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Streaming musicale, libera nos ab algoritmo: come scoprire nuove sonorità



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La dipendenza dalle raccomandazioni algoritmiche rende più difficile trovare musica e artisti nuovi e diversi: ecco alcuni suggerimenti per uscire dalla comfort zone musicale

Pubblicato il 2 set 2024

Riccardo Petricca

Esperto Industria 4.0 Innovation Manager



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L’avvento dello streaming musicale ha radicalmente trasformato il modo in cui fruiamo e scopriamo nuova musica. Dove un tempo la radio e i negozi di dischi erano i principali catalizzatori della scoperta, oggi le piattaforme di streaming hanno assunto un ruolo centrale nel guidare e personalizzare l’ascolto attraverso potenti algoritmi.

Questa transizione ha portato con sé vantaggi e svantaggi. Da un lato, abbiamo guadagnato un accesso senza precedenti a un’abbondanza di generi e artisti, potendo esplorare liberamente un vasto panorama sonoro. Dall’altro, la dipendenza dalle raccomandazioni algoritmiche ha spesso portato a un appiattimento della nostra esperienza di ascolto, limitandoci entro confini familiari e riducendo l’elemento di scoperta casuale e serendipità.

Come si scopriva nuova musica un tempo

Prima dell’avvento dello streaming, la scoperta musicale era un processo attivo e sociale, mediato da figure come DJ, blogger e riviste specializzate. Questi “curatori” umani introducevano il pubblico a nuovi artisti e generi, ispirando approfondimenti e discussioni

La condivisione di mix tape e CD tra amici era un rituale importante, carico di significato emotivo. Questo senso di comunità e scambio personale si è andato progressivamente perdendo nella transizione all’ascolto algoritmico.

Il ruolo degli algoritmi

Gli algoritmi delle piattaforme di streaming sono progettati per offrire un’esperienza personalizzata, basandosi sui nostri gusti e abitudini d’ascolto. Mentre questa personalizzazione può sembrare conveniente, essa nasconde anche un lato oscuro: la tendenza a rinchiuderci in bolle algoritmiche, isolandoci da orizzonti musicali più ampi e diversificati.

I dati, infatti, rivelano che una significativa percentuale della musica ascoltata su Spotify (circa il 30%) proviene da raccomandazioni algoritmiche, che tendono a proporre variazioni su temi già noti piuttosto che esplorare nuovi territori sonori. Così, pur avendo accesso a un’incredibile varietà di generi, spesso finiamo per ascoltare una manciata di artisti e brani che rientrano in ben precisi schemi di gusto.

Questo fenomeno rispecchia una tendenza più ampia nella nostra società digitale, in cui gli algoritmi si sono sostituiti a figure tradizionali nel guidare le nostre scelte e il nostro consumo culturale. Mentre la personalizzazione può offrire una comoda esperienza su misura, essa rischia di appiattire la diversità e sopprimere la serendipità che un tempo caratterizzava l’esplorazione musicale.

Gli obiettivi

Gli algoritmi, infatti, operano secondo una logica di ottimizzazione che mira a massimizzare l’engagement e la soddisfazione a breve termine degli utenti. Essi sono programmati per fornirci ciò che ritengono già ci piaccia, senza spingere realmente i nostri confini o stimolare la scoperta di nuovi orizzonti. In questo senso, le playlist generate automaticamente si limitano a offrirci varianti di ciò che conosciamo già, rinchiudendoci in bolle di familiarità.

Questa tendenza è ancora più accentuata nell’ambito della musica, dove la logica algoritminca premia brani brevi e “gancini” orecchiabili, a scapito di formati più sperimentali o complessi. Artisti e musicisti si trovano così sotto pressione per modellare la propria creatività sulle esigenze di viralità e raccomandazione delle piattaforme, con il rischio di omologare e appiattire il panorama musicale.

Ri-umanizzare la scoperta musicale

In risposta a questa crisi, sono emerse iniziative e piattaforme che mirano a ri-umanizzare il processo di scoperta musicale, riportando al centro l’elemento sociale e la curiosità attiva dell’utente.

Servizi come Music League e Oddly Specific Playlists sfruttano la forza delle comunità online per promuovere uno scambio genuino di raccomandazioni e discussioni attorno alla musica. Anziché affidarsi a playlist generate automaticamente, gli utenti di queste piattaforme contribuiscono attivamente suggerendo brani che si adattano a temi specifici, condividendo le proprie motivazioni e reazioni. Questo approccio lento e deliberato incoraggia un ascolto più attento e l’emergere di nuove connessioni tra generi e artisti.

