Nel suo ultimo libro, Zygmunt Bauman configura un ulteriore scenario nella crisi della modernità, che egli vede caratterizzato dal fenomeno della “retrotopia”, un nostalgico sguardo verso il passato mosso dalle incertezze del presente. Si tratta di una visione che destruttura il potenziale dinamico dell’attualità e ne disinnesca la prospettiva di cambiamento, amplificando incertezza e paura: su questo terreno di fragilità possono facilmente attivarsi manipolazioni ideologiche e mistificazioni.
Studiare il passato per costruire il futuro
Tuttavia, è proprio il passato ad insegnarci che il patrimonio dell’esperienza e la “competenza storica” (intesa come il saper narrare, dare forma e significato al passato stesso) sono il terreno fecondo su cui immaginare il progresso e costruire il futuro. E’ così che il mondo greco poté elaborare un tessuto etico-sociale e un quadro identitario così potenti da definire – pur nell’assoluta frammentarietà politica – un concetto di nazione ed una forza attrattiva ancora oggi presenti nel nostro orizzonte culturale. Rielaborando e manipolando il rapporto tra storia e mito, i Greci confezionarono quella che John Boardman ha interpretato come “retorica della nostalgia”: basti pensare a come Omero abbia contribuito a creare un passato eroico, intriso di leggenda, che entrò a far parte dell’immaginario di un intero popolo.
Queste poche considerazioni introduttive ci accompagnano verso una considerazione importante: il nostro rapporto con il futuro, la nostra fiducia e capacità di modificare il presente (possibilmente in meglio), dipendono in gran parte dal bagaglio di consapevolezza con cui viaggiamo attraverso le esperienze individuali e collettive.
La “retrotopia” di cui ci parla Bauman equivale ad una fuga dal contingente che porta l’uomo a cercare conferme in un passato ritenuto più accogliente del tempo a venire. Ma essa deriva anche da una elaborazione di per sé patologica e decadente del valore dell’esperienza, ovvero da una visione statica del passato, propensa a fermare il principio di continuità del tempo. La “retrotopia” è un’insidia tanto reale quanto dannosa, in un’epoca dominata dal bisogno di coltivare connessioni spazio-temporali. Il contesto della complessità, che lo sforzo speculativo di Morin ha ricondotto verso un significato di “pienezza” concettuale, comporta connessioni, intrecci, mutamento costante, flessibilità e visione.
Patrimonio artistico e competenze
Viene quindi da chiedersi quali strumenti adottare, quali competenze per non venire travolti dalle trasformazioni, scongiurando al tempo stesso la soluzione dell’apatia, della chiusura e di una sterile autoreferenzialità. La recente raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea (2018) sull’apprendimento permanente presta una particolare attenzione al tema della consapevolezza culturale, nel contesto di una riflessione che punta a rafforzare il valore della resilienza come filtro verso l’imprevedibilità del mutamento, ma che riconosce la necessità di forti radici identitarie per ispirare una progettualità virtuosa, interculturale e sostenibile.
Prende forza, ma è necessario un impegno politico realmente efficace, la convinzione che il giusto terreno per coltivare tali competenze sia quello del patrimonio artistico. La relazione strettissima che lega un manufatto al proprio contesto – non solo storico, socio-economico e culturale, ma anche al territorio che lo ha custodito, alle vicende della sua conservazione e fruizione (pubblica e privata) – comporta un esercizio di lettura e di interpretazione che collima esattamente con l’approccio di pensiero auspicato da Morin.
Di più, la comprensione del patrimonio artistico presuppone altri due fondamentali fattori:
- lo sviluppo di una sensibilità linguistico-formale e sentimentale (leggere un’opera d’arte significa decodificarne il linguaggio espressivo e coglierne il significato, anche in chiave emotiva);
- la maturazione di un senso di corresponsabilità rispetto alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali.
In una bella intervista del 2004, proprio Morin ricordava che di fronte alla complessità è necessaria una rivoluzione del pensiero che non coinvolge la sola collettività, ma la persona: “…bisogna oggi parlare di una riforma dello spirito (nel senso di mente), di una riforma di ‘qualcosa’ di più profondo, di più personale, di più soggettivo: cioè, in ultimo, una riforma dell’essere, di noi stessi”.
Il ruolo della scuola e delle politiche educative
Occorre quindi uno scenario educativo, composto di conoscenze e di competenze, ma soprattutto di esperienze e di azioni concrete, di impegno e di commozione, che possa davvero accompagnare questa riforma culturale e spirituale. Il richiamo ad un coinvolgimento della scuola, e in senso alto delle politiche educative, ogni qual volta si propongano misure volte a rafforzare la tutela e la promozione del patrimonio culturale e del paesaggio, conferma in pieno l’assoluta necessità di poter contare su una nuova consapevolezza di cittadinanza, espressa attraverso forme di “pensiero agito”.
Educare alla complessità per formare il cittadino del XXI secolo rappresenta la grande sfida dei sistemi educativi. L’àncora della resilienza, che risulta indispensabile per mantenere un giusto equilibrio di valori e di riferimenti identitari, si concretizza nella pratica del pensiero divergente e nella custodia affettuosa dell’eredità culturale. Non è ragionevole pensare che tali obiettivi possano trascurare l’enorme potenziale etico ed educativo del patrimonio artistico, a condizione che se ne valorizzi proprio il tratto di sofisticata articolazione epistemologica. Ricorre spesso, anche sulla scia di un raffinato saggio di Carlo Ginzburg sull’evoluzione della storia dell’arte come disciplina autonoma, il confronto tra lo studio di un’opera con l’approccio di indagine del detective (Sherlock Holmes, nella dissertazione di Ginzburg).
Le competenze per essere cittadini migliori
Ed è esattamente in questa prospettiva, dinamica e multiforme, che le competenze – specialistiche e trasversali – richieste dalla storia dell’arte (l’analisi, la decodificazione, l’interpretazione di significati nascosti, la descrizione, il confronto tra diversi linguaggi espressivi, la contestualizzazione storico-culturale, ecc.) si adattano perfettamente a configurare il profilo di sensibilità e di pensiero del cittadino post-moderno, ponendolo oltretutto nelle condizioni di potersi schermare dagli agguati dell’informazione corrotta (le fake news), della manipolazione dei consensi, della rappresentazione epidermica e strumentale delle grandi questioni del Terzo Millennio.
Il patrimonio artistico e culturale è la viva materia della nostra storia e dei nostri valori; comprenderlo e tutelarlo ci permette di compiere il solo viaggio di crescita che sostanzia il saper essere, uomini e cittadini. La “retrotopia” postulata da Bauman comporta il tragico spettro di una “nostalgia del futuro”: per esorcizzarne la minaccia, è necessario recuperare la lunga visione che – tra storia e mito – lo storico Erodoto riconosceva alla cultura greca.