cultura aziendale

Sostenibilità: quanto incide il linguaggio sul modo di fare impresa



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Il CUEIM promuove il modello di impresa sostenibile, la cui mission è integrare i principi della responsabilità sociale nelle logiche di business. L’innovazione e il linguaggio rivestono un ruolo chiave in questo processo di cambiamento, che vede l’impresa come un sistema di relazioni aperto e in continua evoluzione

Pubblicato il 27 feb 2024

Laura Ciarmela

project manager CUEIM ed Editorial assistant presso Sinergie Italian Journal of Management



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La sostenibilità è ormai un imperativo irrinunciabile per l’impresa moderna. Da questo assunto nasce la missione del CUEIM – Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale, un’istituzione che da oltre trent’anni si dedica alla promozione dell’economia sostenibile e all’integrazione dei principi della responsabilità sociale nelle logiche d’impresa.

Laddove l’azienda era una volta percepita come mero attore economico, il CUEIM ne propone oggi una rilettura più complessa e sfaccettata: un sistema aperto di relazioni in cui linguaggio, valori e interazioni umane giocano un ruolo determinante.

Questa visione si concretizza tra l’altro nell’iniziativa della Good Business Academy, un laboratorio di idee e pratiche orientato alla costruzione di una Community degli Attori della Sostenibilità

Il CUEIM e la sua storia nel campo dell’economia sostenibile

Quando nel 1982 è nato il CUEIM – Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale, ente di ricerca senza fini di lucro, a base associativa – molte delle persone che ora vi lavorano erano nate da poco.

Così come molti dei tematismi, a cui si sarebbe dedicato nel tempo, non erano che concetti in nuce che avrebbero avuto poi una teorizzazione e una applicazione costruiti in anni di collaborazioni e di scambi di idee che hanno posto le basi a quel network di università che, ancora oggi, confermano l’importanza di una rete multipolare in cui anche le istituzioni, le imprese e la società civile possano esprimersi e confrontarsi.

Quarant’anni fa, insomma, il mondo a cui faceva riferimento non era quello che oggi stiamo cercando di codificare su alcuni fronti, e decodificare su altri. Le parole con cui lo si rappresentava erano diverse.

Se poi il pensiero in certa misura è determinato anche da ogni singola varietà di lingua oltre che dal linguaggio in sé (W. Humboldt), lo sviluppo di un pensiero sistemico sui temi dell’impresa è dovuto non solo al linguaggio dell’economia, ma anche alle singole lingue che di questo linguaggio  sono spesso l’articolazione.

La sostenibilità come nuovo paradigma per l’impresa

Prendiamo il tema della sostenibilità. Dibattuto, analizzato, sviscerato, sbandierato, declinato.

Di questo tema, di cui si è riconosciuta l’urgenza, parti del problema, ma anche parti della soluzione, sono state rintracciate proprio nell’oggetto di buona parte dei suoi studi, ovvero l’impresa.

Con la stessa urgenza si è ritenuto necessario avviare una transizione verso modelli economici in grado di rispondere alla crisi in corso.

Per fare questo non si è proposto di abbattere un mondo, quello dell’impresa appunto, ma di rifondarlo dal un punto di vista culturale, descrivendolo prima di tutto in maniera diversa.

L’evoluzione della definizione d’impresa: da entità economica a costruzione umana creativa

Per cui se la definizione più corretta di impresa fino a poco tempo fa appariva quella di un’attività economica organizzata ai fini della produzione e dello scambio di beni e servizi, in una sua nuova interpretazione diventa “una creativa costruzione umana che produce e diffonde benessere“*.

Se l’impresa è sempre stata caratterizzata da un determinato scopo, in questo approccio essa è soprattutto “costituita da un complesso sistema di relazioni”* che ne rappresentano il fondamento.

E se il processo decisionale nell’impresa tradizionale è stato tradizionalmente orientato al profitto è ora il tempo di orientarlo al bene comune*.

In questa visione il concetto di imprenditorialità, da l’insieme dei requisiti necessari per svolgere la funzione dell’imprenditore, consistenti essenzialmente nella volontà e capacità di promuovere e organizzare un’impresa economica, insieme con la disponibilità ad affrontarne i rischi (come la definisce Treccani) si rivela come una tensione verso il cambiamento, verso una visione del nuovo prima che si manifesti, fondata su un insieme di valori alla cui base stanno l’ascolto, il rispetto, la fiducia, il senso del noi, il dialogo, il dono, la condivisione, l’umiltà, la tenacia e la responsabilità*.

In questa transizione linguistica e per questa visione culturale, il profitto stesso perde parte del suo significato, perché da fine dell’impresa si passa a considerarlo una semplice misura della capacità dell’impresa di rispondere alle istanze di tutti i pubblici con i quali si relaziona attraverso la produzione e diffusione di benessere.

L’impresa come sistema di relazioni: un cambio di prospettiva

Ma cosa c’entra la sostenibilità in tutto questo?

