Il dibattito su uso dei social e salute mentale dei più piccoli si riapre con una certa ciclicità e da tempo il legislatore si interroga su quale sia il modo migliore per garantire ai minori un accesso sicuro al mondo online, e in particolare ai servizi delle piattaforme di social media.
Certamente l’accesso alle informazioni disponibili in rete e la libertà di restare in contatto con i propri amici sono vantaggi innegabili anche per un bambino e un pre-adolescente, ma purtroppo nel web sono presenti anche molte insidie che finiscono di sovente per avere effetti dannosi sulla salute psico fisica dei più piccoli.
Gli studi parlano di dipendenza da social, di una crescente incidenza di patologie psichiche, come la depressione e i disturbi dell’alimentazione, di un peggioramento nella qualità del sonno, senza contare i fenomeni del cyberbullismo e i pericoli – anche peggiori – dell’adescamento e della pedofilia.
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Social e minori, come sono intervenute le istituzioni fino ad oggi
Generalmente l’approccio del regolatore è stato, come per tante altre situazioni della vita reale, di due tipi: o spingere le piattaforme a creare versioni edulcorate per minori, o richiedere un consenso parentale esplicito, spostando la responsabilità sui genitori. Questo per i giovani tra i 14 e i 18 anni; mentre per quanto riguarda i pre-adolescenti (under14 per capirci) anche i governi più liberali sono stati tendenzialmente concordi nel ritenere che un accesso ai social così precoce fosse nocivo, e hanno cercato di proibirlo, per quanto possibile.
Nei liberalissimi Stati Uniti, il Children’s Online Privacy Protection Act (detto COPPA) entrato in vigore nel lontano 2000 stabilisce a 13 anni l’età minima del consenso per il trattamento dei propri dati. In Europa, il GDPR[1] (Regolamento Europeo sulla Privacy del 2016) ha invece stabilito una soglia leggermente più alta, fissando l’età minima per dare consenso al trattamento dei propri dati (operazione necessaria per iscriversi ai social) a 16 anni, derogabile fino a 13 anni dalle diverse legislazioni nazionali. Secondo il DSA europeo (dal 2024) i dati dei minori non possono però essere profilati per pubblicità personalizzata.
All’interno di questi framework normativi, quest’anno la Francia ha passato a larga maggioranza una legge che vieta l’utilizzo dei social senza consenso dei genitori agli under 15, e negli Stati Uniti è stata avanzata una proposta di legge bipartisan per impedire l’accesso ai social agli under 13. Anche in Italia esiste già un limite implicito, il Codice della Privacy stabilisce che l’età minima per l’espressione del consenso del trattamento dei dati personali sia di 14 anni, età sotto la quale è necessario il consenso dei genitori; insomma, chi ha meno di 14 anni non può già utilizzare i social senza il via libera di un adulto.
Per adeguarsi ad un contesto così frammentato, le società di social media nella maggioranza dei casi hanno deciso di vietare ai minori di 13 anni la possibilità di iscriversi ai propri servizi. Una misura di autotutela che si è rivelata tuttavia di scarso successo visto che purtroppo è stato ampiamente documentato che i bambini si iscrivono comunque, con o senza il permesso dei genitori (e negli USA già ci sono esperti che suggeriscono 16 anni come età minima per i social, Ndr.).
Il problema è che non esiste alcun tipo di controllo preventivo, visto che la verifica dell’età spesso si limita ad una spunta o all’inserimento della data di nascita, e i meccanismo di controllo ex post sono deboli in quanto i modelli di artificial intelligence utilizzati da parte delle piattaforme più grosse per intercettare i più piccini non possono essere alimentati con le informazioni sugli under 13 (in quanto informazioni sugli under 13 non possono essere legalmente trattenute da nessuna piattaforma).
