democrazia

Stato di diritto, tutti i punti deboli dell’Italia: i report che certificano i ritardi

Libertà di stampa e lotta alla corruzione si confermano i nostri punti deboli, ma veniamo strigliati anche su frammentarietà della disciplina del conflitto d’interessi, mancanza di regole sulle porte girevoli e di leggi sul lobbying. E non è neanche partito il processo di recepimento della direttiva sul whistleblowing

Pubblicato il 20 Apr 2021

Federico Anghelé

Direttore The Good Lobby

Fabio Rotondo

The Good Lobby

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A che punto è lo stato di diritto in Italia e nel mondo ai tempi del Covid? A parlare di democrazia sotto assedio è il report 2021 di Freedom House, Ong basata a Washington che ogni anno misura la temperatura delle libertà civili e politiche a livello globale.

La crisi pandemica ha messo a dura prova le democrazie europee e nel mondo l’equilibrio si sta spostando verso le tirannie. I primi ministri del Vecchio Continente sono stati costretti a rinviare le elezioni, a chiudere città e regioni, a imporre il coprifuoco e molte altre limitazioni delle libertà fondamentali. Le decisioni sono state spesso assunte con poca chiarezza e trasparenza, forzando le regole costituzionali (si pensi in Italia all’abuso dei Dpcm, strumenti amministrativi inadatti a restringere libertà sancite dalla Carta) e causando la discriminazione di gruppi già emarginati e in difficoltà come immigrati e rom.

Libertà di stampa, tallone d’Achille dell’Italia

Mentre Ungheria e Polonia perdono lo status di “democrazia” nel report di Freedom House, l’Italia – quando si parla di separazione dei poteri, libertà di espressione, libertà di stampa, sistema giudiziario, anticorruzione e del rapporto tra istituzioni e società civile, cioè le voci che compongono il barometro della non profit statunitense – ha un punteggio (89) in linea con le altre democrazie dell’Europa occidentale (es. Francia 90, Spagna 92, solo i Paesi nordici mantengono i 100 punti). A farci abbassare la media è ancora una volta la libertà di stampa e di espressione.

Questi dati sostanzialmente positivi per il nostro Paese vengono confermati dal 21esimo Trust Barometer dell’agenzia di comunicazione Edelman che ogni anno misura il livello di fiducia verso istituzioni, media, organizzazioni della società civile e imprese. Secondo l’indagine, gli italiani si fiderebbero soprattutto del datore di lavoro (addirittura il 76%). Ma anche il governo non se la passa male: il grado di fiducia è aumentato in un anno di ben 10 punti percentuali. Mentre i mezzi di informazione mantengono il loro livello di credibilità, chi perde invece punti sono le Ong, che dovranno lavorare per ricostruire un rapporto solido con l’opinione pubblica.

Il primo report della Commissione europea sullo stato di diritto

D’altra parte, benché la società civile sia giudicata vivace e diversificata anche dalla Commissione europea nella prima relazione sullo stato di diritto nei Paesi membri pubblicato nel 2020 e per la cui nuova edizione si è da poco conclusa una consultazione pubblica aperta a tutti, Bruxelles esprime preoccupazione per i ritardi nell’attuazione della legge che armonizza le norme relative al settore non profit. Secondo il Consiglio d’Europa sono da abrogare le leggi e le politiche che impediscono alle Ong di svolgere il proprio legittimo lavoro e secondo l’ONU spaventano le campagne denigratorie contro le Ong attive nel settore migrazione e asilo.

Il primo report della Commissione sullo stato di diritto ha evidenziato un quadro legislativo solido nell’ambito del sistema giudiziario, in grado di salvaguardare l’indipendenza della magistratura anche se su questo la percezione della popolazione è differente. L’Italia è comunque soggetta alla sorveglianza rafforzata del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per la durata dei procedimenti amministrativi e penali.

In materia di lotta alla corruzione, nonostante un quadro giuridico e istituzionale giudicato sostanzialmente funzionante, la percezione del livello di corruzione è ancora molto elevata come certificato dall’ultimo Corruption perception index di Transparency International che colloca l’Italia è al 15° posto nell’Unione europea e 51° a livello mondiale. Viene giudicata negativamente la frammentarietà delle norme sul conflitto d’interessi, con particolare attenzione al regime di inconferibilità e incompatibilità applicabile alle cariche elettive. La normativa ignora completamente il fenomeno delle porte girevoli (o revolving doors) per le cariche pubbliche.