C’entra nella misura in cui nel parlare dell’impresa e nel parlare all’impresa non le chiediamo più soltanto di ridurre il suo impatto negativo, ma di nascere ed agire allo scopo di determinare un mondo in cui il dare e l’avere coincideranno sempre con un risultato positivo per la comunità attuale e per le generazioni future.

Se le parole per raccontare l’impresa cambiano, cambia anche la cultura e la visione in cui l’impresa si muove ed è questo cambiamento di cultura che vogliamo evidenziare.

L’Economia delle risorse immateriali

Circa trent’anni fa la rivista Sinergie ha dedicato uno special issue sull’Economia delle risorse immateriali, all’epoca ancora tema di frontiera.

Al suo interno il curatore professor Enzo Rullani (1992) proponeva di “definire la produzione immateriale come la generazione di valore economico attraverso la conoscenza e le relazioni, impiegate come mezzo di ordinamento della complessità”. Nello stesso numero, inoltre, si rilevava come l’impresa non fosse simile ad un sistema cognitivo: si affermava con decisione che l’impresa è un sistema cognitivo, perché fonda l’esistenza e l’operare sulla propria conoscenza”(Vicari, 1992).

I tema della fiducia e della conoscenza al centro

Da tale ragionamento scaturiva imprescindibile il tema della fiducia, poiché “alla crescita di conoscenza è necessaria l’esistenza della fiducia, e la conoscenza a sua volta alimenta la fiducia”(Vicari, 1992)

Non ancora trascorso il decennio successivo, la Rivista ha dedicato un focus al tema de “Le risorse nell’economia della conoscenza” e tra le nuove sfide per l’impresa torna il tema della fiducia, questa volta rapportato alle tecnologie dell’informazione.

Dopo aver segnalato che “nel 1998, secondo le cifre del rapporto Assinform, il fatturato dell’informatica e delle telecomunicazioni in Italia ha superato gli 80.000 miliardi di lire, con un tasso di incremento del 10,1% rispetto al 1997 e con una crescita più significativa dell’hardware rispetto al software, segnale quest’ultimo di un processo in corso di riorganizzazione delle architetture verso sistemi aperti e distribuiti”(Ugolini, 1999), l’autrice evidenziava che nonostante i dati apparentemente ottimistici le tecnologie dell’informazione non avevano ancora espresso pienamente il proprio potenziale innovativo. In estrema sintesi, la tesi che si sosteneva”.

Dopo circa vent’anni le riflessioni su conoscenza e fiducia vengono riprese da Sinergie, questa volta collegandole alle nuove sfide dettate dalla transizione al digitale, dallo scenario post pandemia e dalla crescente richiesta di analizzare il tema della sostenibilità, dedicando non solo uno special issue ma un intero convegno dal titolo “Boosting knowledge & trust for a sustainable business” dove, ad esempio, la fiducia viene persino inserita in una matrice di correlazione, per analizzare il comportamento di acquisto dei prodotti alimentari «Made in Italy» (Tarulli et al., 2022)

A rileggere in questo modo questo breve excursus sulle parole conoscenza e fiducia, è evidente come parole così rappresentative di aspetti che solo trent’anni fa sembravano davvero distanti da una definizione di impresa che considerava solo gli aspetti materiali della produzione, abbiano contributo prima a sottolineare dei vuoti di rappresentazione, poi a porre le basi per una nuova interpretazione e infine a riconsiderare l’essenza stessa dell’impresa sulla loro definizione.

Mostra su quali costanti l’impresa si è mossa per sviluppare i suoi cambiamenti, dalla sua versione analogica a quella digitale.

Soffermarsi sulle parole è necessario tanto quanto fotografare i cambiamenti, perché il cambiamento delle parole non solo descrive il cambiamento del mondo ma talvolta pone le basi per il cambiamento stesso. Ma per farlo è necessario che ci siano spazi in cui discuterne.

La community degli attori della sostenibilità

È su questa scia che The Good Business Academy ha lanciato la Community degli Attori della Sostenibilità, tramite la quale rendere possibile la partecipazione al dibattito sul processo di attuazione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS), entrare a far parte del Forum Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (FNSvS) in modo da fare networking per interagire, collaborare, promuovere e comunicare le proprie iniziative, notizie ed eventi legati ai temi della sostenibilità, formarsi e trovare strumenti e modelli utili a raggiungere i propri obiettivi manageriali.

Non sono le best practices, certamente esempi di eccellenza nella strada verso la sostenibilità ma molto spesso isolati, a cui tendere, ma le good practices: quelle esperienze imprenditoriali che mostrano la scelta quotidiana, l’impegno a interagire, collaborare, promuovere e comunicare il proprio percorso e la volontà di lavorare in rete per un’idea di crescita equilibrata, armoniosa e collettiva. Quelle stesse imprese che muovono da relazioni nuove, perché mosse da un pensiero e un linguaggio nuovo aperto alla ridefinizione del ruolo dell’impresa nella società.

*Il Manifesto della The Good Business Academy

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