La proposta di Azione, rendere efficace il GDPR
Noi deputati e senatori di Azione, con il supporto di alcuni parlamentari di Italia Viva, abbiamo deciso che fosse opportuno aprire una discussione anche in Italia sull’inefficacia dei meccanismi di tutela attualmente presenti sulle piattaforme, in nome del rispetto della normativa esistente e della tutela dei minori, che spesso agiscano inconsapevoli dei pericoli che hanno di fronte e alle spalle dei propri genitori.
Pertanto abbiamo depositato una proposta di legge che stabilisce il divieto di accesso ai social per i soggetti under 13 e la richiesta di un consenso parentale tra i 13 e i 15 anni di età, lasciando invece liberi gli over 15 di accedere liberamente a qualsiasi piattaforma.
L’uso dell’identità digitale
La proposta si caratterizza per la volontà di individuare un sistema di verifica dell’età che sia standard ed effettivo per tutti. Sulla scia delle discussioni in corso nel quadro della strategia “Better Internet for Kids” della Commissione Europea, suggeriamo che la verifica dell’età si appoggi in ultima istanza sull’identità elettronica contenuta nel Digital Wallet che l’Europa sta sviluppando proprio in questi mesi e di cui l’Italia è stata precursore con il sistema Spid.
La proposta è quindi in linea con la strada intrapresa dell’Unione Europea e punta a poggiarsi su un meccanismo potenzialmente estendibile a tutta l’Unione Europea, essendo queste identità digitali interoperabili.
Non una nuova fattispecie normativa, dunque, ma un’applicazione di quanto già previsto dal GDPR, anche sul fronte delle sanzioni, essendo la nostra una sorta di proposta attuativa del regolamento.
Miti da sfatare: la libertà non è a rischio
Sfatiamo subito alcune incomprensioni.
La norma non nasce con l’idea di aggiungere un nuovo divieto, essendo sostanzialmente già normato l’accesso delle piattaforme agli under 13; quanto piuttosto dalla volontà di introdurre dei meccanismi che agevolino una migliore gestione delle attività online dei più piccoli.
L’anonimato non sarà a rischio perché l’accertamento dell’età non significa passare per un’autenticazione che dia alle piattaforme social accesso a tutti i dati personali che un’identità elettronica raccoglie.
Il pubblico non saprà che piattaforme utilizzerete. La nostra proposta, infatti, non indica una soluzione tecnologica specifica, rimandando le scelte tecnologiche a un confronto con le piattaforme e gli altri stakeholders coinvolti. Esistono, infatti, diverse maniere di accertare se una persona abbia più o meno di una certa età, preservandone la privacy e anche l’anonimato, nel caso questo fosse scelto per il login. Capiremo insieme quali saranno le migliori.
Non solo divieti, ma educazione e responsabilizzazione
Siamo convinti che questa proposta, lungi dall’essere eccessivamente restrittiva, sia semplicemente la messa in pratica di regole che già esistono e che riteniamo corrette nel quadro di una democrazia liberale che vuole conciliare le libertà individuali con una corretta protezione delle categorie vulnerabili – in questo caso dei minori appunto.
Certo, siamo consapevoli che i divieti e l’enforcement legislativo non bastano, non solo perché – come si suol dire – “fatta la legge, trovato l’inganno” ma anche perché le scelte di come un minore vivrà la sua vita online e offline dipende in prima battuta dalle scelte educative che e dagli esempi che riceve, in casa e fuori. Pertanto, non ci sarà meccanismo che tenga di fronte alla volontà di un genitore di aggirare una norma che ritiene sbagliata o inutile.
La nostra proposta quindi prevede anche una grande campagna di comunicazione e informazione, che combinata con gli sforzi già esistenti in termini di educazione digitale, possa far comprendere a genitori e figli la ratio dei divieti e delle limitazioni che vengono loro imposti.
Speriamo che questa proposta sia largamente condivisa perché come dimostrano gli esempi di Francia e Stati Uniti citati all’inizio, la protezione dei minori messa in pratica in maniera proporzionata, sicura e rispettosa della privacy, non è una questione di destra o di sinistra, di liberali o illiberali, ma di una società matura e di una democrazia responsabile.