Analogamente, la riscoperta di radio indipendenti come strumento di scoperta musicale rappresenta un antidoto all’egemonia degli algoritmi. Qui, la voce di DJ umani che assemblano playlist tematiche e narrative offre un’esperienza di ascolto più autentica e arricchente, spingendo gli ascoltatori fuori dalle proprie zone di comfort.

Queste iniziative ribaltano il paradigma dell’ascolto algoritmico, riportando al centro l’elemento umano e sociale della scoperta. Anziché affidarsi ciecamente a raccomandazioni automatizzate, gli utenti sono invitati a partecipare attivamente, condividere le proprie passioni e confrontarsi con gusti e prospettive diverse. Il processo lento e riflessivo di assemblare playlist tematiche o di difendere le proprie scelte musicali stimola una forma di ascolto più consapevole e curiosa.

Inoltre, queste piattaforme comunitarie danno voce a nicchie e microgeneri che spesso rimangono invisibili nei feed algoritmici di Spotify, permettendo agli utenti di esplorare orizzonti musicali più ricchi e diversificati. L’enfasi sulla condivisione di storie, esperienze e motivazioni personali attorno alla musica restaura quel senso di connessione e scoperta che l’automazione algoritminca tende a sopprimere.

Come sfidare le logiche algoritmiche

Non solo gli utenti, ma anche gli stessi artisti si trovano a confrontarsi con le sfide poste dall’egemonia degli algoritmi di Spotify e delle piattaforme di streaming. Molti artisti lamentano una sensazione di “ansia algoritmica”, trovandosi sotto pressione per creare musica che si adatti ai requisiti di genere e durata imposti dalle logiche di virality e raccomandazione.

Piattaforme come Unchartify offrono uno sguardo alternativo sul catalogo di Spotify, permettendo di navigare la sua ricca tassonomia di microgeneri, spesso invisibili nell’interfaccia principale. Ciò consente agli artisti di posizionarsi in modo più accurato all’interno del panorama musicale, sfuggendo alle semplificazioni e alle etichette appiattenti.

Inoltre, iniziative come Radiooooo, che abbandonano completamente la logica dei generi in favore di una scoperta basata su location e periodo storico, rappresentano tentativi di ribaltare l’approccio algoritmico, riportando al centro l’elemento dell’esplorazione casuale e della scoperta guidata dalla curiosità umana.

Queste piattaforme alternative evidenziano come le logiche di Spotify, pur essendo tecnologicamente sofisticate, operino spesso secondo una visione riduttiva e semplificata della musica. La ricchezza della tassonomia musicale, con i suoi microgeneri e sottocategorie, viene appiattita e resa invisibile nell’interfaccia utente, limitando le possibilità di scoperta e di posizionamento per gli artisti.

Allo stesso modo, l’ossessione per la brevità e l’istantaneità imposta dalle metriche di virality rischia di comprimere l’esperienza musicale, privandola della sua complessità e profondità. Artisti costretti a conformarsi a tali logiche possono finire per sviluppare una “ansia algoritmica”, temendo di non riuscire a emergere nel panorama dominato dalle playlist generate automaticamente.

Lo scenario futuro

In definitiva, la sfida posta dall’egemonia degli algoritmi di Spotify e delle piattaforme di streaming non è solo tecnologica, ma anche sociale e culturale. Essa ci chiama a ripensare il nostro rapporto con la musica, rivendicando un ruolo attivo e creativo nella scoperta, anziché accettare passivamente le raccomandazioni algoritmiche.

Costruire comunità, incoraggiare il dialogo e la condivisione, e rifiutare le logiche di semplificazione e ottimizzazione sono tutti passi cruciali per ridare valore all’esperienza umana della scoperta musicale. Solo così potremo liberarci dall’algoritmo e riconquistare il piacere della serendipità, della sorpresa e dell’esplorazione nel vasto universo della musica.

Il futuro della scoperta musicale risiede nel riappropriarci di un ruolo attivo e creativo, rifiutando l’idea di una fruizione passiva e ottimizzata. Riscoprendo il piacere della condivisione, del dialogo e dell’esplorazione casuale, potremo riconquistare quella curiosità e quella serendipità che hanno sempre caratterizzato il nostro rapporto con la musica.

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