i 2,2 miliardi di utenti profilati di Facebook.
Ha scritto John Lanchester: «L’opzione ‘condividi su Facebook’ traccia ogni utente del social network, che ci clicchi sopra o no. Dato che l’icona di Facebook è praticamente onnipresente in rete, Facebook mi vede sempre, dappertutto.
Oggi, grazie alle partnership con le aziende di credito tradizionali, Facebook conosce l’identità di tutti, sa dove vivono e quello che hanno comprato nella loro vita con una carta plastificata in un negozio. Tutte queste informazioni vengono usate per uno scopo che, in ultima analisi, è estremamente banale: vendere prodotti attraverso pubblicità online (…). Di fatto, Facebook è la più grande azienda di pubblicità e di sorveglianza nella storia dell’umanità. Sa molto, molto di più sul nostro conto di qualsiasi governo di qualsiasi epoca, anche del più intrusivo.
È incredibile che le persone non lo abbiano ancora capito. Ho ragionato molto su Facebook, e la cosa che continua a stupirmi è che gli utenti non si rendano conto di quello che fa quest’azienda. Facebook ci osserva, e poi usa quello che sa di noi e del nostro comportamento per vendere pubblicità. Non credo che esista uno scollamento più totale tra ciò che un’azienda dice (‘mettere in contatto’, ‘costruire comunità’) e la realtà commerciale. Come se non bastasse, le informazioni sugli utenti non sono usate solo per mandargli pubblicità online, ma anche per determinare il flusso delle notizie[20] – e poi a vendere profili per manipolare il voto e stravolgere la democrazia (Cambridge Analytica).
Facebook (e non solo) è quindi un totalitarismo economico e tecnico quanto e più dei totalitarismi politici del ‘900. Aveva ragione Marcuse, quando definiva la società tecnologica avanzata del ‘900 anch’essa come una forma di totalitarismo, come ora il tecno-capitalismo come sistema.
Secondo elemento: se quanto sopra è vero, allora occorre ragionare in termini di quale individuo hanno saputo abilmente costruire la tecnica e il neoliberalismo, se questo individuo illuso di essere libero, egotico, egotista, solipsista, narcisista, anarchico si lascia controllare da un sistema totalitario a cui ha delegato tutto se stesso e la sua vita. Perché capitalismo estrattivo non è solo la finanza e il mining delle cripto-valute, ma anche (Saskia Sassen) quello del landgrabbing, dello sfruttamento della biodiversità, ma soprattutto il capitalismo delle piattaforme e quindi, appunto, l’estrazione di dati.
Terzo elemento, il controllo (tempi e metodi, Sezione sociologica di Ford, organizzazione scientifica del lavoro, le fabbriche come caserme ma anche il paternalismo imprenditoriale, la motivazione e l’auto-motivazione, il lavoro come collaborazione con l’impresa, il welfare aziendale, i social per creare gruppi e team di lavoro) e quindi il Panopticon imprenditoriale sono parti essenziali di quel processo di creazione di pluslavoro che permette al tecno-capitalismo di realizzare plusvalore (cfr., Karl Marx).
Oggi con il Big Data, dove ciascuno è lavoratore subordinato-imprenditore di se stesso nella incessante produzione di dati mediante il nuovo pluslavoro h24 (e senza salario) generando plusvalore per Facebook e simili. Cioè: il capitalismo e la tecnica sono da sempre estrattivi di vita e produttori di controllo sulla vita per estrarne la massima produttività possibile.
L’era del capitalismo della sorveglianza
Veniamo allora, in conclusione a The Age of Surveillance Capitalism di Shoshana Zuboff, edito in GB da Profile. Libro importante e utile, dove l’autrice ragiona appunto di quello che definisce come un nuovo capitalismo della sorveglianza che tuttavia è sì l’ultima fase della lunga evoluzione del capitalismo (dalla produzione di merci al capitalismo manageriale, al consumismo e poi alla finanziarizzazione e oggi arrivato allo sfruttamento della sorveglianza), ma che per noi – e diversamente da Zuboff – e come visto, è solo il potenziamento, grazie alla tecnologia di qualcosa che era implicito e praticato fin dalle origini dal e nel sistema, per cui oggi cambia sì la scala del controllo e della sua messa a valore, ma non il controllo come forma implicita e necessaria di pluslavoro del tecno-capitalismo.
La sorveglianza è certamente il modello di business di internet, ma lo era di fatto anche delle precedenti fasi del capitalismo; che anche oggi – come nel Panopticon, nella Sezione sociologica, nel mascherare l’alienazione – separa la società in chi guarda e in chi è guardato, producendo evidenti conseguenze – come scrive giustamente Shoshana Zuboff – in termini di asimmetrie di potere. Ma anche questo è un effetto voluto di ogni forma di controllo e di sorveglianza.
Non è quindi vero che il capitalismo della sorveglianza sia una creazione umana, come scrive Zuboff – mentre è vero che, come accade per ogni forma tecnica moderna, esso diviene una forma sociale ed economica (Anders[21]); e se la tecnologia permette di fare sorveglianza di massa estraendo valore, non limitandola solo a nicchie di popolazione, allora questo si deve fare (ancora Anders) e il capitalismo della sorveglianza diventa una conseguenza della tecnologia in sé, cosa che invece l’autrice sembra escludere, stabilendone la nascita attorno al 2001.
Fermo restando comunque che l’obiettivo del capitalismo della sorveglianza come di tutto il tecno-capitalismo nella sua storia, è quello di automatizzare progressivamente l’uomo e il suo pensiero (è quella che chiamiamo alienazione per delega alla tecnica[22]), producendo ignoranza umana (sia pure mascherata da economia della conoscenza) e trasferendola agli algoritmi, che funzionano solo grazie al controllo e alla profilazione, eliminando ogni possibilità di auto-determinazione umana.
BIBLIOGRAFIA
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