Le previsioni sull’era dell’iperconnessione sono ormai entrate nella fase della “rappresentazione condivisa” ovvero della tendenza che inevitabilmente diventa realtà. Con il confine fra il “possibile” e il “probabile” ormai superato, anche grazie a tecnologie come il 5G e la sensoristica diffusa (Internet of Everything – IoE) che coinvolgeranno 30 miliardi di persone e oggetti entro il prossimo biennio e oltre 1 trilione (1.000 miliardi) entro un decennio. Insomma, le previsioni si avverano e i nuovi mercati iniziano a crescere.
È proprio in questi frangenti, tuttavia, che riemerge uno storico dilemma, sul valore attuale e su quello potenziale dei nuovi mercati, e quindi sullo scostamento fra ciò che è e ciò che potrebbe essere, e soprattutto sulle cause dello scostamento. Le tecnologie, come noto, non si affermano de plano; anzi.
Il valore di una tecnologia e le barriere che ostacolano l’adozione
E spesso il vero rischio commerciale, a livello aggregato e quindi di mercato prima ancora che di impresa, è conseguenza del fatto che il valore di una nuova tecnologia – sociale oltre che economico – non è godibile appieno per una serie di “barriere” all’adozione da parte della domanda (consumatori o organizzazioni); barriere che ostacolano quindi lo sviluppo del valore potenziale dei nuovi mercati.
Ebbene, le esperienze e gli studi degli ultimi trent’anni sul comportamento di adozione e di consumo delle tecnologie possono aiutarci quantomeno ad avere consapevolezza delle barriere per provare – se possibile – ad abbatterle o quantomeno ad abbassarle. Alcune barriere infatti sono ricorrenti, seppure ignorate sia in fase di market design istituzionale che di marketing design aziendale.
Sono barriere individuali che a livello aggregato si presentano come una vera e propria domanda propedeutica allo sviluppo pieno del consumo di innovazione. È una sorta di “meta-domanda”, trasversale quindi ai diversi mercati tecnologici, che dovrebbe essere soddisfatta dall’azione combinata – e non per forza deliberata – delle istituzioni deputate a regolare i nuovi mercati e dalle imprese che vi sperimentano l’innovazione.
Le condizioni che configurano una “meta-domanda” di tecnologia
Detto in altri termini, il futuro ci offre opportunità straordinarie che non è immediato cogliere, senza aver investito adeguate risorse nelle condizioni che abilitano l’adozione delle tecnologie e la diffusione ampia del loro potenziale di valore. Si tratta di condizioni che configurano una “meta-domanda” di tecnologia che si compone di:
- domanda di concorrenza, che le tecnologie per naturale tendenza riducono in conseguenza della crescente scala degli investimenti per lo sviluppo delle tecnologie, e per l’altrettanto naturale tendenza a integrare infrastrutture, strutture e servizi a valle, che producono concentrazioni prossime al monopolio, scoraggiando la sperimentazione diffusa, la spinta alla differenziazione (all’innovazione) e quindi lo sviluppo del mercato e la diffusione stessa del valore;
- domanda di accessibilità, economica oltre che tecnologica, che è rallentata dalla naturale tendenza dei player in posizioni prossime al monopolio a non spingere sullo sviluppo se non garantiti da adeguati livelli di ritorno economico, di cui intanto godono in pieno sui sui segmenti di domanda con maggiore “disponibilità a pagare”;
- domanda di controllo e indipendenza, che se non adeguatamente soddisfatta provoca comportamenti conservativi se non addirittura rischi di neoluddismo, anche in questo caso naturalmente amplificati dalle limitate opzioni di scelta più prodotti e brand che finiscono per generare la percezione di un oligopolio collusivo. Non che il consumatore di massa lo definisca esattamente in questi termini ma è proprio così che lo percepisce, rallentando l’adozione della tecnologia di cui teme di “rimanere schiavo”;
- domanda di privacy, che è destinata a essere sempre pesante e insoddisfatta, e che inibisce l’adozione e l’uso a “dose piena” della tecnologia e quindi il valore, economico e sociale, che la stessa potrebbe generare;
- domanda di auto-efficacia funzionale e quindi di competenze, che sempre più emergerà a ragione del gap a crescita esponenziale fra conoscenza diffusa nel mondo degli oggetti che ci circonda da un lato e e conoscenza individuale dall’altro, molto intensa ogniqualvolta si prende coscienza della c.d. “illusione della conoscenza”, di cui siamo vittime sempre più spesso consapevoli con le inevitabili frustrazioni e ritrosie verso consumi tecnologicamente innovativi di cui comprendiamo sempre meno il funzionamento.
Il ruolo del mercato e la necessaria governance istituzionale
Soddisfare queste domande, come intuibile, non è compito – né interesse – di una singola impresa, ma di tutte insieme, e quindi del mercato. E non è un risultato che gratifica nel breve periodo le imprese, i suoi stakeholder primari né tantomeno i suoi esponenti apicali. Per questa ragione il market design deve avere una governance istituzionale, competente e forte. Tutto ciò che in genere non si ha in presenza di instabilità politica e relativa debolezza o confusione dei governi nazionali e sovranazionali. Mentre sarebbe necessario far seguire a ogni ondata di innovazioni tecnologiche interventi che: con relativa immediatezza separino i livelli (infrastrutturali) da quelli di servizio, garantendo adeguata concorrenza; incentivino l’offerta di condizioni di accesso che, oltre ad alimentare la concorrenza, accelerino la diffusione; garantiscano controllo, indipendenza e sistemi d’offerta con adeguati livelli di “degrado tecnologico” e quindi di continuità delle funzioni di base; anticipino le distorsioni del mancato rispetto della privacy; rendano concrete policy di “educazione” alluso delle tecnologie addirittura prima che queste diventino godibili sul libero mercato. L’era dell’iperconnessione, insomma, non è solo fatta di nuove tecnologie e di nuove offerte ma anche, e forse prima, di nuove domande che dobbiamo imparare a conoscere e soddisfare.