Confermando gli ultimi dati di Freedom House, anche la Commissione europea esprime un giudizio non del tutto positivo sulla libertà di stampa, sebbene il quadro costituzionale e legislativo garantisca il pluralismo dei media. La Commissione si dice preoccupata sull’indipendenza di undici media, mentre l’Osservatorio del pluralismo dei media (MPM) classifica l’Italia a medio rischio a tal proposito e l’influenza politica nel settore audiovisivo è fortemente avvertita. Spaventano le aggressioni fisiche e le minacce di morte subite dai giornalisti anche da gruppi mafiosi e le minacce verbali da parte di politici e funzionari pubblici. La creazione del Centro di coordinamento sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti del Ministero dell’interno è vista positivamente dalla Commissione.

Le “pulci” del GRECO e del Commissario Reynders

Come abbiamo visto, i nostri punti deboli rimangono la libertà di stampa e la lotta alla corruzione. A ripetercelo nell’ultimo mese sono stati il Commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders e il GRECO, il gruppo di stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa.

Il Commissario Reynders, in audizione alla Commissione Affari costituzionali alla Camera dei Deputati il 24 febbraio, ha dichiarato che la disciplina del conflitto d’interessi è ancora frammentaria, mancano regole sulle porte girevoli (revolving doors) e non ci sono leggi sul lobbying. La “strigliata” del Commissario europeo non è rimasta del tutto inascoltata: la ministra della Giustizia Marta Cartabia, nel suo intervento programmatico il 15 marzo alla Commissione giustizia della Camera ha ricordato come l’Italia debba ancora normare in maniera organica i conflitti di interessi e il lobbying, tanto più problematico perché l’assenza di indicazioni su cosa sia possibile fare rende di difficile applicazione il reato penale di traffico di influenze illecite che dovrebbe invece circoscrivere quel che non andrebbe fatto nelle relazioni tra portatori di interessi e istituzioni.

Il rapporto del GRECO uscito il 29 marzo dice sostanzialmente all’Italia di sbrigarsi a regolamentare il lobbying, il conflitto d’interessi, le porte girevoli, e suggerisce al Parlamento di rafforzare i codici di condotta (assente al Senato, debole alla Camera) rendendo tra l’altro obbligatorio per i suoi membri dichiarare i viaggi, i soggiorni e le spese coperte da sponsor (emblematico in questo senso il caso Renzi con i suoi viaggi nella Penisola arabica e in Africa su cui stiamo ancora aspettando chiarimenti). La sollecitazione è giustificata dal fatto che l’Italia ha rispettato soltanto 5 su 20 raccomandazioni effettuate dal GRECO nel 2016, insomma una figuraccia. L’organismo del Consiglio d’Europa ha visionato le bozze di legge sul conflitto d’interessi (Macina-Fiano-Boccia) e sul lobbying (Fregolent-Madia-Silvestri) giudicandole positivamente e chiedendone un’approvazione in Aula.

Direttiva sul whistleblowing: Italia in ritardo

A ottobre 2019 l’Unione europea ha adottato la Direttiva sul whistleblowing che garantisce standard minimi di protezione per i segnalanti da introdurre in tutti gli Stati Membri. Se non vogliono essere sanzionati, i Ventisette devono recepire la Direttiva entro la fine del 2021. Molti Paesi sono in ritardo, ma l’Italia lo è più degli altri.

Secondo l’EU whistleblowing Meter di WIN-Whistleblowing International Network e Eurocadres, cioè lo strumento di controllo sull’adozione della Direttiva in Europa, l’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha nemmeno fatto partire il processo di recepimento (assieme a Cipro e all’Ungheria). Poco più avanti di noi ci sono Estonia, Francia e Spagna che stanno consultando la cittadinanza sul tema prima di discuterne in Parlamento, mentre altri come la Lettonia, Paesi Bassi e Svezia hanno concluso le consultazioni con i cittadini e ne stanno parlando in Aula. Il Paese più a buon punto è la Repubblica Ceca che ha già approvato parte della Direttiva.

Nel frattempo però in Italia c’è stato un processo che sembra anticipare la Direttiva: l’operatore sanitario Hamala Diop che era stato espulso per aver denunciato le pessime condizioni di lavoro nella RSA milanese Don Gnocchi, è stato reintegrato con un verdetto del tribunale del lavoro di Milano sulla base della legge 179/2017. Un passo avanti significativo, perché Diop non ha segnalato internamente, ma lo ha fatto alla stampa, uno dei canali di denuncia menzionati dalla Direttiva europea e non dalla legge italiana sul whistleblowing. In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, auspichiamo che l’iter approvativo acceleri al più presto.

Anche perché il rafforzamento del whistleblowing, così come un apparato normativo in grado di prevenire i conflitti di interessi e di tracciare le interazioni tra decisori pubblici e portatori di interessi (lobbying), sono anticorpi necessari a mettere al sicuro i miliardi del Recovery Fund, scongiurando frodi, appropriazioni indebite, collusioni e clientelismi.

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