#anche #ancora #àncore
Futuro, innovazione, condivisione, sistemi, intelligenze, social network: tormentoni che guidano molti dei nostri pensieri quotidiani, pensieri che si formano si sviluppano e si trasmettono da e verso corpi: il contemporaneo che si innesta nelle nostre vite e si/ci propaga. Quotidianamente.
Ma di cosa è fatta, anche, la nostra quotidianità?
Scrivo queste poche righe intorno a un tavolo ottagonale al centro di una libreria che si trova al “piano del ferro” della stazione di Milano. Di cosa sto parlando? Di una biblioteca? Di una sala d’aspetto? Di un museo? A parte il mangiare si fa di tutto.
Il tavolo è messo in moto dall’agitare sincopato che produce il braccio nell’atto di grattare per vincere. Quanti nuovi gesti. Ma sono tutti segnale di innovazione?
L’ottagono è una figura non banale, un simbolo, l’icona di una unità composta da tante parti. Come noi oggi: tante individualità singole che portano su questo tavolo tante istanze differenti. Ma se io parlo con chi mi legge gli altri sono in ascolto di altri che hanno scritto cose molto più intelligenti e utili di queste. Alla mia destra la giovane ragazza legge Jung, Freud, Lacan.
Quale inconscio incrocerà? Legge libri che poi riporrà sugli scaffali della vendita avendo lei goduto di qualcosa che diventerà possesso di altri.
“Solo il saggio sa di non sapere” leggo sulle pagine del libro qui alla mia sinistra. Il signore con la barba. Basta guardargli le scarpe. Passa molte delle sue ore qui dentro. A cosa gli servirà leggere Lao Tzu?
Questo ottagono è un porto dove gettare ancore; è un luogo che ogni giorno si popola di gente che non può leggere altrimenti che su carta. Un tablet. Chi non ha una casa non lo possiede e non perché non ha una presa di corrente per ricaricarlo. La presa di corrente ce l’ha il ragazzo con la barba. Lui ha il tablet e un libro di Valerio Massimo Manfredi.
Poi c’è chi fa innumerevoli giri intorno allo stesso tavolo cercando il momento nel quale qualcuno si alzi. Quante storie intorno a un tavolo.
Siamo una società immersa nelle storie che non si accontenta più di leggere il suo presente attraverso il suo passato, ma che sente il bisogno di raccontare il futuro in una chiave diversa dalla fantascienza. E che legge le sue storie non solo nella forma scritta.
Ma ha bisogno di storie.
Leggere: un’azione necessaria alla quale non possiamo porre freno, nemmeno volendo. Anche se ora scriviamo tutti. Io pure qui ora. (Chissà cosa scrive il “valeriano”, quello col tablet). Lo si è sempre fatto ma ora, sicuramente, il presente si descrive e si immagina nel futuro in una forma di racconto. La smaterializzazione della conoscenza sta riportando al centro il ruolo dei luoghi perché sono stati cambiati dalla digitalizzazione.
Ma seduto al mio lato dell’ottagono penso anche a un ragionamento fatto con un mio amico e designer, Alessandro Pedretti; insieme abbiamo fatto un intervento per una giovane rivista di comunicazione, che porta il nome di Spam e ha un sottotitolo particolare: il meglio del Web salvato su carta. Una provocazione che parla e usa la realtà aumentata.
Per ultimo penso anche a un Museo che non c’è più, cancellato dal fuoco: la Città della Scienza di Napoli.
#presenza #assenza #cancellazione #fuoco
In Texas c’è chi sta pensando a qualcosa di veramente differente. Un collezionista di libri, di prime edizioni, ha in mente una biblioteca dove tutti i libri sono digitalizzati, consultabili a distanza. Ma pensa ancora a un luogo per questo dove non si presta più la carta ma si prestano i lettori: perché comunque l’apprendimento e il godimento non può prescindere da una fisicità, una spazialità: non siamo un codice e non viviamo in Matrix.
Ma l’idea che un museo abbia una vita semplicemente e solo legata a un luogo è superata o quanto meno non è più sufficiente per viverne l’esperienza, conoscerne i contenuti.
Un museo è una collezione di luoghi – per non dire piattaforme – dove si incrociano narrazioni non sequenziali attraverso oggetti, materiali e immateriali.
Un museo non lo si legge più sequenzialmente ma se ne cercano e sperimentano tutte le possibili tracce del suo racconto che si possono incontrare: sia quelle istituzionali che quelle di chi lo ha visitato e di chi di quella cosa lì se ne intende.
In questo senso il museo, come altre scritture, ricalca il nostro modo di andare incontro ai contenuti. I contenuti sono “dietro l’angolo”. Come nei film di David Lynch.
Se ne intravvede la direzione: un museo si occupa sempre più del futuro in quanto la sua scrittura, la sua costruzione, non si chiude con l’apertura ma con la vita che è flusso di storie di chi vi partecipa a qualsiasi titolo.
Anche per questo gli si dà fuoco: incendiare una attività commerciale colpisce poche persone. Dare fuoco a un museo scientifico colpisce l’immaginario, lo offende e risveglia in ciascuno di noi gli odi più profondi.
#futuro #scommessa #del_doman_non_v’è_certezza
Legare la parola museo al futuro e a un approccio immateriale della cultura (leggi virtuale) parrebbe bizzarro; questo perché dalla sua origine tratta di cose fisiche, tangibili che vengono strappate dalla normale caducità del mondo per essere raccolte all’interno di uno spazio altrettanto fisico.
Inoltre immaginare una collezione legata al futuro richiede poteri straordinari di veggenza e comunque di immaginazione: cosa verrà riconosciuto un domani come oggetto da salvaguardare? Cosa verrà scelto per avere un futuro superiore alla sua “naturale” vita di oggetto d’uso?
Ha qualcosa della scommessa, ma ogni scommessa è una traccia di pensiero che troverà nello sviluppo della vita la sua soluzione. Anche le scommesse hanno le loro regole, il loro modo di proporsi: date delle premesse, di fronte a una serie di soluzioni possibili ne scelgo una e su quella scelta punto la mia credibilità.
Serve naso! La fortuna non basta.
Servono i modelli e le teorie sistemiche per avere una idea delle possibilità in gioco.
Non si tratta di una semplice speculazione filosofica. Lo sanno bene gli studiosi del clima, i meteorologi. La materia della quale si occupano è la vita del pianeta nella sua evoluzione che va oltre la semplice previsione del tempo.
Nel mondo dei prodotti come in quello dell’arte è la costante evoluzione dei linguaggi e dei comportamenti che dà origine allo sviluppo, a una forma di progresso e comunque di cambiamento. Come per lo sperimentalismo evoluzionista darwinista: tutto ciò che ha la facoltà di svilupparsi adattandosi alle condizioni “ ambientali” e quindi ha possibilità di evolversi potrà avere maggiori possibilità di sopravvivere in un futuro.
Immaginare un museo per il futuro è esprimere una visione in forma di racconto; confermare che certi processi, certi prodotti, certe tipologie di oggetti, possano uscire dal flusso del tempo, per trasmettere ed insegnare ad osservare per vedere con occhi diversi quello che abbiamo sempre solo “pensato” di conoscere.
Abitiamo società che cercano senza sosta nuovi modi di raccontare le cose, nuovi modi di interpretare dei linguaggi spesso incompresi o solo percepiti superficialmente; una società che sta rileggendo il linguaggio degli oggetti per la loro capacità di raccontarci storie vissute o aumentate attraverso innesti concettuali.
Perché gli oggetti, non ci abbandonano: si collocano uno a fianco dell’altro. Come queste otto persone, io una tra esse.